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Mistica infantile?


I bambini sono capaci di esperienze mistiche?
Suggestioni per una riflessione

Premetto che qui non intendo parlare dei bambini santi, che la Chiesa riconosce e che sono esempi di virtù per tutti: m'interessano invece i bambini cosiddetti "normali" dal punto di vista della vita cristiana, i quali a volte ci sorprendono con le loro intuizioni spirituali. Tutte le esperienze che riporto sono reali e sono narrate anni dopo dalle protagoniste .

Incomincio con un testo 

che fa parte di un racconto molto più lungo, che resterà inedito, ma riporta l'esperienza di una bambina, la quale narrando immagina, come spesso fanno le bimbe, di vivere in un castello: Gesù è il figlio del re, il suo principe. Attenzione però: la bambina sa bene chi è e dove vive, sa chi sono l'Angelo custode e Gesù e  trasfigura la sua esperienza soltanto a livello narrativo, cioè come espediente linguistico per raccontare. Gli avvenimenti sono qui riportati in flash back dalla stessa  bimba ormai donna, ma rispettano le modalità narrative di quando era piccola.

Carola si sedette per terra,

chiuse le palpebre e, scavando nei ricordi, rivide se stessa bambina nel cortile del modesto castello di suo padre. Costruiva delle torte di terra con una ciotola di latta e chiacchierava con un suo piccolo amico alato, uno di quegli angeli che si dice amino stare in mezzo ai figli degli uomini. Lui stava descrivendo, con accenti raccolti e gioiosi, la bellezza e la bontà del figlio del re. Carola moriva dalla voglia di conoscerlo e chiedeva di Lui a tutte le persone che incontrava, da suo padre alla vecchietta che abitava nella torre del maniero.
Quando ebbe sei anni, le dissero che era finalmente venuto il momento d’incontrarlo. Carola risentì l’emozione e la trepidazione di quel giorno e con l’immaginazione ripercorse a passi lenti la navata centrale della sala del trono, insieme alle sue compagne vestite di bianco. Il Principe non si limitò ad incontrarsi con lei, ma l’abbracciò fino a farla sentire una cosa sola con lui. Da quel giorno la vita di Carola ruotò intorno al suo nuovo amico: non ci furono mai segreti tra loro due, erano sempre insieme e la bambina affrontava qualunque cosa per piacere al suo principe, anzi tutto ciò che faceva lo offriva a lui. 
Le sembrò poi di ritornare ragazzina, quando lui le rivelò di essersi innamorato e lei rispose con tutto lo slancio del suo cuore. In quei tempi, molti cavalieri chiesero la sua mano, ma lei li rifiutò tutti, uno dopo l’altro, perché nessuno sapeva renderla felice come il principe. Ogni mattina, appena si svegliava, trovava una misura di gioia traboccante che l’aspettava pigiata nel cuore e poi correva al palazzo reale per incontrarsi con l’amato. Per comunicare tra loro, non servivano più le parole, bastava che i loro cuori si accostassero. Si sentiva avvolta da lui, circondata, protetta, amata. La felicità era incontenibile e Carola la spargeva a piene mani. Il principe le regalò la bellezza dei monti e la vastità del mare, la delicatezza dei fiori e la frescura dei boschi, l’austerità del deserto e il profumo dei luoghi lontani. Carola era convinta che lui ci sarebbe sempre stato per lei e che la gioia avrebbe sempre fatto parte della sua vita. 
Non fu così. Un giorno il principe sparì e non si fece più trovare. Lei lo cercò piangendo e struggendosi per il dolore, chiese di Lui a uomini e donne, andò in tutti i luoghi in cui pensava di poterlo trovare, gridò il suo nome, gli mandò testimonianze d’amore e suppliche: invano...

Gli esperti di mistica riconosceranno in questo raccontino le esperienze dell'unione con Dio, della preghiera contemplativa e perfino, più tardi nel tempo, della notte oscura, esperienze incominciate per questa bambina nel giorno della prima comunione.

Il gioco per i bambini è sempre una cosa seria

e io sono convinta che a volte la loro esperienza spirituale si dispieghi proprio nel gioco simulativo, ad esempio attraverso l'organizzazione di riti religiosi "per finta". Questo non significa che i bimbi non abbiano la consapevolezza che le cerimonie religiose che inventano siano dei giochi: essi ad esempio sanno benissimo che le persone hanno diritto a dei veri funerali, mentre gli animali possono averne solo alcuni “per finta”, fatti dai bambini. 
E tuttavia, il ragazzino che gioca al muratore lavora, il suo compagno che gioca al prete prega. Per finta. Per finta e seriamente, rimanendo in quel territorio tra fantasia e realtà linguisticamente segnato dall’imperfetto: “Io ero la mamma, tu il papà”, non “Io sono, tu sei”. Così è il gioco, indispensabile per i bambini, e così è per i riti organizzati per gioco, sia nel caso in cui si tratti di ideare dei funerali alle formiche sia quando i bambini improvvisano presepi o compianti viventi. 
A questo proposito è possibile trovare un esempio in Arcidiocesi Milano, Comunità e famiglia generano nella fede,Centro ambrosiano, pp. 128 e 129.
Il raccontino mostra la commistione tra concretezza e immaginazione proprie del pensiero infantile, ma anche la presenza di un pensiero religioso che si nutre di imitazione, ma sa di dirigersi a Dio. Certo parlare di mistica è troppo, ma sicuramente si tratta di preghiera, cioè di relazione e comunicazione con Gesù, al quale si indirizzano l'affetto e la richiesta di conforto, e Lui è così reale e comprensivo da potergli chiedere di essere consolati persino per la morte di un animaletto.

