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Storie in cerca di lieto fine (podcast e testo scritto)


Ci sono pagine del Vangelo di un'attualità sconcertante. Ad esempio questa. Quarta puntata dell'incredibile storia vera. Testo scritto, podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani) e illustrazione di Virna Paghini. Per ascoltare, clicca sul pulsante con la freccia bianca all'interno. 

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 2, versetti da 13 a 18
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio. Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più.

... Ma non è una fiaba!

C’erano una volta un papà, una mamma e un bambino molto piccolo. Il bambino era in realtà un principino, ma nessuno lo sapeva. La famigliola viveva felice in un piccolo paese, fino a quando il re di quel territorio scoprì l’esistenza del piccolo principe e decise di ucciderlo, perché aveva paura che, una volta cresciuto, gli avrebbe sottratto il trono. Per fortuna il papà del principino aveva un amico importante, che lo avvisò dell’intenzione del sovrano cattivo e gli consigliò di scappare in un Paese vicino, così il re non l’avrebbe trovato. La piccola famiglia fece proprio così: scappò di notte, in silenzio, in modo che nessuno la vedesse e facesse la spia ai soldati del re…
Ecco, se questo episodio del Vangelo fosse una fiaba lo racconteremmo così e avremmo tutti i personaggi tipici delle fiabe: i protagonisti buoni, l’antagonista cattivo, l’aiutante un po’ magico. E avremmo anche la vittoria finale dei protagonisti.
Invece questa non è una fiaba, ma una storia vera, nonostante le discussioni sulla sua storicità, che però in questa sede interessano poco: è la storia di una giovane coppia, che ha avuto il suo primo figlio, un bel maschietto, ed è costretta a fuggire dall’arroganza del potere, che vorrebbe impadronirsi del piccolo e sopprimerlo. È una specie di esodo al contrario: invece di andare verso la patria, questa famigliola è obbligata ad allontanarsene, invece di uscire dall’Egitto essa ci entra, per abitarci fino alla morte per vermi dell’infuriato Erode il Grande (che di grande aveva soltanto il nome e la crudeltà). Possiamo solo immaginare quale dispiacere e quali pensieri abbiano attraversato la loro mente e il loro cuore e proviamo una struggente tenerezza per questo bambino, costretto fin da piccolo ai disagi della fuga e dell’emigrazione.
Egli però è nientemeno che il figlio di Dio e quindi Dio stesso interviene per metterlo in salvo, riportando l’esodo alla sua giusta direzione. Questo piccolino è il nuovo Mosè, il grande condottiero degli Ebrei, scampato alla morte decretata per lui dal faraone.

La disperazione degli innocenti

E mentre questa famiglia fugge salvandosi, il destino di molte altre si apre a una disperazione senza limiti: il re sanguinario non si ferma, vuole a tutti i costi preservare intatto il suo potere e per questo fa uccidere tutti i bimbi di Betlemme, i figli di Rachele, loro antenata, che pianse molti anni prima gli uomini di Efraim, di Manasse e di Beniamino, massacrati o deportati dagli Assiri. Quanti saranno stati questi poveri bambini? Il Vangelo non lo dice: qualcuno pensa venti, qualcun altro dodici… Questo però non importa molto: anche se si fosse trattato di un solo bambino, il crimine sarebbe orrendo, imperdonabile. La storia della fuga in Egitto non è una fiaba e non ha un lieto fine.

Le storie che aspettano il lieto fine

Ma ora, come non riconoscere in questa famiglia i tanti profughi che approdano sulle nostre spiagge e quei genitori che affidano i loro piccoli alle braccia di soldati sconosciuti, nel tentativo di metterli in salvo? Come non vedere in questi innocenti immolati sull’altare della crudeltà di Erode i bambini morti durante le traversate tumultuose in cerca di una vita migliore? Grida, pianti, lamenti: fino a quando le tante Rachele della storia dovranno piangere i loro figli, in questa Rama grande quanto il mondo? La storia della fuga in Egitto non è una fiaba e non ha un lieto fine, la storia della fuga in Egitto è in realtà tante storie che attendono il lieto fine di un futuro buono… e lo aspettano da noi. Da noi. Ma quanti di noi si nascondono dietro la famosa frase “Bisogna aiutarli a casa loro”, per negare accoglienza e aiuto ai profughi in fuga da guerre e dittature?
Una volta ho chiesto a un immigrato arrivato su un barcone, che mi parlava con nostalgia della sua terra, perché mai avesse deciso di affrontare pericoli mortali e di rimanere in Italia, dove pure non si sta poi così bene. “Signora” mi ha detto “io qui mangio, sono sicuro di non morire di fame; se mi ammalo posso andare in ospedale dove mi curano bene, posso mandare le mie bambine a scuola e posso parlare senza essere arrestato o addirittura ucciso. Queste sono le cose che voi avete e noi no: il necessario per vivere, delle cure mediche adeguate, l'istruzione per tutti e la libertà. Io dall’Italia non me ne vado”.
Che cosa faremmo noi al suo posto? Pensiamoci, prima di blaterare e pronunciare giudizi impietosi… Pensiamoci, ma prima di pensarci rileggiamo il Vangelo. Grazie.


N.B. Questo articolo è in realtà un commento, chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che commenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Deserto monocromatico di Juliana Cauvilla.