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Se la morte non fa più paura (podcast e testo scritto)

 

Che cosa rimane a un genitore che perde un figlio? Rimangono giornate depredate di amore e di vita, ore vuote di senso e pesanti di dolore... Podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani) e commento scritto al Vangelo di Matteo 9,18-25. Per ascoltare dal podcast cliccare sul cerchietto giallo con una freccia bianca al centro.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 9, versetti da 18 a 25.
Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.
Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell'istante la donna fu salvata.
Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che fu cacciata via la gente, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò.

Gesù si misura con la morte  

Che cosa rimane a un genitore che perde un figlio? Rimangono giornate depredate di amore e di vita. Restano ore vuote di senso e pesanti di dolore, notti troppo lunghe, echi lontani di risate e di una felicità che non tornerà mai più. E il male sbrana il cuore con tale profondità da spingere a gesti assurdi, come quello di prostrarsi davanti a un maestro della Galilea implorandolo di rimettere il respiro nei polmoni fermi di una bambina chiusa nel freddo della morte. “Mia figlia, mia figlia è morta” dice uno dei capi. E Gesù invece non dice nulla, si alza e lo segue: è normale per Lui misurarsi con la morte… e vincerla, in attesa dell’ultima battaglia e dell’ultima vittoria.

Una malattia imbarazzante

E mentre va, Gesù è inseguito da una donna, che porta l’insopportabile peso di una malattia innominabile. “Dodici anni sono lunghi. E questo sangue che se ne va e sfinisce e non lo si può raccontare a nessuno… Devo riuscire ad arrivare al Maestro e aggrapparmi al suo mantello senza farmi riconoscere, devo riuscirci” pensa: si vergogna anche con Lui, con il Maestro; nemmeno Lui deve sapere, sarebbe troppo imbarazzante dover spiegare. Ma Gesù si volta e la vede: che bello questo girarsi del Maestro verso l’improvvisata discepola per vederla… perché quando si ama è importante vedere il volto della persona amata.
“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” Ma che cosa c’entra la fede? C’entra, perché il malessere del corpo è sempre connesso al disagio dell’anima: entrambi chiedono di essere sciolti e sanati e Gesù che lo sa ricorda a lei e a noi che la guarigione è a 360° gradi: la salute fisica ritrovata non è sufficiente a star bene. Ed è qui che il sangue della donna si arresta nelle vene e nelle arterie guarite, ma solo lei lo sente, solo lei sa che il suo grembo è sanato e si muove ormai in sintonia con il canto dell’anima colmata di fede e di gioia. La guarigione è completa.

Tutto qui

Intanto Gesù arriva alla casa del capo, dove è ormai incominciato il compianto per la piccola morta. “Andate via” dice il Signore “non c’è bisogno di voi, la bambina dorme”. Quanta libertà, quanta pace in queste parole: “Dorme, sta bene, non preoccupatevi, non fatela lunga. Mettete via i flauti, teneteli per la prossima festa, andate a casa”. Le prende la mano: la mano piccola e fragile di una bimba sparisce dentro la mano grande e ferma di Gesù… e lei si alza. Tutto qui.

Gesù e i sofferenti

Gesù è stato in contatto continuo, ininterrotto, con i sofferenti. Essi sono penetrati a fondo nella sua vita e l’hanno interpellata costantemente con domande di guarigione e di liberazione. Lui ha sempre risposto alle loro richieste, però non ha guarito tutti gli ammalati, non ha tolto il male dai nostri territori. Ancora oggi ci sono genitori costretti ad abitare l’inferno delle pediatrie oncologiche, madri d’Africa che vedono i figli morire… e da molto tempo troppe bare popolano le nostre giornate, troppi fratelli muoiono soli nei sudari del covid. 

Perché?

Perché? Non lo sappiamo, ma sappiamo che il dolore, questo frutto mostruoso del nostro limite e del rifiuto a Dio, ha chiamato l’incarnazione. Per vivere con noi questo dolore impossibile alla perfezione della divinità, Dio si è fatto uomo e ha accettato di morire sulla croce; per noi ha bevuto il calice dell’iniquità e del ritrarsi del Padre. Ai nostri perché, Gesù dà una sola risposta: “La bambina dorme”. 
Dopo la sua risurrezione, la morte come fine è solo apparenza; in realtà ha la consistenza del sonno, è soltanto la breve attesa di una mano forte e calda che ci sveglia e ci fa alzare, per entrare abbracciati in Paradiso. 
La morte, gioioso preludio per l’eternità. Rallegriamoci per questo: se la morte non fa più paura, nulla potrà spaventarci. 

NB. Questo articolo è in realtà un commento che l'autrice ha donato alle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che porta ogni giorno la Parola di Dio nelle famiglie e sui luoghi del lavoro,  dando alle nostre giornate colori liberi e nuovi. 


Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Mariarosa Tettamanti, laica formatrice diocesana Milano - 05 luglio 2021" su Spreaker.


Mariarosa Tettamanti

Immagini di copertina tratte da Primo sguardo sul mondo di Barbara Monacelli e Sguardo di Frank Blindblues.