Ecco un altro racconto,

che sembrerebbe dimostrare la consapevolezza che i bambini hanno di pregare, anche all'interno delle loro attività. E' una percezione di Dio che va oltre la presenza innata della religiosità, è una forma di unione: è mistica infantile? E'  cioè una "pratica" del divino diversa da quella che normalmente vivono gli adulti? L'esperienza è raccontata molti anni dopo dalla stessa protagonista. 

Rivedo ancora la bambina seduta sui gradini grigi di casa sua, intenta a cucire. Aveva gli occhi e il mento abbassati sul lavoro, le spalle curve, le mani piccolissime che muovevano con fatica il grosso ago su e giù nella stoffa bianca. Quando la punta di acciaio stentava ad uscire dalla tela la lingua spuntava tra le labbra a sottolineare lo sforzo. Stava cucendo gli angeli: un girotondo di bimbi alati intorno a un ulivo contorto, in un disegno su cartoncino trovato su una vecchia damigiana di olio. C'erano grossi punti sulla stoffa: si trattava di un lavoro impegnativo, che però aveva il sapore di un rito solenne, che metteva allegria...
Quel giorno il mio mondo, quello reale, sbiadiva a poco a poco, creando lo spazio per una realtà diversa, più viva, della quale intuivo appena la bellezza. Fuori il sole inondava il cortile e la gente era contenta. Nell'aria c'era già la dolcezza di Dio.

Ed eccone ancora un altro, 

scritto in prima persona, dal quale si potrebbe dedurre che a volte sia la fantasia a condurre un bambino alla preghiera e al Signore. 

Quando il sole era più forte e l’aria si faceva troppo pesante, le donne accaldate cercavano un po’ di refrigerio sotto gli alberi del bosco e il babbo, dopo aver steso le ultime bracciate d’erba quasi secca sul prato tagliato, conficcava con forza il forcone nella terra dura e si asciugava il sudore sul collo e sulla fronte. Poi ci prendeva per mano e ci guidava attraverso l’erba alta, che si piegava frusciando sotto i nostri piedi. Ben presto arrivavamo alla fontana fredda, una sorgente d’acqua freschissima, che sgorgava con forza dalla terra e scendeva allegramente da un grosso tubo di metallo, per perdersi poi in mille rivoli tra i sassi. Intorno vi erano castagni e robinie, così noi ci dimenticavamo del sole che picchiava sulla terra riarsa. Mi chinavo a raccogliere l’acqua nel palmo delle mani unite a conca e mi sembrava d’imprigionare tra le dita la risata della fontana, ma poi, quando vi accostavo la bocca, l’acqua scivolava via e mi trovavo a succhiare con disappunto la pelle bagnata. Allora mi aiutava il papà. Mi piaceva immergere il viso nelle sue mani grandi: l’acqua era costretta finalmente ad ubbidire e non scappava più. Subito dopo correvo a sedermi sul mio albero, un’acacia dal tronco possente, che a pochi centimetri da terra si divideva in tre grossi rami, formando un minuscolo sedile di legno. Il babbo lo chiamava “il trono delle fate” e io avevo pensato che fosse mio, convinta com’ero che quella parte del mondo fosse ancora da distribuire. Mi rannicchiavo nell’albero e, trattenendo il respiro, guardavo su, per vedere le foglie che toccavano il cielo. Mi aggrappavo con forza e chiudevo gli occhi, finché il tronco, con una spinta formidabile, si strappava dal terreno e volava via. Se guardavo giù, vedevo le radici divelte ondeggiare nell’aria e sopra di me le foglie si spiegavano nel vento come piccole vele. Presto ero tra le nuvole e poi andavo ancora più su, fino alla casa del Signore… Ero impegnata in un gioco fantastico, ma sapevo di pregare.*

In conclusione,

credo di poter dire che il Signore raggiunge i bambini attraverso strade che non sempre sono le nostre e utilizza per questo le loro capacità: la concretezza del fare e del gioco, la fantasia come porta per l'immaginazione ... e da qui alla preghiera, anche contemplativa, il passo è breve. Non è importante decidere se si tratta o no di mistica (la domanda del titolo in fondo era più che altro una provocazione), ma forse noi catechisti dovremmo tenere conto di queste caratteristiche della preghiera infantile quando proponiamo ai bimbi di pregare.


*Per ascoltare quest'ultimo raccontino, vedi il post intitolato La bambina sulla robinia

Mariarosa Tettamanti

Disegno di copertina tratto da "Educational illustrations" di Sara Ugolotti