Un giorno pensi di aver incontrato un’amica nuova. Ti è piaciuta appena l’hai vista, sei uscita con lei, siete andate a mangiare insieme; ti sei denudata davanti a lei, le hai raccontato le tue miserie, qualche problema; le hai permesso di narrarsi nella sua veste migliore e le hai pure creduto, le hai fatto notare che lei è molto più fortunata di te … E allora pensi di avere un’alleata. Una settimana dopo la incontri di nuovo, durante una riunione, ed ecco che trovi uno sguardo obliquo e sfuggente, un’agitazione visibile e un respiro un po’ affannato, come di persona che viene lentamente strozzata. Sono i segni inequivocabili dell’invidia e se il tuo olfatto relazionale è buono, immediatamente ne senti l'odore. Cerchi allora di parlarle, ma vedi solo irritazione, oppure ti giunge in risposta un leggero e compassionevole dondolio del capo … e se insisti ecco arrivare l’occhiata inconfondibile dell’odio. Che cosa è successo? Oh è bastato poco: è bastato un tuo articolo che ha raccolto consensi, un complimento o un applauso fatto a te e non a lei, un tuo parere ripreso con favore dai presenti, un compito affidato a te e non a lei … Basta davvero poco.
il dipinto del figlio prodigo di Koder , dove all’abbraccio avvolgente del padre, che assume la stessa forma del figlio pentito, per accoglierlo e farlo sentire a casa nel suo stesso corpo, fa riscontro la figura tragicamente sola del fratello maggiore, quello bravo, quello giusto?

Eccolo il dipinto con la sua forza evocativa. Se le mani dei due personaggi principali si uniscono nell'abbraccio, quelle dell'invidioso si attorcigliano e si stringono spasmodiche l’una sull’altra; se gli occhi del padre e del figlio minore si chiudono quasi a voler trattenere l'immagine dell'altro finalmente ritrovata, lo sguardo del maggiore è ridotto a una fessura ed esprime una sofferenza cattiva, in grado di graffiare e mordere, una sofferenza che non vorrebbe vedere ciò che sta succedendo, ma non può fare a meno di guardare, facendosi del male. Osserviamo la sua di-sperazione, cioè la mancanza totale di speranza. Il fratello minore, piangente e grato per il perdono inaspettato, non sa che il maggiore lo ha ormai inserito in una competizione inesorabile: non lo sa, ma lo dovrà sapere, perché l’invidia non rimane chiusa nei sentimenti; esige di uscire e fare del male.
A me piace leggere o raccontare ai bambini la parabola del figlio ribelle e del padre buono e poi fermarmi al ritorno del peccatore e chiedere ai bimbi: “Chi vorreste essere, il maggiore o il minore dei fratelli?”. Nessuno ha dubbi: tutti scelgono il figlio maggiore, quello bravo, quello che non se ne va, che rimane con il papà. Poi mostro il dipinto di Koder, spiego l’atteggiamento del figlio più grande, rifaccio la domanda e questa volta la risposta è diversa: tutti vogliono essere il figlio minore, quello perdonato, quello abbracciato. È così che i bambini incominciano a capire che cosa sia questa malattia dell'anima e quanto male possa provocare. Bisogna incominciare subito con i piccoli, perché una volta germogliata e spuntata sul terreno del cuore, l’invidia cattiva fa in fretta a diventare un albero che non si può più sradicare.
L’invidia infatti fa soffrire chi la prova
a volte in maniera talmente insopportabile che lo obbliga a infierire su colui (o colei) che è ritenuto la causa: “Io soffro, la colpa è tua, devi soffrire anche tu”. Se l’altro, che non vale più di me, anzi vale meno (perché questo si è specializzato a pensare l’invidioso: che gli altri possono valere al massimo quanto lui, ma mai di più), se l’altro, dicevo, ha più di me è perché ha barato, è un furbo, si è aggiudicato i favori altrui con l’imbroglio, con la tendenza a ingraziarsi i potenti, e quindi qualcuno dovrà fargliela pagare. E allora l’invidia indossa il mantello della giustizia e incomincia a darsi da fare.
