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Per la loro sete


Ecco la terza e ultima lettera per i genitori: questa volta parliamo di religiosità, cioè del bisogno di Dio che alberga nel cuore di ogni uomo. Per questo invitiamo ad intraprendere tre viaggi: all'inizio della civiltà umana, nel mito biblico delle origini e nell'esistenza individuale di ogni uomo. Si tratta di un discorso impegnativo, che in qualche situazione chiederà di essere semplificato.
Per la proposta sintetica vedi il post "Pedagogia eucaristica".

N.B. Come la prima e la seconda lettera (Quelle marce in più e Per la loro felicità) anche questa è molto lunga e può essere eventualmente spezzata in vari momenti, oppure usata in uno o più incontri con i genitori su questo tema.

Carissimo papà e carissima mamma,

eccoci alla terza lettera, nata come le altre due per rispondere alla domanda che ha dato l’avvio alla nostra riflessione: “Perché devo mandare mio figlio a Messa?”. Abbiamo già visto due buoni motivi: 1) la frequenza alla celebrazione eucaristica educa tutte le dimensioni della personalità infantile; 2) formando alla fede, essa porta sulla soglia dell'autentica felicità.
Ora vorrei dimostrarti che una delle motivazioni che “impongono” la scelta di mandare i bimbi a Messa sta nel loro cuore, cioè in una loro esigenza emotiva, che nasce però dalla struttura stessa dell’uomo. Per questo ti invito a entrare con me in tre importanti ambiti di indagine: l'inizio dell’umanità nella preistoria, il mito biblico delle origini e la vita di ogni singola persona. Si tratta di un discorso un po’ più impegnativo dei precedenti, ma è sicuramente affascinante: te lo prometto.

Ai primordi dell'umanità

Retrocedendo nel tempo, andiamo innanzitutto ai primordi dell’umanità, in compagnia degli storici delle religioni, i quali possono documentare che in tutti i gruppi umani e in tutti i popoli della preistoria e dell’antichità si è manifestato il fenomeno religioso, attraverso riti officiati da sacerdoti, preghiere, edifici adibiti al culto. 
Prendiamo ad esempio i Camuni, che tutti noi conosciamo, cioè il popolo preistorico che abitò la Valcamonica: nelle loro incisioni rupestri (se non le hai ancora viste ti consiglio una bella gita di famiglia da quelle parti) non raccontano, come si credeva una volta, la loro vita, ma “pregano”, cioè si rivolgono agli dei, in particolare al dio Sole, chiedendogli ad esempio una buona caccia. Le incisioni più antiche risalgono al Mesolitico (VIII-VI millennio a.C.) e arrivano all’Età del Ferro (I millennio a.C.): esse si prolungano quindi per 8000 anni e testimoniano l’esistenza di riti celebrativi, commemorativi, iniziatici e propiziatori, perciò di una religione strutturata. Abbiamo tantissime altre manifestazioni di questo tipo nelle pitture rupestri e in altri reperti lasciati dalle civiltà preistoriche.
Ora, noi sappiamo che, in tutte le età della preistoria e della storia, l'uomo ha sviluppato competenze e abilità soprattutto per rispondere ai bisogni primari, cioè per nutrirsi, ripararsi, riscaldarsi, guarire se ammalato, riposare, riprodursi, difendersi… m
a a quale bisogno rispondeva la religione? 
Gli studiosi della fenomenologia del fatto religioso ci parlano a questo proposito del bisogno del sacro insito in ogni uomo, dettato dalla contemplazione della natura e dalle incertezze e paure che accompagnavano la loro vita: così come la fame creava l’esigenza e l’esperienza di nutrirsi e il freddo l’esigenza e l’esperienza di ripararsi, lo stupore per la bellezza e la grandiosità del creato, insieme al timore per i pericoli sempre incombenti nella vita, portava a vivere il “numinoso”, cioè l’esperienza di una presenza invisibile, maestosa e potente, sacra e soprannaturale.

Il mito biblico delle origini

Questa esperienza è raccontata molto chiaramente dal mito biblico delle origini. Lo rivediamo brevemente insieme, con la consapevolezza di camminare sul sentiero dei simboli, cioè tra immagini che alludono a realtà “altre”. 
Nella fonte genetica dell’uomo, quando Dio ebbe terminato di plasmare il pupazzo di terra (cioè di materia) che volle bello quasi quanto sé stesso, dopo che l’ebbe animato con il suo soffio vitale (cioè dotato di anima) e reso doppio dando vita a una sua costola (cioè creando la donna con la stessa natura e dignità dell’uomo), apparvero nel maschio e nella femmina l’immagine e la somiglianza con il Creatore. 
Proprio perché ciò che è simile non è uguale, però, la somiglianza con Dio non poté non evidenziare nell’uomo la sua distanza dall’Onnipotente e si trattò di una differenza che fu mal sopportata dai progenitori, tant’è che il diabolico serpente (Satana) ebbe gioco facile a tentarli proprio su questo: “Se mangerete il frutto proibito (cioè se rifiuterete il progetto di bene voluto da Dio), diventerete come Lui”. Dopo il grande rifiuto del bene, la distanza da Lui incominciò a reclamare a gran voce, nei fatti, il suo bisogno di essere colmata (è anche questo il senso della vergogna provata dall’uomo e dalla donna, quando “si accorsero di essere nudi”, cioè di essere delle semplici creature, ben lontane dalla grandezza del Creatore).

