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L'alternativa - 10* Puntata - La prima vita

L'alternativa (Racconto a puntate - Decima puntata)

Nel regno del reale

10

La prima vita

Ed è in questo momento, mentre anche Lazàr si allontana da casa, che Mariam capisce che è arrivata l'ora di riprendere in mano la sua vita precedente. Entra nella cappella di famiglia, si raggomitola ai piedi dell’altare e finalmente lascia che i ricordi la sommergano. Non è facile e Mariam è completamente sola. C
erca di ricomporre il puzzle dei ricordi, partendo dai più remoti. 

Non aveva più di due o tre anni ed era seduta nel seggiolino appeso al manubrio della bicicletta del papà. Lui teneva le mani sulle manopole e le sue braccia la chiudevano in un quadrato magico di sicurezza e di affetto. Le sembrava che la bicicletta fosse molto veloce e anche questo era eccitante; sentiva il vento sulle guance e la luce del sole che giocava con lei, costringendola a socchiudere gli occhi. Insomma era assolutamente, totalmente felice. Il papà si fermava poi sulla piazza del paese e insieme entravano in chiesa. Appena varcata la soglia, l’atteggiamento del babbo cambiava: assumeva un’espressione fervida e seria, ma anche contenta, come se fosse a contatto con qualcosa di particolarmente rasserenante. Lei capiva di essere in uno spazio abitato da Qualcuno. Il papà l'aiutava a tracciare il segno della croce, le dava la mano e insieme scivolavano in uno stanzino semibuio. Dal soffitto pendevano delle grosse corde: il babbo ne afferrava due, ne tirava una verso il basso e poi la lasciava andare, mentre spingeva in giù l’altra. E improvvisamente arrivava, fortissimo e allegro, il suono di una campana. Ogni volta la bambina si sentiva sopraffatta da un sentimento strano, come se con loro ci fosse qualcuno, Qualcuno che li amava. Non capiva chi o che cosa fosse, ma c’era.

Una mattina la piccola Mariam trovò nel prato dietro casa un gruppo di pratoline bellissime, che occhieggiavano tra lo smalto verde dell’erba nuova. “Chi le ha messe lì?” si chiese. Non lo sapeva, ma era sicura che, chiunque fosse stato, lo aveva fatto per lei e questo la riempiva di gioia. Anche quella volta non raccontò a nessuno il suo segreto, ma non lo dimenticò mai più.

Mariam ricorda molto bene anche i pomeriggi domenicali, quando la zia la portava in chiesa ai vespri. Si stringeva a lei sulla panca, ma subito dopo arrivava il sonno e le entrava negli occhi. Allora appoggiava il capo sul grembo della zia e poco dopo i rumori si ovattavano e attutivano, le voci degli oranti sfumavano indistinte, il profumo leggero dell’incenso si mescolava all’odore di pulito del grembiule nel quale sprofondava e tutto si confondeva in una piacevole sensazione di dolcezza e di calore, fluttuante di presenze benefiche e protettrici. Era bello dormire in chiesa, non si era mai soli.

Poi la mandarono all'asilo, dalle suore. Mariam risente l'odore poco invitante della minestra e il dispiacere di lasciare il papà alla mattina. Rivive soffrendo il senso brutto della rassegnazione: lei è diversa dalle altre, vale meno... altrimenti perché la suora solo a lei darebbe un foglietto grosso e compatto sul quale disegnare, invece di darle, come alle compagne, un foglio quasi trasparente, per poter ricalcare le immagini da un giornalino? E perché le altre bambine possono ricamare il punto erba e solo lei deve cimentarsi con il punto festone? Molti anni più tardi Mariam capirà che le suore chiedevano di più a lei perché lei poteva dare di più, ma i giorni dell'asilo l'avranno intanto segnata con il calco della diversità negativa, che si accompagnerà per sempre a un invincibile senso di colpa.

