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Prima durante... e dopo?

Spazio estetico e spazio sociale: siamo a una svolta?
Conversazione libera  sul futuro.

La società della globalizzazione in cui viviamo, che ha trasformato il mondo in un unico villaggio, è chiamata società “del rischio” o “liquida” da sociologi notissimi come Bauman e Taylor, perché in essa, ancor prima del coronavirus, la crisi era diventata la norma. Tento velocemente di dipingerne un affresco, con pochissime pennellate e quindi in estrema sintesi, per delineare a grandi linee la base socio storica sulla quale si è innestato il mostro del covid.

Prima

La globalizzazione ha sostituito la modernità societaria, nata poco dopo la seconda guerra mondiale, periodo in cui l’identità nazionale era abbastanza forte, lo spazio sociale sufficientemente ampio, i valori normativi normalmente riconosciuti e le istituzioni ancora valide. L’equilibrio pur precario della guerra fredda tra i due blocchi USA - URSS manteneva il mondo in relativa sicurezza. 

Una prima scossa alla stabilità delle istituzioni

venne dai movimenti giovanili del 1968, ma l'equilibrio della modernità societaria ebbe fine
nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, quando, insieme alle grandi ideologie (soprattutto l’ideologia comunista), sembrarono cadere anche gli ideali. Ebbe così inizio il periodo “liquido” della società, in cui vennero a mancare dei punti di riferimento importanti, a cominciare dalle istituzioni dello stato nazione, che per svariati motivi persero autorevolezza e credibilità. Intanto si era affacciato e si era fatto via via più dirompente il problema ecologico... Fino a quell’indimenticabile 11 settembre 2001, quando il mondo divenne il teatro di una terribile contrapposizione tra due culture e due religioni, l’islamica e la cristiana: Bin Laden e i talebani, Al Baghdadi e l’ISIS ci svegliarono di soprassalto dai nostri sonni edonistici, custoditi dall’illusione di essere protetti da un potere invincibile, e ci mostrarono la visione distorta della fede e un mondo di crudele violenza, che chiamò altra violenza altrettanto crudele e devastante. 

Con l’aprirsi della crisi economica

anche il benessere materiale divenne per tante famiglie precario se non irraggiungibile, mentre sul piano psico-sociologico continuò a imporsi l’individualismo, figlio di un dilagante narcisismo, consistente  nel netto prevalere dello spazio estetico sullo spazio sociale: bisogni, desideri, sensazioni ed emozioni soggettivi venivano generalmente percepiti come più urgenti e importanti del benessere sociale. Intanto le nuove tecnologie avevano cambiato rapidamente le modalità della comunicazione e del conoscere. Lo spazio e il tempo si erano virtualmente annullati, dato che era diventato possibile comunicare con ogni parte del mondo in tempi reali... Per non parlare dell’abitudine a crearsi una second life digitale o un avatar, giochi che in qualche caso assunsero il valore di veri e propri modi di vivere alternativi al reale. I progressi delle biotecnologie divennero vertiginosi: fecondazione artificiale, clonazione, produzione di cellule staminali in vitro, uso dei microchip, ibridazione uomo/macchina, uomo/animale riaprirono la questione antropologica anche su basi filosofiche.

Aumentarono moltissimo i flussi migratori

dall’Africa e dall’Asia verso il mondo occidentale e cambiarono in breve lo spazio relazionale delle nostre città: ogni grande centro urbano europeo divenne uno spaccato del mondo (a Milano, ad esempio, già dai primi anni del 2000 convivevano più di cento etnie diverse). Una sempre più grande importanza venne assunta dai media e dal mercato, cioè dalla "scienza triste” secondo Bauman, perché incapace di dare le ali al vivere, cioè di spingere a una progettualità feconda, in grado di offrire un senso alla vita. 

Il contesto religioso fu infine connotato, 

nella società occidentale, dall’agnosticismo e dal relativismo, che ormai da tempo avevano preso il posto dell’ateismo e si erano allargati a dismisura tra tutti i ceti della popolazione. Erano entrambi frutto dell’indifferenza: il problema dell’esistenza di un Essere superiore non interessava più e anche i valori in cui credere non erano più percepiti come universali. 

Durante

Questa per sommi capi, e con le debite eccezioni, era la società prima del covid. Il diluirsi del tempo e dello spazio, la questione antropologica rarefatta, l’agnosticismo e il relativismo sono, come sappiamo, aspetti presenti anche oggi. Con l’arrivo del coronavirus la contrapposizione tra islam e società occidentale si è invece sopita, sia per la sconfitta militare delle principali forze eversive islamiche, sia perché tutto il mondo si è trovato impegnato nella battaglia contro il maledetto morbo, ben più difficile e vasta rispetto alle lotte precedenti. Quanto alla natura, con il lockdown si è presa un bel respiro, pur se provvisorio.

