Sapevate che tutti noi riceviamo un dono da distruggere, anziché da custodire e conservare? Scopriamolo insieme leggendo e/o ascoltando dal podcast dei Missionari comboniani. Per sentire, cliccare sul triangolino bianco nel cerchietto giallo. Grazie.
Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale, senza essersi pentiti (…), significa rimanere separati per sempre da Dio (…). Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che si chiama inferno». «Uno stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio»: ecco che cos’è l’inferno.
Sorrido a questo proposito a un ricordo leggero della mia vita passata. Preparavo al sacramento della Cresima una giovane ugandese, figlia di un rifugiato politico ai tempi del dittatore Amin Dadà. Questa ragazza, che era stata portata a casa nostra da un missionario comboniano perché l’aiutassimo negli studi, mi disse un giorno, con il suo italiano un po’ pittoresco: «Io credeva che l’inferno è pieno di fuoco e di diavoli con forche, invece suora ha detto che è stare lontana da Dio. Oh, ma io allora sta volentieri lontana da Dio!». Ecco, Margareth diceva così perché non aveva ancora conosciuto veramente Dio, non aveva ancora fatto l’esperienza contemplativa della sua presenza... e della sua necessità. Per chi invece ha vissuto quest’esperienza, nei modi e nei tempi voluti da Lui, nessun dolore è grande come quello che dà la sua assenza, nessun tormento è paragonabile a quella notte oscura in cui si dubita anche di aver creduto. Non c’è fuoco più grande, non c’è sete più indomabile. Ma anche quest'ultima esperienza a ben vedere fa parte di quella benedetta libertà che dà alla fede la sua giusta consistenza. E lasciamo che sia il nostro indimenticabile Papa Francesco a concludere il discorso: «Va all’inferno soltanto colui che dice a Dio: “Non ho bisogno di te”, come ha fatto il diavolo, che è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’inferno».
Non saranno quindi i nostri dubbi a mandarci all’inferno, anzi, quelli semmai, se affrontati con la preghiera instancabile, saranno strade sicure per il Paradiso. Sarà soltanto la nostra volontà di fare a meno di Lui ad allontanarlo. Finché saremo in vita, Lui non si stancherà di bussare alla nostra porta e di chiederci: “Mi vuoi nella tua vita?”. Dopo si arrenderà al nostro volere, rispettando fino alla fine e per l’eternità la nostra libertà.
Libertà di credere e libertà di decidere come trascorrere l’eternità: ecco come funzionano le cose con Dio. Libertà a tutti i costi e sempre. Grazie e ciao!
Mariarosa Tettamanti, 28 settembre 2025
Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 16, versetti da 19 a 31
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».Autenticità e drammaticità della fede
Se mi stacco dall’interpretazione principale di questa parabola, e cioè dalla giustizia divina che punisce l’egoismo dei ricchi che non concedono nemmeno le briciole dei loro averi ai poveri, vedo almeno altri due motivi di riflessione, connessi tra loro. «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». L’autenticità della fede dipende dalla sua libertà, ma questa stessa libertà segna anche la drammaticità della fede, mi diceva spesso il teologo Giovanni Moioli. Il discorso è paradossale, ma ha la logica dell’esperienza: quella libertà, che rende sapida e degna di essere vissuta ogni attività umana, per ciò che riguarda la fede, diciamo la verità, ne faremmo volentieri a meno.
Mi spiego. “Se Gesù ora mi apparisse crederei…” “Se rivedessi mio padre, che è morto da tempo, potrei credere…”. E invece no: tu prima dell’oltre non vedrai Gesù e non rivedrai tuo padre, per il semplice fatto che la tua fede merita la dignità della libertà.
Quando Dio creò l’uomo a sua immagine, lo volle libero. Diceva il cardinale Ravasi, in una sua memorabile lezione, che se Dio non avesse dato la libertà all’uomo avrebbe creato un automa raffinato, nient’altro che un automa, un computer, con il nostro aspetto e dei buoni programmi interni... un buon software insomma: sembra proprio che, se l’autocoscienza e la parola articolata rendono l’uomo diverso dall’animale, la libertà lo rende diverso dalla macchina, dal pc.
Quando Dio creò l’uomo a sua immagine, lo volle libero. Diceva il cardinale Ravasi, in una sua memorabile lezione, che se Dio non avesse dato la libertà all’uomo avrebbe creato un automa raffinato, nient’altro che un automa, un computer, con il nostro aspetto e dei buoni programmi interni... un buon software insomma: sembra proprio che, se l’autocoscienza e la parola articolata rendono l’uomo diverso dall’animale, la libertà lo rende diverso dalla macchina, dal pc.
