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Chi ha vinto a Wembley?



Ma è proprio vero che a Wembley l'Italia ha vinto?

Confesso di non avere mai capito il calcio. Da piccola sentivo i miei parenti discutere animatamente in cortile, difendendo l’Inter o la Juve, e dai loro discorsi traevo divertimento per contagio, ma non mi chiedevo chi avesse ragione: semplicemente non mi sembrava sensato schierarsi da una parte o dall’altra… in fondo, vincere o perdere erano fatti loro, dei giocatori, i miei interessi erano altri.
Un giorno uno zio, grande tifoso della Juventus, cercò di spiegarmi la bellezza del calcio come spettacolo; non mi convinse per nulla: per me spettacolo erano il teatro, l’opera, i concerti, perfino la lettura, se nutrita di immaginazione, insomma tutto ciò che raccontava una storia. Il calcio invece che cosa narrava? Nulla, a parte corse, corpi sudati, gesti scomposti, passioni immotivate, qualche imprecazione… Molto banalmente mi chiedevo che cosa ci fosse di bello nel riuscire a infilare una sfera di gomma in una specie di arco quadrato e dotato di rete, sottraendola a degli avversari. Naturalmente ero troppo piccola per intuire i sottintesi sessuali e maschilisti implicitamente dichiarati dall’azione dei goleador.

Ho detestato il calcio

Anni dopo, quando divenni insegnante, arrivai a detestare il calcio, sulla scia di un’esperienza deprimente. Avevamo in classe, le mie colleghe e io, bambini molto intelligenti e interessati a tutto ciò che si faceva a scuola, aperti al nuovo e al bello, che improvvisamente però, arrivati più o meno in terza elementare, si spegnevano, per svegliarsi soltanto durante l’intervallo, quando si riunivano per confabulare tra loro, dimenticandosi persino di mangiare la merenda. Che cosa era successo? Semplicemente erano entrati a far parte di una squadra di calcio e tutto il loro interesse si era focalizzato intorno al pallone. Il loro entusiasmo era spesso fomentato dai genitori e dal sogno di allevare un piccolo campione che avrebbe dato ricchezza e fama a tutta la famiglia. Cercavamo di infiammare le menti e i cuori  dei ragazzi con nomi e vicende legati alle scoperte scientifiche, che avevano cambiato le sorti dell’umanità e salvato migliaia di vite umane, all’arte, alla poesia, alla santità, ma, mentre gli altri alunni ci seguivano con fervore, solo i nomi dei vari Del Piero, Totti, Dybala accendevano gli sguardi dei piccoli calciatori. 
Sul calcio, ci ponevamo una marea di perché. Perché i calciatori (e per estensione i protagonisti della televisione) erano pagati così tanto, in aperto spregio a chi nel mondo continuava a soffrire la fame? Era possibile che nessuno di loro si rendesse conto della situazione colpevole nella quale stava vivendo?
Per farla breve, riuscii a battere i miei ragazzi sul loro stesso terreno: organizzai settimanalmente, 
durante le ore di educazione motoria, d'accordo con la mia collega, le OdC (Olimpiadi di Classe)proponendo a turno tutti gli sport olimpici, con delle regole ovviamente adeguate ai bambini. L’entusiasmo della competizione salì alle stelle, anche fra i nostri amati calciatori, i quali scoprirono modi diversi per divertirsi e mettersi alla prova fisicamente, imparando nel contempo ad apprezzare quei compagni che sul campo da calcio valevano magari poco, ma eccellevano in altri sport. Intanto io, da appassionata maestra di italiano, approfittavo della motivazione risvegliata, per impegnare a turno i ragazzi nel gioco dei giornalisti sportivi, insegnando a scrivere una cronaca, a impostare un’intervista, a formulare commenti, a partecipare a dibattiti… Prima di ogni gara prendevo in esame con i bimbi le regole dei giochi e al termine riflettevamo sui comportamenti mantenuti, così anche l’educazione comportamentale e relazionale ne trasse grande vantaggio.
Quando l’Italia vinse i mondiali di calcio io ero in Sardegna per una settimana di spiritualità. Mi lasciai coinvolgere dalla gioia degli altri, ma non si trattò mai di una felicità veramente mia: non capivo perché si potesse essere felici per una vittoria che tutto sommato metteva qualcosa solo nelle tasche degli addetti ai lavori e certamente non aggiungeva salvezza né bellezza all’umanità.

Ho apprezzato il calcio

Per questo mi sono meravigliata quando domenica sera, alle finali del campionato europeo, forse complice il lungo lockdown che ci ha privati di molte piccole gioie, mi sono sentita trascinare dentro un flusso di emozioni positive, che mi ha fatto desiderare la vincita dei calciatori italiani, mi ha dato una piacevole trepidazione e mi ha regalato infine una gioia inaspettata, dolce e perfino un po’ orgogliosa per questa patria che dimostrava di valere qualcosa anche sul campo da calcio. Ho guardato con simpatia ai nostri giovani atleti, che avevano affrontato sacrifici non indifferenti per arrivare a questo risultato. Ho cercato di non pensare che la pretesa di aver fatto un grande regalo all’Italia era in realtà inquinata dal fatto che il più grande regalo l’avevano fatto a sé stessi e al loro portafoglio. Ero contenta insomma e contenta mi sono addormentata.

Odio il calcio

Poi è arrivata la patetica sfilata del carro dei vincitori e la tronfia superbia dei falsi eroi. Mancavano soltanto i vinti in catene, per celebrare una vittoria che stava prendendo le tinte fosche della protervia di chi, per non rinunciare a un momento di gloria, stava infrangendo la legge che protegge le persone da un contagio mortale, minacciando (avete letto bene: minacciando) di non andare il giorno dopo a Palazzo Chigi. “Ma chi vi vuole?” si sarebbe dovuto rispondere: “Chi vi vuole? State pure a casa. Se perde un campionato, l’Italia rimane ciò che è e nessuna virgola sarà cambiata nei libri della storia, ma se si perde colpevolmente una sola vita umana, qualcuno dovrà rispondere, oggi alla sua coscienza e domani al tribunale di Dio. Avete un bel dirvi che Dio non c’è, ragazzi miei: dentro di voi sapete che Lui c’è e vi chiederà conto dei vostri fratelli, come fece con il gemello dell’innocente Abele. E allora pregate, perché nessuno muoia per causa vostra: guai a chi baratta il proprio orgoglio e la smodata voglia di divertimento con la vita umana. Guai a lui”.

Ecco perché

Ecco allora perché a Wembley nessuna nazione ha vinto: diciamo pure che ha vinto la squadra di Mancini, o al massimo che hanno vinto gli Azzurri, ma non diciamo che ha vinto l'Italia. In realtà abbiamo perso tutti, soprattutto hanno perso tutto i nostri bambini, che una volta di più faranno i conti con modelli vuoti, con scale di valori ribaltate, con confusioni etiche destinate a ripercuotersi negativamente sulla loro vita. Pensiamoci… se non è già troppo tardi.

M. Tettamanti

Immagini di copertina tratte da Supporter.no animation film