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Liberamente inutili


Contro l'ansia da auto-realizzazione, la libertà di essere inutili: ecco un'innovazione evangelica capace di regalare il vero benessere. 

Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 17, versetti da 7 a 10.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

Mentalità da fariseo

Confesso che poche frasi evangeliche mi danno un senso di felice libertà e di profondo benessere come questa: “Sono una serva inutile”. È chiaramente un paradosso, perché un servo o è utile o lo si manda via.
Eppure io sono convinta che Gesù abbia detto queste parole per liberarci dall’ansia di prestazione, una delle schiavitù più diffuse dei nostri giorni dipinti dall’individualismo e dal bisogno  dell’autorealizzazione a tutti i costi. Uno arriva a una certa età della vita e si sente obbligato a chiedersi se si è realizzato, se i sogni della sua giovinezza si sono avverati, se nella vita lascerà un’impronta importante… e spesso deve dirsi di no. Anzi quasi sempre deve dire di no. Raramente la vita risponde positivamente a tutti i nostri desideri. “Pensavo che mio marito mi avrebbe amata per sempre e invece… pensavo che i miei figli sarebbero diventati questo e quello, che mi avrebbero dato dei nipotini e invece… pensavo che col tempo sarei diventato capufficio e invece guarda qua dove sono rimasto… pensavo di diventare almeno monsignore o vescovo… pensavo di riuscire a farmi una casa… ho tanto voluto dei figli e non ne ho avuti… Volevo solo un po’ di salute… Credevo di fare tutto bene e invece ho sbagliato tutto…”. Questi sono bilanci distruttivi, pensieri destinati a creare sacche di infelicità, a rallentare i passi del futuro. Ma anche dire “Con tutto quello che ho fatto per il Signore, guarda come soffro, come sto male, che cosa mi capita…” anche questo è farsi del male ed è dare a Dio un volto e un ruolo che in realtà non ha. Questa è la mentalità dei farisei che, siccome osservavano la legge, pensavano di obbligare Dio ad avere riguardo nei loro confronti.

Mentalità da discepolo

In netto contrasto con questa mentalità e in aperta innovazione evangelica, il discepolo invece, dopo aver compiuto il proprio dovere, anziché gloriarsi e vantare dei privilegi, continua a sentirsi a completa disposizione non del suo padrone, ma del suo Dio, cioè del suo papà. Perché Dio non è un padrone intento a salvaguardare i suoi diritti, ma un padre che vuole la felicità dei figli e li guarda con benevolenza, perfino con ammirazione.
Guardiamoci anche noi con i suoi occhi, invece di inforcare gli occhiali dell’esaminatore, facciamo tutto il bene che dipende da noi e alla sera andiamo a letto leggeri, proprio perché la valutazione di ciò che abbiamo fatto non dipende da noi. E se pensiamo di non avere combinato niente di buono nonostante i nostri sforzi, possiamo davvero essere nella pace, perché abbiamo la conferma di essere inutili... e lo siamo secondo il Vangelo. 
Il cristiano infatti è chiamato a essere una persona che si dà da fare, senza preoccuparsi dei risultati, perché quelli li vede solo Dio. Noi crediamo di vederli, ma in realtà non sono accessibili ai nostri occhi.
Perché vedete noi siamo molto bravi a fare consuntivi e calcolare entrate e uscite quando si tratta di beni materiali, ma non siamo assolutamente capaci di stendere bilanci quando si parla di vita e in particolare di una vita credente. Non ne abbiamo le competenze. In questo caso bisogna lasciare i bilanci a chi li sa fare, cioè a Dio. Se non fosse così, la vita di Charles de Foucauld, ad esempio, che morì solo, ucciso da un suo beneficato, presenterebbe un bilancio fallimentare... Ma se è per questo, anche l'esistenza di un certo Maestro della Galilea, che finì giustiziato su una croce, non lo sarebbe di meno.

Ho conosciuto una donna

Io ho conosciuto una donna, che era stata prima abusata, poi cacciata dal convento in cui viveva con un’accusa ingiusta e gettata in una vita impossibile e priva di ogni minima soddisfazione. Ebbene, il Signore fece di lei un capolavoro della sua Grazia: la punizione immeritata divenne felicità nascosta e la sua vita si trasformò nell'esistenza più adatta a lei e alla sua santità. Fu una donna dolcissima, dedita completamente al Signore e alla famiglia, mai con le mani in mano, totalmente povera. Quando si fermava dal lavoro, pregava e non appena suonavano le campane, lasciava ciò che stava facendo e correva in chiesa. Di lei colpiva soprattutto il silenzio, rotto soltanto per consolare chi piangeva, per chiedere scusa, per invitare a pregare. Comunicava una serenità sorgiva, una bellezza del vivere mai velata. 
Morì da santa. Nella notte dell’agonia soffrì moltissimo, ma non distolse un attimo gli occhi dal crocifisso. Alla mattina arrivò il prete con la Comunione eucaristica e lei la volle. Ingoiò la particola con grandissima fatica, mi guardò con due occhi che contenevano tutto il firmamento, riuscì persino a sorridere, mi disse esultante, letteralmente esultante: “È qui”, trasse gli ultimi, faticosissimi respiri e morì. Aveva aspettato lo Sposo: era suo diritto entrare in Paradiso abbracciata a Lui, perché era stata sua per tutta la vita. Al suo funerale la gente portò fiori bianchi, perché, disse, quella non era una cerimonia funebre, ma un matrimonio, e ancora oggi ci sono persone che vanno sulla sua tomba a chiedere una grazia, che spesso ottengono. Quanto a me, ogni volta in cui sento la fede sfuggirmi, penso a quegli occhi pieni di Paradiso che mi guardarono prima di chiudersi per sempre. Penso agli occhi di mia zia.

Al capolinea di ogni fatica

Ecco, in realtà se il nostro servizio è utile lo è solo perché al capolinea di ogni nostra fatica c’è Lui a renderla proficua, non perché ci siamo noi, che per Lui sì, siamo preziosi, ma per noi felicemente inutili. L’ha ricordato anche il Papa nell’Evangelii gaudium: “Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi, come pare a Lui”.
Dio non ci dà voti, non ha registri né penne rosse per contare gli errori… perché dovremmo farlo noi? La vita di fede non è una vita di verifiche, anzi la fede rende sopportabili anche le bocciature più pesanti della vita. 
"Siete servi inutili": proviamo ad assaporare più e più volte, nel profondo del cuore, il senso di queste parole e gustiamoci tutta la libera gioia e il benessere spirituale profondo che ci regalano. E poi ringraziamo il Signore.
 
Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Inspired by natura di Margarita Gretsanova