La religiosità

Si trattava di un sentimento d’incompletezza chiamato religiosità, che abita l’anima dell’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi. A questo proposito, Norberto Bobbio, un filosofo dichiaratamente non credente, scriveva: “Religiosità significa per me avere il senso dei propri limiti, cioè sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo.” E Martin Buber, filosofo, teologo e pedagogista, afferma che la religiosità si manifesta in espressioni e forme diverse, ma è sempre “materiata di stupore e di adorazione dell’esistenza di un assoluto”.
Dal punto di vista della storia delle religioni è quindi possibile farla più o meno coincidere con il concetto di numinoso, di cui parlavo prima, cioè con l’intuizione di una potenza arcana e soprannaturale che è sopra, accanto e dentro sé stessi. La religiosità pertanto è la capacità d’intuire il senso incompiuto di sé e il senso di Dio come forza che sostiene e incombe; è la coscienza pre-riflessa di un legame originario che attrae, esalta e insieme incute timore; è un’esperienza profondamente umana, che però avvicina al mistero. Essa si nutre del pensiero controfattuale, proprio dell’uomo fin da quando è bambino, cioè della possibilità d’immaginare alternative agli esiti della realtà, andando oltre il mondo delle cose e al di là di ciò che esse appaiono.

Nell'esperienza umana

Sul piano dell’esperienza umana, afferma la filosofa Anna Peiretto, la religiosità nasce e si sviluppa con l’uomo, nell’intelligenza emotiva,  lo spazio che inizialmente rende capaci di stare davanti al mistero, e forma la dimensione spirituale. Sentirsi chiamati alla vita, ad esempio, sperimentare un tipo di gioia che va oltre il dato sensibile, vivere uno stupore che rimanda a Qualcuno di immenso e sconosciuto, sapersi abitati da Qualcosa che ci trascende, accedere al pensiero simbolico… sono dimensioni proprie della religiosità, presenti nell’uomo fin da bambino, e che si riscontrano poi nell’esperienza di fede e di preghiera, sostanziando l’azione liturgica.

Una precisazione doverosa

A questo punto è doverosa una precisazione: io non sto cercando di dimostrare l’esistenza di Dio (nessuno può farlo, come nessuno può dimostrarne l’inesistenza), ma sto semplicemente dicendo che la religiosità è presente in ogni uomo e crea il bisogno di Dio (o del sacro), bisogno che chiede una risposta come tutte le altre esigenze umane. E come ogni altra dimensione umana, anche l’aspetto spirituale esige di essere educato. 
Nei tuoi bambini e in te stesso (se non lo neghi) esiste dunque questa domanda, la quale, se viene disattesa, crea dei vuoti che possono essere soffocati con vari espedienti, ma non eliminati: L'anima mia ha sete del Dio vivente recita il salmista.

L'iniziativa di Dio

Proprio perché comprende questo nostro bisogno, Dio stesso si è avvicinato all’uomo, attraverso un processo graduale. Dapprima, nell’Antico Testamento, si è reso vicino al suo popolo, mediante l’incontro con i patriarchi, e poi si è addirittura incarnato, cancellando, non solo le lontananze temporali e cosmiche, ma anche le differenze fisiche e fisiologiche, assumendo il DNA di Maria, cioè di una di noi. Da quel momento, per l’uomo si è realmente aperta la possibilità di cercare di “diventare come Dio”: non contro di Lui, come fecero i nostri progenitori, ma con Lui, che si è fatto uomo anche per essere imitato.

Il percorso del cristiano

Il primo passo di questo cammino avviene con il Battesimo, in virtù del quale la creatura diventa figlia e la paternità divina crea un legame profondo che sopprime la lontananza. Ma la possibilità di diventare Lui (non solo “come” Lui) ci è data proprio dall’Eucaristia, il sacramento del pane, cioè del nutrimento, in cui le fibre della carne di Gesù si avvolgono e s’intrecciano con le fibre della nostra carne e le due carni si confondono e diventano una, così da non sapere più dove finiamo noi e dove incomincia Lui, dove finisce Lui e dove incominciamo noi. Tutto Gesù Cristo è allora presente in noi: corpo, sangue, anima e divinità. È questa la risposta suprema al nostro bisogno di Dio, al bisogno del sacro, alla religiosità: solo nell’Eucaristia il nostro cuore può riposare, perché trova ciò di cui sente l’insopprimibile esigenza.
Il percorso del cristiano allora è chiaro: dalla religiosità come intuizione dell’Assoluto ad un vissuto da figli nel Battesimo, dalla conoscenza di Dio nella catechesi fino all’inverarsi della vita divina nella nostra, attraverso la partecipazione alla celebrazione eucaristica. L’Eucaristia ci rende Gesù, ci rende Dio, anche sul piano dei risultati fattuali, senza mezzi termini e senza simbolismi: bisogna però provare, sperimentare, vivere la Messa con costanza e impegno.

Manderai dunque i tuoi bambini alle celebrazioni eucaristiche domenicali? Anzi, ci andrai? Avrai il coraggio di ritrovare dentro di te il bisogno profondo di Dio e gli darai una risposta? Io te lo auguro perché ti voglio bene in modo totale, in modo intenso, in modo autentico e soprattutto perché mi sta a cuore la felicità tua e della tua famiglia.

Mariarosa

Immagine di copertina tratta da Pexels di Artem Podrez.