E quella donna gentile ed educata che credevi tua amica aspetta con aria furtiva il tuo datore di lavoro per dirgli che tu non sei quella che sembri, che è meglio non fidarsi di te, che hai fatto questo e quello, che i tuoi elaborati in realtà non sono fatti bene. E mentre lo fa, mentre sparla di te, racconta a se stessa che lo sta facendo per amore del lavoro, perché è suo dovere, e cerca persino di crederci, sebbene nel fondo di se stessa si sedimenti qualcosa di fastidioso, che sta dicendo sommessamente un’altra verità: “In realtà, tu, mia cara, stai tentando di rovinare una persona, soltanto perché la ritieni più apprezzata di te”. E magari non è nemmeno vero, perché l’invidia si nutre di illusioni, di percezioni soggettive spesso distorte.
E se il gioco occulto e violento
di danneggiare l’invidiato non riesce, allora ecco l’invidioso incominciare a far male in modo diretto alla persona che ha una sola colpa: quella di avere più successo di lui. Se sei una bambina che frequenta l’asilo, ad esempio, non portare nulla di tuo a scuola, altrimenti offri alle tue compagne l’occasione per farti soffrire: ti porteranno via l’oggetto prezioso, se lo passeranno di mano in mano, lo lanceranno per aria e a te non resterà che piangere e chiederti perché ti trattano così. “Perché sono più brava di loro” dovresti risponderti, ma sei troppo piccola per saperlo e così pensi il contrario di ciò che dovresti pensare: “Io valgo meno di loro”. Pensi che le suore ti fanno fare le cose più difficili, perché ti vogliono male e perché tu non meriti di essere amata, non perché tu le sai fare e le altre no. Le compagne invece lo sanno bene e l'invidia che sentono le spinge a farti soffrire. Spesso il frutto marcio del bullismo, che uccide l'autostima del perseguitato, germoglia e cresce sul terreno inquinato dell’invidia.
Se frequenti le elementari, invece, stai attenta a non prendere voti più belli degli altri, altrimenti sarai emarginata , tagliata via dal gruppo, cacciata nel limbo delle escluse, accusata di essere la cocca del maestro … e sarai già fortunata se avrai un paio di amichette brave più o meno come te e per questo anch’esse emarginate. Eppure mia nonna, forte dell’esperienza sua e della sua figliola più grande (entrambe le prime della classe in un paese che non perdonava il fatto che la povertà potesse accompagnarsi all’intelligenza), mi aveva preparata attraverso i proverbi, la grande didattica di quei tempi: “L’invidia non è mai morta e mai morirà / quando morirà l’invidia, il mondo finirà”. Ai tempi di mia nonna all’invidia si attribuivano poteri occulti e devastanti: quando una bambina aveva frequenti problemi di salute, oppure quando le cose in una famiglia andavano ripetutamente male, si diceva: “Ha dentro un’invidia”e si pregava intensamente per romperla. Mio papà però non ci credeva e io seguivo lui. Crescendo ho capito che l’invidia può fare veramente molto male, ma solo perché l’invidioso desidera e fa di tutto per nuocere: è vendicativo e non cede finché non si è vendicato ... anche se la sua vendetta non è provocata da un male ricevuto, ma da un dolore interiore per la fortuna altrui. L'invidia è frutto di un'autostima inadeguata e tende, spesso riuscendoci, a distruggere anche quella degli altri.
E ora sentite questa.
