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E Gesù prese un bambino (podcast e testo scritto)




Da un'equivalenza rivoluzionaria alla colpa della macina a un esercito di santi perseguitati. Podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani), commento scritto  e illustrazione di Virna Paghini per il  Vangelo secondo Marco (9,30-37). Per ascoltare, cliccare sul cerchietto giallo con una freccia bianca al centro.

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Maria Rosa Tettamanti, laica formatrice diocesana di Milano - 19 settembre 2021" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Marco, capitolo 9, versetti da 30 a 37
Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Un’equivalenza rivoluzionaria

Gesù parla della sua morte e i discepoli discutono su chi sia il più grande tra loro: sono così concentrati su sé stessi e sul loro bisogno di primeggiare da non capire il dramma che sta vivendo Gesù. Il quale però non se la prende e risponde al loro inutile quesito, stabilendo un’equivalenza tra grandezza e servizio: è grande chi serve. 
Non fa classifiche Gesù, ma prende come unità di misura un bambino, lo dichiara l’ultimo e ne fa il primo. A Gesù piace ribaltare gli schemi. Poi dice: “Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me; e chi accoglie me… accoglie… Colui che mi ha mandato”. Questa frase è veramente rivoluzionaria, perché esprime una triplice corrispondenza. Gesù infatti non dice “Chi accoglie uno di questi bambini è come se accogliesse me”, ma “accoglie me”. E non dice “Chi accoglie me è come se accogliesse il Padre”, ma “accoglie… il Padre”. Allora non siamo di fronte ad una similitudine, ma ad un’equivalenza vera e propria, a una coincidenza di identità, che Gesù stabilisce tra sé stesso e i bambini e tra sé stesso e il Padre.
Bambino = Gesù/Gesù = Padre.
Quindi fare qualcosa per un bambino significa farlo per Dio. Di conseguenza non fare qualcosa per un bambino è negare qualcosa a Dio e fare del male a un bambino è farlo a Dio. Sono Parole di una chiarezza assoluta: non lasciano spazio a nessuna interpretazione che si discosti dal messaggio nudo e crudo. I bambini sono sacri come lo è Dio; quando guardiamo un bambino contempliamo la sacralità di Dio.

La colpa della macina

Per questo poco più avanti il Vangelo parla di un peccato più grande persino dell’omicidio: “Chi scandalizzerà uno di questi piccoli, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e venga gettato nel mare”. Per questo ogni volta in cui scoppiano scandali di abusi sui bambini, soprattutto se commessi da consacrati, la nostra coscienza si ribella e apre in noi lo squarcio di una grande sofferenza, a volte accompagnata dalla vergogna.
Se potessi parlare ai presbiteri che si macchiano della colpa che merita la macina, li supplicherei di lasciare il ministero al primo pensiero indegno rivolto “ai piccoli”: andate via subito, non lordate la missione sacra che avete scelto, non devastate il campo di Dio, scappate, via via, non perdete voi stessi e gli altri. Io non vi giudico, ma vi chiedo in ginocchio di fermarvi prima ancora di incominciare: il male che fareste è immenso, nemmeno immaginabile da mente umana.

Un esercito di santi perseguitati

Se però la nostra sofferenza è giusta e inevitabile e la nostra preghiera è sacrosanta e indispensabile, la vergogna non ha ragioni, perché dimentica le migliaia di sacerdoti santi, che portano avanti il proprio ministero con tenacia e passione.
Che cosa è rimasto oggi ai pastori in cura d’anime? Uno sparuto gruppo di cristiani legati alla parrocchia, spesso litigiosi e maldicenti, una diffidenza iniziale suscitata e fomentata dai media, golosamente rovesciati su tutto ciò che fa scandalo, e nemmeno una voce in loro difesa. Persino le donne anziane non li stimano più come una volta, persino loro si lasciano condizionare dal chiasso indecente dei social.
È certamente compito della Chiesa nei suoi vertici prevenire e strappare senza esitazione i frutti marci, ma credo che tocchi a noi laici aiutare la società a discernere il grano dal loglio, insegnando ai nostri figli il rispetto e la fiducia verso i loro veri pastori, ridando amore e sostegno a chi per noi ha lasciato tutto e ha rinunciato alle cose più belle della vita... per rincorrere e mostrare al mondo quelle ancora più belle. Invece le indagini più recenti dicono che i nostri giovani non si fidano più dei preti.
Eppure io conosco dei seminaristi, un tempo fidanzati con delle brave e belle ragazze e laureandi in ingegneria o giurisprudenza, i quali, avendo avvertito una chiamata che non ammette repliche né indugi, sono partiti… E ora guidano gli oratori, occupandosi anche, e con successo, di bambini disabili, così problematici che nessuno li accetterebbe in un campo estivo non specializzato. E poi vanno in vacanza con i giovani, portando con sé anche ragazzi con problemi psichici, prestano servizi negli ospedali… e così via. Chi, tra i figli della movida, sarebbe capace di assumersi impegni così gravosi? E tuttavia essi vengono spesso, senza nessuna ragione, presi a male parole, così, lungo la strada, e c'è persino chi va a sconciare con i propri liquidi fisiologici la porta della loro casa. Questi giovani eroi raccontano queste cose con luccichii negli occhi che stringono il cuore.
I nostri preti stanno vivendo in silenzio momenti terribili, di vera e propria persecuzione, e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Tutti osanniamo san Francesco, che accettò sorridendo le persecuzioni, ma quando lui cammina tra noi, non lo vediamo. Se le prime vittime dei pedofili ecclesiastici sono i bambini, subito dopo vengono i loro confratelli, che scontano con la sofferenza e la santità questo orrendo peccato, in una specie di espiazione vicaria che Dio non vuole, ma accoglie.
Amici, cattolici, assicuriamo la nostra ammirazione, la preghiera e il sostegno ai nostri preti, facciamolo insieme: dobbiamo a loro la discesa di Dio sull’altare e il perdono dei nostri molti peccati. Non dimentichiamolo mai. Per piacere.

NB. Questo articolo è in realtà un commento che l'autrice ha donato alle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa lodevole, che porta ogni giorno la Parola di Dio in tutto il mondo, orientando le fatiche quotidiane di chi ascolta e dipingendole con colori liberi e nuovi. 

M. Tettamanti

Immagini di copertina tratte da Foto stock royalty free con ID 1130405621 Di Sharomka.