Ecco un episodio evangelico che si potrebbe intitolare "Elogio della fede". Condotti per mano da un centurione romano, partiamo da un gioco imitativo dei bambini e arriviamo, dopo essere passati attraverso un'immersione nei significati della fede, a comprendere meglio la missione "ad gentes, inter gentes e cum gentibus". Un bel viaggio semantico e spirituale.
Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 8, versetti da 5 a 11.
Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch'io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va'!” ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa' questo!”, ed egli lo fa».Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (…)»
Dai giochi dei bambini a un centurione romano
I giochi imitativi dei bambini sono sempre uno spettacolo di tenerezza e di allegria. Ai miei tempi, spesso nei cortili giocavamo “a Messa”, cioè uno di noi fingeva di celebrare la Messa e gli altri seguivano la funzione con estremo fervore e grandissima compunzione. Ricordo che a noi bambine piaceva soprattutto batterci il petto al «Confiteor» e al «Domine non sum dignus». Ovviamente la pronuncia del latino era molto approssimativa e infatti ricordo che dicevamo: «Domine non sum dignus, se tinte se tantum meum» e poi lo ripetevamo, perché non capivamo ciò che stavamo dicendo e non eravamo in grado di andare avanti.Soltanto crescendo e imparando il latino a scuola ho poi recuperato la bellezza dell’antica preghiera: «Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea». Nel frattempo però, con l’avvento benedetto del Concilio Vaticano II, avevamo abbandonato il latino e accolto con gioia l’italiano: «Signore, non sono degna di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvata». E ricordo in seguito la sorpresa arrivata dalla scoperta della provenienza evangelica di questa preghiera e la simpatia immediata che mi legò allora al centurione.
In realtà potremmo intitolare questo episodio “Elogio della fede”, perché è proprio questo il tema dominante del testo. Il centurione infatti riconosce che l’autorità e il dominio di Gesù sulle malattie sono così forti che basta una sua sola parola a sconfiggerle ed è per questo che Gesù dice: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!»
Ma che cos'è la fede?
Ma che cos’è la fede? Ne abbiamo parlato tante volte nei nostri commenti, ma forse non siamo mai arrivati a una vera definizione di questa virtù teologale, che costituisce il punto di partenza e di arrivo di ogni cammino di relazione terrena con Dio.La fede è «un'adesione personale di tutto l'uomo a Dio che si rivela» dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.176. «È un movimento di fiducia e di abbandono» scrive in modo suggestivo la Bibbia di Gerusalemme «per il quale l’uomo (…) si rimette alle parole e alla potenza di Colui nel quale crede…».
«Mi manca la fede e, quindi, non potrò mai essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa…» scriveva Stig Dagerman, uno scrittore svedese di successo, che arrivò a mettere volontariamente fine al vagare senza senso della sua vita a soli 31 anni*. Invece il centurione nella fede è più avanti degli stessi Giudei, dal momento che, come afferma il Poppi, essi credevano che fosse necessario toccare il taumaturgo per ottenere la guarigione, come se dovesse uscire da lui una forza misteriosa o forse addirittura magica da catturare con il contatto fisico, mentre quest’uomo crede nella potenza della Parola di Gesù, come noi in definitiva, e in questo è un nostro precursore.
Missio ad gentes, inter gentes e cum gentibus
Questo fatto ci introduce nel secondo tema di cui vorrei parlare oggi: la conversione dei pagani e la missio ad gentes. Se fossimo vissuti ai tempi di Gesù noi saremmo stati presumibilmente dei pagani, dato il luogo della nostra origine, e quindi ci sentiamo particolarmente vicini e riconoscenti a personaggi come questo centurione, la samaritana, la mamma cananea dal cuore forte, che hanno creduto nella Parola di Dio pur appartenendo a una terra e a una religione diversa da quella professata dal Maestro ebreo. Spesso i grandi cambiamenti sono preceduti da persone illuminate, che vivono in anticipo ciò che poi diventerà prassi comune e mi sembra che sia stato così anche per i pagani che intercettarono Gesù e credettero in lui.Certamente noi sappiamo che attualmente per terra di missione non intendiamo soltanto uno spazio geografico, ma anche uno spazio sociale, e quindi, accanto al più conosciuto missio ad gentes, che indica l’andare verso popoli e regioni in cui il Vangelo non è ancora arrivato o verso giovani Chiese locali che muovono i loro primi passi (per accoglierli «nella propria intimità», scrive efficacemente il missionario comboniano padre Tibaldo**), accanto all’espressione missio ad gentes, dicevo, dobbiamo porre un inter gentes, espressione che allude all’incontro tra popoli diversi, all’interno di una missione che si svolge in contesti multireligiosi… proprio come quelli con i quali abbiamo a che fare noi oggi.
E ritengo che potremmo utilmente usare anche l’espressione missio cum gentibus, da qualcuno presentata come sinonimo della precedente, ma da altri (come ad esempio trovo in un sito delle suore missionarie comboniane) tradotta con «abitare con i popoli»***. Potremmo forse usare questa traduzione per parlare di quella missione che avviene nelle nostre comunità locali, attraverso il catecumenato e perfino attraverso la catechesi dell’Iniziazione cristiana, dato che la stessa è oggi considerata e descritta come «primo annuncio». Anche con i genitori coinvolti nella catechesi dei figli bisogna pensare a un tipo di approccio, che parta dall’umano e dalle sue esigenze e non immediatamente da un vissuto cristiano, che nella maggioranza dei casi non esiste più. Dobbiamo compiere un passo indietro insomma…
E questa è missione. E questo fa di ogni cristiano un missionario “nei fatti”. Allora tutti noi siamo chiamati a essere attenti ai segni dei tempi, come persone perennemente in missione, e a seguire ciò che dice lo Spirito a questo proposito. Perché questa vita che ci è data è un’opportunità unica per attraversare il mondo e trasformarlo, migliorandolo. Grazie.
*Trovo questa citazione in G. Ravasi, Le parole e i giorni. Nuovo breviario laico. (10 ottobre). Mondadori.
**M. Tibaldi, Studi ed esperienze. Paradigmi, nuovi paradigmi missionari e problematiche aperte, www.comboniani.org.
***Suore missionarie comboniane, La Chiesa in uscita: rinnovare la missione nel XXI secolo, www.comboniani.org
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti, 1 dicembre 2025.
Immagine di copertina tratta da Portraits - Illustrated Stories of Faces di Uran Duo