La debolezza delle istituzioni

si è al contrario mostrata in tutta la sua drammaticità: vedi ad esempio l’incapacità dello stato di far fronte ai problemi sanitari e scolastici. La crisi economica, conseguenza del blocco delle attività lavorative, ha sofferto un’accelerazione preoccupante, aprendo problemi di vera e propria sopravvivenza per alcune categorie di lavoratori, e nemmeno i flussi migratori si sono sostanzialmente attenuati, creando sacche di crisi nella crisi. 
La scienza dal canto suo ha subito lo scacco più terribile della storia e si è arrabattata impotente, cercando senza riuscirci di far fronte a un’emergenza sanitaria che ha sopraffatto il mondo. I media hanno dato spettacoli di strapotere e di confusione senza precedenti: sui palcoscenici mediatici abbiamo visto sfilare politici logorroici e fintamente arrabbiati, ma soprattutto virologi, infettivologi e altre categorie di alti papaveri della medicina diventati attori indegni e vergognosi, che hanno detto, ridetto e disdetto, speculando sulle paure della povera gente e riempiendosi le tasche di soldi mal guadagnati. Non tutti per fortuna.

Nel frattempo 

i loro colleghi, meno in vista ma assai più seri e moralmente apprezzabili, morivano nelle corsie degli ospedali, pagando un prezzo altissimo al virus e all’avidità del potere, che li sfruttava senza difenderli. Contemporaneamente, frotte di preti e di volontari, incuranti di visibilità e bramosia di denaro, si davano da fare per aiutare i più fragili ed esposti alla morte, mentre insegnanti, sacerdoti e catechisti si trasformavano in esperti informatici, per rimanere vicini ai loro ragazzi e non lasciarli soli ad affrontare l’ignoto. 

E dopo?

Queste sono le coordinate del tempo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo. Molti si chiedono come sarà il dopo. C’è chi dice che cambierà tutto e c’è chi dice che tutto resterà come prima; alcuni affermano che ne usciremo peggiorati, altri dichiarano il contrario. Per quanto si possano vedere delle linee di sviluppo, azzardare pronostici e spiare il futuro, io credo che nessuno lo sappia veramente.

E tuttavia

se ripartiamo da ciò che hanno compiuto i nostri operatori sanitari negli ospedali, i volontari che si sono spesi sulle strade dei nostri paesi, i preti, gli insegnanti e i catechisti qualche motivo di speranza lo troviamo: mi sembra di poter dire che lo spazio estetico, di cui parlavamo prima, in questo frangente si è trasformato e, a contatto con emozioni e interessi condivisi, in quanto toccavano tutti, ha ceduto molte posizioni allo spazio sociale. Credo che questa sia la perla da custodire e il germoglio da far crescere: dovremmo continuare tutti su questa strada, riducendo i nostri bisogni e desideri egoistici in favore di uno spazio sociale perduto. La ripresa dei contagi e dei decessi dopo le vacanze dei nostri giovani urla con forza l’urgenza di questo cambiamento. Potremmo ritrovarci finalmente fratelli, uniti dalla stessa barca, che abbiamo scoperto molto più fragile e barcollante di quanto credessimo.

Un’altra bella scoperta ha segnato questo tempo dannato.

La prossimità con il dolore, la paura, l’esperienza della finitudine hanno costretto molti ad alzare lo sguardo e a rivolgersi a quel Dio che avevano abbandonato nelle sale del catechismo dopo la Cresima: si sono viste corone del rosario rispuntare dai cassetti, icone rispolverate e riesposte nelle case dalle quali erano sparite, segni di croce ritrovati con un po’ di fatica, preghiere uscite dai dimenticatoi dell’anima e riprese con sorpresa e gioia. Anche queste abitudini vanno mantenute e potenziate con cura: solo così potremo capire dove abitano i nostri veri desideri, vedere la forma dei nostri autentici sogni, sentire i bisogni che ci restituiscono a noi stessi e udire le risposte capaci di riempire ogni nostro vuoto. Uno Solo le conosce e può sussurrarle ai recettori acustici dell'anima.

Allora anche le parole

“società liquida, società del rischio” perderebbero il loro sinistro significato. Ripartiamo da qui fratelli: non aspettiamo la fine della pandemia, cominciamo da adesso a vivere il futuro, cioè un tempo diverso, più degno della nostra umanità. 

Mariarosa Tettamanti




Immagine di copertina tratta da "Mani a cuore" di Hassan Ouajbir