Un monaco vive in un monastero dove svolge un ministero molto apprezzato. Diventa anziano e malato e pensa di finire i suoi giorni in quel luogo amato. Va in pensione e viene sostituito, ma tanta gente continua a riferirsi a lui, a cercarlo per chiedergli consiglio. Questo forse non piace molto ai suoi confratelli, che sanno di non essere popolari quanto lui. Inoltre il monastero ha una regola: chi non lavora più lì dentro deve cambiare residenza, perciò il monaco se ne deve andare. Sì però l’uomo è anziano, la sua salute è precaria, ha fatto tantissimo bene nella sua vita, ha dato tutto al monastero … e così una sua figlia spirituale particolarmente affezionata chiede a un confratello dello stesso monastero di fare qualcosa per non mandarlo via. Si sente rispondere con dispetto: “Faccia anche lui quello che fanno gli altri”. Eccola qui, l’invidia che indossa il vestito dell’omologazione: “Siamo tutti uguali fratelli, per piacere non bestemmiamo: la legge è uguale per tutti!”. Per fortuna Gesù non ha agito così, altrimenti il paralitico della piscina di Betsaida sarebbe ancora là ad aspettare qualcuno che lo immerga nell’acqua: “Si arrangi anche lui come si arrangiano gli altri” avrebbe detto il Signore. Invece la logica di Dio è diametralmente opposta a quella dell'invidia, che si appoggia ad assiomi invincibili, benché talvolta non detti: “Io non so fare questa cosa, perciò non la fai neanche tu”, oppure: “Questa persona non mi piace, non mi ha fatto niente, ma non mi piace” e ci si guarda bene dal chiedersi perché.
Volete un altro esempio?
Eccolo, ve lo servo subito, il menù è infinito. Un ragazzo coglie un successo impensabile, cioè fa qualcosa che piacerebbe a tanti. Nella sua famiglia arrivano subito i parenti (non quelli stretti si spera) e ognuno ha qualcosa da dire: “Ne ho visti di più conciati arrivare fin lì” dice una, “In quel posto lì li prendono tutti” dice un’altra. E poi c’è l’amica che ha il figlio su una cattiva strada e tenta di ridacchiare del tuo, che invece sta raccogliendo ammirazione e consensi.
Altre forme di invidia sono meno visibili, ma altrettanto deleterie: un autore pubblica un libro o apre un blog … e chi sono i primi a ignorare gli sforzi del poveretto? Gli amici, i compagni, qualche collega. I più vicini insomma. Se si guardassero dentro, gli invidiosi vedrebbero che proprio quel libro e quel blog erano un loro desiderio che non sono mai riusciti a concretizzare.
L’invidia ha occhi deboli e malati,
che non sopportano la luce. L’invidioso infatti è spesso una persona mediocre, che però aborrisce l’oscura mediocrità in cui versa (e che conosce molto bene) e proprio per questo la esige per tutti. Guai a chi si azzarda a brillare più degli altri: è immediatamente individuato ed espulso come un corpo estraneo. L’invidia infatti teme il confronto: se siamo tutti moderatamente bravi, o moderatamente preparati, o moderatamente intelligenti, nessuno si sente minacciato. Colui che è più bravo, invece, o più seguito, o più acclamato, o più cercato, dev’essere ricacciato tra i “molti”, nella massa, in modo che non si creda meglio degli altri.
La vera missione dell’invidioso è infatti perseguire e stigmatizzare nel prossimo il peccato più mortale di tutti: “Quello lì se la tira, chi crede di essere? Dobbiamo ridimensionarlo, isolarlo e umiliarlo”. E non vale il fatto che la persona in questione sia umile e semplice: la grandezza, che l’invidioso nel segreto le riconosce, con una distorsione mentale viene trasformata in vanità esibita.
Ci sono individui che dovunque vadano si mettono subito a caccia di chi vale di più, per estirparlo come si fa con la gramigna. E con quale zelo, con quale fervore lo fanno! E purtroppo ci riescono, con loro grande soddisfazione: si credono amanti della giustizia, ma sono soltanto discepoli di questa brutta malattia. Così può succedere che il lavoro di anni, svolto con
dedizione da una certa persona, è affidato a un'altra quando viene il momento
della raccolta. E questo purtroppo succede anche nella Chiesa, lo dico con il
cuore che piange.
Non so perché,
ma è soprattutto l’intelligenza a far impazzire gli invidiosi. L’intelligenza e il guadagno, i soldi. Se qualcuno fa qualcosa senza guadagnare è un poveraccio, non vale nemmeno la pena di invidiarlo, ma se qualcuno guadagna... allora sì che mi arrabbio.
