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C'era una volta un uomo (podcast e testo scritto)

Com'è possibile che un giogo, strumento di costrizione e schiavitù, sia dolce e leggero? Scopriamolo con Matteo, attraverso le parole di Gesù. Nel post sono presenti il testo scritto e il podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani).

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Mariarosa Tettamanti,Milano, 14 Luglio" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 11, versetti da 28 a 30 

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Ma come?

Ma come Gesù, io sono stanco e oppresso e tu mi dai anche il tuo giogo da portare? Hai voglia a dire che il tuo giogo è dolce e il tuo peso è leggero, intanto sempre giogo è, e quindi, come ogni altro giogo, pesa. Il giogo, Signore, è comunque uno strumento di oppressione, uno strumento che fa piegare il capo, che fa soffrire l’animale imbrigliato, che non permette di alzare lo sguardo…

Il giogo della legge

In realtà, qui Gesù sta parlando della legge, della sua legge, cioè della legge che Lui ha purificato dalle tante pretese assurde imposte dagli scribi e dai farisei e quindi alleggerita e resa dolce dal  suo amore. Più avanti, nel capitolo 23, Gesù spiegherà bene questo concetto, quando dirà che sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei, che pongono sulle spalle della gente fardelli pesanti e difficili da portare, fardelli che loro tuttavia non portano...

Stanchi e oppressi

Però io ora voglio fermarmi su due parole, i due attributi che aprono il testo: stanchi e oppressi. “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi”. 
E per stanchezza e oppressione non intendo soltanto ciò che deriva dal peso di una legge che dimentica l’uomo… Parlo invece di quella stanchezza esistenziale, che ci viene messa sulle spalle dai dolori reiterati, dalle disgrazie, da quelle morti che non si riesce mai superare del tutto… Parlo… di quel senso di oppressione che viene dalle speranze deluse, dai fallimenti, dalle relazioni difficili e scomposte, da quegli amori traditi o mai veramente corrisposti.
Proviamo ad addentrarci nelle profondità di queste due parole partendo lontano lontano nel tempo e riappropriandoci di una vicenda antica: la vicenda dell’uomo più oppresso della storia, il quale tra l’altro ci insegna qualcosa anche sul rapporto tra il giogo della legge e il giogo del dolore.

C'era una volta un uomo...

C’era una volta un uomo che era molto amico di Dio, seguiva a puntino la sua legge e andava sempre nel tempio a trovarlo. Era un uomo benestante e felice: aveva case, poderi, tanti figli…
Ma un giorno il nemico per eccellenza, quello del quale si ha paura persino a pronunciare il nome, si presentò dal Creatore pieno di tracotanza e gli disse: “Bello per te avere un amico come quello! Gli hai dato tutto! Prova a togliergli tutto e poi vedremo se sarà ancora tuo amico!”. 
E l’Altissimo accettò la sfida: tolse tutto al suo amico: ricchezze, figli, salute... e Giobbe finì su un letamaio perché tra l’altro puzzava, stava male, aveva un prurito indomabile e chi più ne ha più ne metta.
Bene, questa è una storiella, è una leggenda che girava un po’ in tutto l’oriente, secondo il cardinale Ravasi, una leggenda che però divenne a un certo punto per gli autori della Bibbia un motivo di riflessione sul dolore. E guardate che la sofferenza di Giobbe era veramente totale: fisica, l’abbiamo visto, ma anche intrapsichica, perché davanti a lui vedeva solo la possibilità della morte, ed era una sofferenza relazionale, perché tutti lo avevano abbandonato, ma soprattutto era un dolore spirituale, perché in nessun luogo della sua vita, né reale né simbolico, Giobbe trovava più il suo Dio. E lui era piegato, completamente annientato dal giogo del suo dolore.
Ebbene, a quest’uomo disperato si presentarono tre amici: Elifaz, Bildad, Zofar. E che cosa gli dicono questi tre grandi personaggi? “Non ti lamentare Giobbe: se Dio ti punisce così, è perché l’hai meritato. Hai sicuramente peccato, hai trasgredito la legge del Signore”. Eccoli qui i difensori della legge! 
“Ah no!” dice Giobbe “io non ci sto, non è così! Io non ho infranto la legge di Dio. Anzi, è Dio che io chiamo qui ora a rispondere ai miei lamenti, Dio, non voi!”.
E Dio arriva, l’impossibile succede. Dio arriva e non risponde ai perché di Giobbe, non gli spiega niente, non raccoglie nemmeno il suo dolore, le sue emozioni ferite, non cerca neanche di consolarlo.
Che cosa fa invece Dio? Porta il suo amico in un viaggio fatto di parole, attraverso le quali si rivela: gli dice cioè chi è Lui e glielo dice spiegandogli che cosa ha fatto quando ha creato il mondo. 
Ed è lì che Giobbe se ne esce con alcune stranissime parole: “Mi metto la mano sulla bocca (…) Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora il mio occhio ti vede”. Ma che cosa è successo? 
È successo che Giobbe ha avuto un incontro con Dio, e ne ha conosciuto, attraverso questo viaggio verbale, la grandezza e la  verità... ma insieme ha visto e riconosciuto la propria piccolezza. In poche parole, Giobbe "capisce di non capire": non può capire Dio fino in fondo, ma sa di potersi fidare di Lui, comprende che nella fede, solo nella fede, tutto ha un senso e nulla patisce l’assurdo. E allora il dolore non è più devastante.
Giobbe ci consegna un concetto di fede che è lotta e ricerca, è un chiamare Dio a gran voce, con toni forti, ma poi diventa fiducia, e così, nonostante tutto, l’amore per la vita può balzare su dalle profondità dell’esistenza ferita. E Giobbe scopre ciò che possiamo scoprire anche noi: quando si gratta il fondo del dolore, si trova la gioia della Sua presenza.

Come Gesù ci ristora

Ecco allora come ci ristora Gesù: ci invita ad andare da Lui, ci fa vedere chi è Lui, mostrandoci la sua identità più intima, che è mitezza e umiltà, e con questa mitezza e umiltà ci contagia. E poi ci dice: “Ora prendi pure il mio giogo, perché ci ho pensato io a renderlo leggero e dolce: porterai questo giogo per te, non contro di te. Porterai il giogo di una Parola e di una legge che formeranno le basi della tua fede e saranno ali per volare con me sopra tutti i tuoi dolori e anche sopra i tuoi veri o presunti fallimenti”. “Vieni a me” dice Gesù.

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Shutterstock di Bala Lush.