Il quinto ricordo è per fortuna dolcissimo. Risale ai suoi 5 anni. E' seduta sui gradini grigi di casa sua ed è intenta a cucire. Ha gli occhi e il mento abbassati sul lavoro, le spalle curve, le mani piccolissime che muovono con fatica il grosso ago su e giù nella stoffa bianca. Quando la punta di acciaio stenta a uscire dalla tela la piccola lingua spunta tra le labbra a sottolineare lo sforzo. Sta cucendo gli angeli Mariam: un girotondo di bimbi alati intorno a un ulivo contorto, in un disegno su cartoncino trovato sopra una vecchia damigiana di olio. Sulla stoffa compaiono dei grossi punti: il lavoro è impegnativo, ma non sembra proprio un lavoro, forse è un rito che mette allegria. Il sole inonda il cortile e la gente è contenta. Nell'aria c'è la dolcezza di Dio e Mariam la respira, la sente. 

Ha un amico speciale Mariam: è l'Angelo custode. Spesso loro due si siedono insieme per terra, nel cortile assolato e costruiscono torte di terra con una ciotola di latta. Nel frattempo chiacchierano. Lui descrive con accenti raccolti e gioiosi la bellezza e la bontà di Gesù, il figlio del Re, come lo chiama. Lei muore dalla voglia di conoscerlo e per questo non smette di chiedere di Lui a tutte le persone che incontra. Più avanti, alla scuola elementare, Mariam e Annamaria, la sua migliore amica, lasceranno ai loro Angeli custodi il posto più comodo sul quale sedersi, ritirandosi in un cantuccio, l'una appiccicata all' altra: la presenza dell'Angelo è indiscutibile, c'è.

Durante l'estate Mariam con le sue sorelle accompagna il papà a lavorare nei campi. Ricorda con gioia quelle giornate. Quando il sole si faceva forte e l’aria pesante, le donne accaldate cercavano un po’ di refrigerio sotto gli alberi del bosco e il babbo, dopo aver steso le ultime bracciate d’erba quasi secca sul prato tagliato, conficcava con forza il tridente nella terra dura e si asciugava il sudore sul collo e sulla fronte. Poi prendeva le bambine per mano e le guidava attraverso l’erba alta, che si piegava frusciando sotto i loro piedi. Ben presto arrivavano alla fontana fredda, una sorgente d’acqua freschissima, che scendeva allegramente da un grosso tubo di metallo, per perdersi poi in mille rivoli tra i sassi. Intorno vi erano castagni e robinie. Mariam si chinava a raccogliere l’acqua nel palmo delle mani unite a conca e le sembrava d’imprigionare tra le dita la risata della fontana, ma poi, quando vi accostava la bocca, l’acqua scivolava via e lei si trovava a succhiare con disappunto la pelle bagnata. Allora l'aiutava il papà. Le piaceva immergere il viso nelle sue mani grandi: l’acqua era costretta finalmente a ubbidire e non scappava più. Subito dopo Mariam  correva a sedersi sul suo albero, un’acacia che a pochi centimetri da terra si divideva in tre grossi rami, formando all'interno un minuscolo sedile di legno. Il babbo la chiamava “il trono delle fate”. Mariam si rannicchiava nell’albero e trattenendo il respiro guardava verso l'alto, per vedere le foglie che toccavano il cielo. Si aggrappava con forza e chiudeva gli occhi, finché il tronco, con una spinta formidabile, si strappava dal terreno e volava via. Se guardava giù, vedeva le radici divelte ondeggiare nell’aria e sopra di lei le foglie si spiegavano nel vento come piccole vele. Presto era tra le nuvole e poi andava ancora più su, fino alla casa del Principe… Era impegnata in un gioco fantastico, ma in qualche modo sapeva di pregare.

A sei anni le dissero che era finalmente venuto il momento d'incontrare il figlio del Re. Mariam risente l’emozione e la trepidazione di quel giorno, il giorno della prima Comunione, e con il pensiero ripercorre a passi lenti la navata centrale della chiesa, che per lei è sala del trono, insieme alle sue compagne vestite di bianco. Da quel giorno la sua vita ruota intorno a Gesù: non ci saranno mai segreti tra loro, staranno sempre insieme. Ogni mattina prima di andare a scuola si rifugerà tra le sue braccia. 