Come fanno gli invidiosi
a danneggiare gli invidiati? Le modalità sono innumerevoli, a cominciare dalla calunnia e dalla denigrazione, ma forse uno dei modi più comuni è quello del furto di idee: l’invidioso coglie nei discorsi di una collega un’idea che gli sembra vincente e se ne appropria, cambiando magari qualche particolare, in modo da poter dire “È una mia intuizione”. Alla fine il vero proprietario delle idee innovative, se non sa riconoscere la mala pianta e non ha imparato a resistere, se ne va. Eppure, parafrasando il Papa,”L’invidia spuzza” e quindi possiamo salvarci se impariamo a riconoscerne l’odore, prima di tutto nel nostro cuore.
Sì, perché purtroppo, in quanto emozione,
l'invidia è universale e in quanto vizio morale è dentro di noi come retaggio del peccato originale: nessuno ne è immune, né io che scrivo né tu che leggi. Potrà non mostrarsi per lungo tempo, ma sarà pronta ad uscire allo scoperto quando verremo messi alla prova, magari subendo (o pensando di subire) un'ingiustizia: come tutte le emozioni, anche l'invidia chiede una situazione attivante, vera o presunta. Pertanto, se tanti di noi l’hanno subita, tutti l’abbiamo provata o la proveremo, e la lotta per sradicarla potrà durare tutta la vita.
Certo qui bisogna distinguere.
Ci sono almeno due diversi tipi di invidia: quella innocua, che fa soffrire moderatamente e per poco tempo l'invidioso e non danneggia l'invidiato, e quella di cui ho parlato fin qui. La prima si configura come un semplice dispiacere, che spinge a cercare le proprie potenzialità e qualità, con un conseguente miglioramento dell'autostima, ed è talvolta capace di mettere in moto le energie dell'invidioso, che in questo caso passa da un "Perché lui sì e io no?" a un "Ci provo anch'io". Più che "invidia buona", la definirei, come afferma il filosofo Petrosino,* "competizione", perché, se immediatamente superata (ma per questo dev'essere riconosciuta), mette in atto forze positive.
In ogni caso,
da soli non possiamo smascherare l'invidia: ci vuole una guida spirituale molto esperta, che ci aiuti a trovare il coraggio di guardare profondamente dentro noi stessi e a chiamare le cose con il loro nome. "Senti don, io sto pensando questa cosa, ma siccome riguarda negativamente una persona, temo di dover stanare qualche colpo basso dell'invidia. Mi aiuti a trovarlo? Se è così, lascio cadere tutto, altrimenti decidiamo come agire".
L’invidia del secondo tipo è infatti un vizio pericoloso e
distruttivo come l’alcolismo e come per gli alcolisti il primo passo verso la
guarigione è l’ammissione di ciò che si è. “Io sono Gerolamo e sono un alcolista” dice il dipendente dall’alcool all’inizio della cura. “Io sono Gerolamo e sono un invidioso” dovrebbe dire a se stesso colui che invidia.
Prima di concludere,
per completezza d'informazione aggiungo che a volte capita nella vita di incontrare una persona felice e non invidiosa. Come riconoscerla? Dal fatto che gioisce dei successi altrui, come se fossero propri. Due amiche preparano insieme un esame. Una prende 27, l’altra la lode: la prima è contenta per la seconda. Una persona lavora dietro le quinte insieme ad un'altra e lascia che il merito vada a quest'ultima. Un superiore svolge la stessa mansione di un suo sottoposto, ma quest'ultimo raccoglie più gratificazioni di lui: il superiore è contento, perché ciò che conta è la bontà del lavoro... Se conoscete una persona così, tenetela stretta: se non è una santa, è veramente un’amica.
Chissà,
forse in un prossimo futuro qualcuno fonderà l’AIA, l’Associazione Invidiosi Anonimi. Prima di allora però, non dimentichiamo di chiedere aiuto all’Immacolata Concezione, l’unico essere umano, l'unica donna che non abbia dovuto combattere contro la propria invidia, perché intangibile al peccato originale.**
* Vedi in you tube: S. Petrosino, Desiderio e alterità, sull'essenza dell'invidia.
** Per approfondire l'argomento anche dal punto di vista teorico, vedere E. Campagnoli, Sempre a mani vuote. L'invidia, il più frustrante dei vizi, in "La rivista del clero italiano" n. 100, pp. 446 ss.