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Costretti a vivere un Natale santo



Natale 2020, la festa che porta la rivoluzione linguistica negli auguri.

Carissime amiche, carissimi amici, 
questo è un Natale diverso e per un Natale diverso ci vogliono auguri diversi. Si può dire “Buon Natale” (o "Buone feste natalizie") a chi quest’anno ha perso un famigliare e si troverà a contemplare un posto vuoto, senza nemmeno poterlo occupare con qualcun altro? Si può dire “Buon Natale” a chi ha i pensieri appesi al letto di un famigliare ammalato, o deve spendere ogni minuto di vita a gestire una persona disabile che non capisce e non sopporta la clausura del lockdown? Si può dire “Buone feste natalizie” agli orfani, che non possono avvicinarsi nemmeno ai nonni o alle zie, inadeguati ma desiderati sostituti dei genitori? Si può infine dire buon Natale, o buone feste natalizie, agli stessi nonni e zii costretti a contemplare la loro vecchiaia improvvisamente vuota di presenze e di senso? No che non si può, a meno di essere falsi e menzogneri. Questo per tutti loro non sarà un buon Natale  (come non ci sarà un buon Capodanno e nemmeno una buona Epifania) e lo sforzo per essere (o mostrarsi) nonostante tutto sereni rischierà di peggiorare la loro situazione: il volontarismo uccide come il lasciarsi andare. Possiamo dimenticarci di tutto questo, anche per un solo giorno, si tratti pure del giorno di Natale? No, evidentemente.

Eppure 

anche per loro (e per tutti noi) il cammino nelle tenebre sfocia nella grande luce; anche per loro (e per tutti noi) la gioia si moltiplica, la letizia aumenta, “ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato” e "a tutti è dato un Figlio" (Is. 9,1-5).
Ma come salvare le promesse del Natale in tutto questo dolore?

Credo ci sia una sola strada. 

Credo cioè che sia indispensabile rimanere dentro l’avvenimento, dimorare stringendo i denti nel freddo della grotta e nel crepuscolo della sera gelida, attendere con fede la Nascita che brucerà i calzari dei soldati e ci farà scoprire il sapore della letizia giacente nel fondo di un’asprezza del vivere che forse non avevamo mai provato. Per questo non dobbiamo schiodarci dalla mangiatoia e continuare a contemplare il mistero inaudibile di un Dio che ha lasciato la beatitudine del suo cielo ottavo e luminoso per precipitare nel terroso e umido DNA di un’umanità precaria e infelice. In questo consiste la santità “umana” di Dio, in questo cadere a precipizio nel ventre di una di noi, lasciandosi tessere a poco a poco, nel giro di nove lune, e prendendo a poco a poco la nostra forma: ecco il cuoricino che pulsa sangue umano, ecco dipanarsi il sistema nervoso, slegarsi gli arti, spuntare i piedini e le manine… In questa immaginaria ma reale ecografia, dov’è il seme di Dio? Non si vede ma c’è e nel ventre della Donna arde ed esplode quella luce invisibile che non smetterà più di guidarci.

Contemplando la Santità di Dio 

vivremo santamente la festa e allora il nostro Natale sarà anche buono. Credo anzi che questo sia l’unico modo per vivere un buon Natale anche quest’anno, senza false gioie e senza dimenticare le devastazioni del dolore intorno a noi, ma integrando ed esaltando tutto ciò che è buono, è vero, è giusto e bello nella  nostra povera, piccola, imperfetta santità.

Sante feste natalizie amici!

Mariarosa 


Immagine di copertina tratta da In Val Varaita di Marco Piacentino . Segui