La missione di revisione di Mariam continua, tra il desiderio di riuscire e la resistenza interiore. Ha 7 anni e tanto lavoro: bambini da accudire, pulire, fasciare, nutrire con il biberon… Voglia di leggere e di studiare, tra secchi di biancheria da lavare al lavatoio pubblico. Letture strappate rubando pezzi di giornale dovunque si trovassero, i dispetti delle compagne invidiose del suo successo scolastico, il desiderio di prolungare le malattie stagionali per meritare almeno in quelle occasioni le cure materne.
11 anni e niente più scuola. Ore notturne passate a rammendare, giornate dedicate a pulire casa, rifare letti, cucinare pastasciutte, risotti, minestre… carne quasi niente: bollito al giovedì, pollo o coniglio cotti dal babbo alla domenica. Povertà causa di emarginazione, discriminazioni, dispetti, consapevolezza di valere meno delle altre, sensi di colpa. La durezza della mamma, che vorrebbe  una figlia a sua immagine. La scoperta dolorosa della disabilità di uno dei fratelli, a causa di una lesione perinatale.

E poi la parte bella: gli affetti familiari, fortissimi, l’amore ammirato e allegro del papà, la tenerezza della nonna, i piccoli che crescono bene, l’appoggio, la complicità e l’amore solido delle sorelle, un paio di belle amicizie… La scuola ritrovata quasi per caso, le borse di studio, l’apprezzamento dei professori e del parroco; l’oratorio e le sue gioie; la bellezza del donarsi e la passione per il lavoro; la felicità portata dai nipoti. 
L’incapacità di accogliere l’amore, perché il cuore è occupato, e poi l’innamoramento di Lui e la gioia straripante ritrovata ogni mattina, quando  per comunicare tra loro non servivano più le parole: bastava che i loro cuori si accostassero. Si sentiva avvolta da Lui, circondata, protetta, amata. La felicità era incontenibile e lei la spargeva a piene mani. Il principe le regalò la bellezza dei monti e la vastità del mare, la delicatezza dei fiori e la frescura dei boschi, l’austerità del deserto e il profumo dei luoghi lontani. Mariam era convinta che lui ci sarebbe sempre stato per lei e che la gioia avrebbe sempre fatto parte della sua vita, ma non fu così. Un giorno il principe sparì e non si fece più trovare. Lei lo cercò piangendo e struggendosi per il dolore, chiese di Lui a uomini e donne, andò in tutti i luoghi in cui pensava di poterlo trovare, gridò il suo nome, gli mandò testimonianze d’amore e suppliche. Invano. Era l'oscurità della fede, seguita dalla decisione di rimanere comunque consegnata a Lui: non per santità o volontarismo, ma perché non avrebbe saputo fare niente di diverso.
E in quel periodo errori e successi, ansie e paure. Tantissime le delusioni: i tradimenti, le cattiverie, anche da parte di persone care, i pettegolezzi distruttivi, il disorientamento, le promesse non mantenute, l’ingratitudine dei beneficati, l’egoismo di tanti e l’affetto di pochi, le scelte di vita condizionate dalla famiglia…
Le malattie dei famigliari e degli amici, le disabilità, troppe. I mesi passati in ospedale al capezzale di ammalati o morenti, alle prese con il mostro dell’impotenza. Terribili morti di persone amate, troppe, continue morti, alcune inaccettabili. Non voglia di vivere, ogni giorno una pena. La vicinanza di pochi amici veri, l'appoggio indispensabile delle guide spirituali... 
E poi i dubbi. I dubbi…

Autrice Ignota

Immagine di copertina tratta da Children, parents and nannies, childcare illustrations, di Anastasiia AsiOsi.


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Nota 
Questo racconto è completamente inventato. Qualsiasi riferimento a persone o situazioni è puramente casuale. Grazie!!!!