Qualcuno dei miei follower pensa di conoscere bene la preghiera del «Padre nostro»? Sbaglia! Partiamo insieme alla sua scoperta, accompagnati dal biblista monsignor Tremolada: prometto un viaggio toccante e confortante. Presento il testo scritto e il podcast dei Missionari comboniani: per ascoltare, cliccare sul triangolino bianco nel cerchietto giallo.
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
In altre parole, Dio ci è Padre in forza del mistero dell’incarnazione, quindi noi siamo figli nel Figlio, accolti all’interno della comunione tra Gesù e il Padre: per questo, se vogliamo intuire che cosa significhi essere figli di Dio, dobbiamo entrare in comunione stretta con Gesù e dire «abbà!» ("papà") insieme a Lui.
Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 11, versetti da 1 a 13
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
La preghiera di Gesù
«Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare…”. Ed egli disse loro: Quando pregate dite …». Questa continuità tra la preghiera solitaria di Gesù e la preghiera che Lui stesso insegna ai discepoli mostra la coincidenza tra le due suppliche, così che il «Padre nostro» risulta essere davvero la preghiera di Gesù in senso forte: non si tratta solo dell'orazione che Lui insegna, ma è la stessa che Lui rivolge al Padre. Pertanto, quando preghiamo il «Padre nostro» lo facciamo insieme a Lui ed entriamo nella sua esperienza di figlio, arrivando a chiedere al Padre ciò che Lui stesso chiede. E questo (come ricorda il biblista vescovo monsignor Tremolada, che regala molti punti a questa riflessione) piace molto a Dio, dal momento che “Padre” è il termine che esprime meglio di ogni altro la sua identità .In altre parole, Dio ci è Padre in forza del mistero dell’incarnazione, quindi noi siamo figli nel Figlio, accolti all’interno della comunione tra Gesù e il Padre: per questo, se vogliamo intuire che cosa significhi essere figli di Dio, dobbiamo entrare in comunione stretta con Gesù e dire «abbà!» ("papà") insieme a Lui.
Dal Padre al Tu... e ritorno
Da questa scelta lessicale ed esperienziale consegue l’indicazione di Gesù di rivolgerci al Padre usando il “tu”, il che rende la nostra relazione con Dio personale e confidenziale, quindi intensamente affettiva. Nonostante l’immensità del suo potere, del suo sapere e della sua perfezione, attributi che lo rendono incommensurabilmente diverso da noi, questo “tu” e questo “Padre” creano un legame di vicinanza e di somiglianza bellissimi da vivere, anche se difficili da spiegare e immaginare. Ma se pensiamo al nostro papà terreno, qualcosa forse riusciamo a capire. Eppure Tu che sei l’Onnipotente, Tu che sei l’Onnisciente, Tu che sei l’Immenso, Tu che sei l’Eterno… Tu sei mio Padre.Cerchiamo adesso di entrare meglio nella comprensione di questa realtà, a partire sempre dall’esperienza umana. Per noi la parola «Padre» evoca almeno quattro aspetti: desiderio e amore per i figli prima ancora che nascano; generazione dei figlioli, cioè dono della vita; introduzione dei figli nella società umana, attraverso il cognome e la cittadinanza; guida nella loro crescita in modo autorevole e amoroso. Il legame di un padre nei confronti dei figli è quindi generativo, affettivo, istituzionale, educativo.
Mariarosa Tettamanti, 27 luglio 2025
Immagine di copertina: Portraits / Ritratti di Francesco Liccardi
Ed è questo ciò che fa Dio con noi: ci ama fin dalle origini, ci dà la vita, ci regala una comunità, ci guida e ci educa con la sua legge e la sua Parola. Quindi il vocabolo “Padre” si adatta pienamente e perfettamente a Lui e alla sua relazione con noi.
Però la parola «Padre», non solo identifica il destinatario della preghiera, ma è anche la parola che qualifica noi stessi, cioè attraverso la quale noi ci riconosciamo figli e quindi fratelli tra noi. Avere lo stesso Padre descrive la nostra autentica identità e spiega le nostre vere relazioni. Tuttavia non possiamo dimenticare che la paternità di Dio, pur prendendo luce dalla nostra esperienza, la supera. La supera enormemente. Voglio dire che partendo dalla genitorialità umana, noi possiamo per analogia risalire alla paternità divina, ma non possiamo dimenticare che l’esperienza di Lui in quanto Padre è frutto della fede, dell’abbandono a Lui, dell’adesione alla sua volontà, della ricerca di Lui nella passione del cuore e nelle profondità dell’intelligenza.
“Padre, mostraci il paesaggio interiore in cui abiti con il Figlio e lo Spirito, accoglici nell’utero* del tuo bene e sostieni la nostra ricerca cognitiva e affettiva, perché sia costante e inesausta… fino a quando non ci servirà più, perché saremo in Paradiso, nella tua casa, e ti conosceremo di persona. Grazie Padre e grazie a tutti voi sorelle e fratelli”.
*Perché nessuno si scandalizzi, preciso che questo termine è di derivazione biblica: viene da rachadim, termine composto da "utero" e "acque" e indica le viscere di Dio che perennemente ci generano e plasmano.
Però la parola «Padre», non solo identifica il destinatario della preghiera, ma è anche la parola che qualifica noi stessi, cioè attraverso la quale noi ci riconosciamo figli e quindi fratelli tra noi. Avere lo stesso Padre descrive la nostra autentica identità e spiega le nostre vere relazioni. Tuttavia non possiamo dimenticare che la paternità di Dio, pur prendendo luce dalla nostra esperienza, la supera. La supera enormemente. Voglio dire che partendo dalla genitorialità umana, noi possiamo per analogia risalire alla paternità divina, ma non possiamo dimenticare che l’esperienza di Lui in quanto Padre è frutto della fede, dell’abbandono a Lui, dell’adesione alla sua volontà, della ricerca di Lui nella passione del cuore e nelle profondità dell’intelligenza.
“Padre, mostraci il paesaggio interiore in cui abiti con il Figlio e lo Spirito, accoglici nell’utero* del tuo bene e sostieni la nostra ricerca cognitiva e affettiva, perché sia costante e inesausta… fino a quando non ci servirà più, perché saremo in Paradiso, nella tua casa, e ti conosceremo di persona. Grazie Padre e grazie a tutti voi sorelle e fratelli”.
*Perché nessuno si scandalizzi, preciso che questo termine è di derivazione biblica: viene da rachadim, termine composto da "utero" e "acque" e indica le viscere di Dio che perennemente ci generano e plasmano.
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dai missionari comboniani, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti, 27 luglio 2025
Immagine di copertina: Portraits / Ritratti di Francesco Liccardi