Un geniale dono di Dio
A garanzia della libertà nel credere, Dio ci regalò il dubbio. Geniale dono di Dio il dubbio, custode e garante della nostra libertà. Dono geniale ma strano, perché è un regalo da non custodire né coltivare, ma da sgretolare con la preghiera: un dono da distruggere. Ed è anche un dono doloroso, assai doloroso... Eppure necessario, perché fino a quando possiamo dubitare e ci è permesso di non credere, noi siamo liberi. Ecco perché non vedremo Dio prima di entrare in Paradiso: proprio perché Lui ci tiene alla nostra libertà. Se ora, in questo momento, noi avessimo l’evidenza scientifica, razionale ed esperienziale dell’esistenza di Dio, non potremmo negarla e quindi non saremmo liberi di credervi o no. Se invece avessimo qualche apparizione potremmo sempre pensare a delle allucinazioni, come farebbero i fratelli del ricco senza nome di questa parabola, nel caso in cui vedessero un morto risorto; oppure, con gli strumenti culturali che abbiamo oggi, penseremmo a visioni prodotte dall’inconscio sull’onda del desiderio. E anche questo garantirebbe la libertà del credere.
«La fede è una candela da reggere in mezzo alla pioggia e al buio» scrive il cardinale Ravasi citando Natalia Ginzburg e aggiunge: «è una voce che chiama a una libera conversione». «Signore, aumenta la mia fede»: questa dev’essere la nostra mai interrotta preghiera.
Ma chi va all'inferno?
E poi l’inferno, la seconda questione: il ricco finisce all’inferno. Ma che cos’è l’inferno? Sete, fuoco, tormenti: questo è ciò che si evince da questa parabola. Ma di quale sete, di quali fiamme, di quali tormenti si sta parlando? E quanta gente va all’inferno? Chi va all’inferno?Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale, senza essersi pentiti (…), significa rimanere separati per sempre da Dio (…). Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che si chiama inferno». «Uno stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio»: ecco che cos’è l’inferno.
Sorrido a questo proposito a un ricordo leggero della mia vita passata. Preparavo al sacramento della Cresima una giovane ugandese, figlia di un rifugiato politico ai tempi del dittatore Amin Dadà. Questa ragazza, che era stata portata a casa nostra da un missionario comboniano perché l’aiutassimo negli studi, mi disse un giorno, con il suo italiano un po’ pittoresco: «Io credeva che l’inferno è pieno di fuoco e di diavoli con forche, invece suora ha detto che è stare lontana da Dio. Oh, ma io allora sta volentieri lontana da Dio!». Ecco, Margareth diceva così perché non aveva ancora conosciuto veramente Dio, non aveva ancora fatto l’esperienza contemplativa della sua presenza... e della sua necessità. Per chi invece ha vissuto quest’esperienza, nei modi e nei tempi voluti da Lui, nessun dolore è grande come quello che dà la sua assenza, nessun tormento è paragonabile a quella notte oscura in cui si dubita anche di aver creduto. Non c’è fuoco più grande, non c’è sete più indomabile. Ma anche quest'ultima esperienza a ben vedere fa parte di quella benedetta libertà che dà alla fede la sua giusta consistenza. E lasciamo che sia il nostro indimenticabile Papa Francesco a concludere il discorso: «Va all’inferno soltanto colui che dice a Dio: “Non ho bisogno di te”, come ha fatto il diavolo, che è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’inferno».
Non saranno quindi i nostri dubbi a mandarci all’inferno, anzi, quelli semmai, se affrontati con la preghiera instancabile, saranno strade sicure per il Paradiso. Sarà soltanto la nostra volontà di fare a meno di Lui ad allontanarlo. Finché saremo in vita, Lui non si stancherà di bussare alla nostra porta e di chiederci: “Mi vuoi nella tua vita?”. Dopo si arrenderà al nostro volere, rispettando fino alla fine e per l’eternità la nostra libertà.
Libertà di credere e libertà di decidere come trascorrere l’eternità: ecco come funzionano le cose con Dio. Libertà a tutti i costi e sempre. Grazie e ciao!
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Immagine di copertina tratta da Music cover artworks di Nuta Mart
