Secondo commento al rifiuto di Gesù da parte dei Nazareni, seconda puntata sul vizio capitale dell'invidia: vale la pena di esplorarlo bene, perché lo si deve assolutamente sconfiggere. Proviamoci! Leggiamo il testo o ascoltiamo il podcast registrato per i Missionari comboniani. Per sentire, cliccare sul triangolino bianco nel cerchietto giallo.
Il primo maggio, quando abbiamo affrontato per la prima volta questo testo, abbiamo visto l’invidia indossare il mantello della giustizia. Sul viso però portava già la maschera dello scandalo: d’altra parte, se uno è scandalizzato si sente autorizzato a passare all’azione, giusto?
E può succedere persino alla scuola dell’infanzia sapete: un giorno tu porti qualcosa di tuo, ma alcune tue compagne te lo portano via, se lo passano di mano in mano, lo lanciano per aria, mentre tu piangi e ti chiedi perché ti trattano così. “Perché sono più brava di loro” dovresti risponderti, ma sei troppo piccola per saperlo e così pensi il contrario di ciò che dovresti pensare: “Io valgo meno di loro” pensi. Supponi che le maestre ti chiedano di svolgere i compiti più difficili, perché ti vogliono male e tu non meriti di essere amata... non perché tu li sai fare e le altre no. Le compagne, invece, benché piccole, lo sanno molto bene e l'invidia le spinge a farti soffrire: spesso il frutto marcio del bullismo germoglia e matura proprio sul terreno inquinato dell’invidia. Così se alla scuola primaria ricevi voti più belli degli altri, forse sarai cacciata nel limbo delle escluse, accusata di essere la cocca del maestro…
Ci sono forme di invidia poco visibili, ma sempre dolorose: un autore pubblica un libro, apre un blog o un canale, scrive un articolo di successo… e chi sono i primi a ignorare i suoi sforzi, o peggio ancora, a boicottare la sua iniziativa, a parlarne con disprezzo? Proprio gli amici, i compagni, i compaesani, qualche collega magari, persino qualche famigliare. I più vicini insomma. Se si aprissero dentro, gli invidiosi vedrebbero che proprio quel libro e quel blog erano un loro desiderio che non sono mai riusciti a concretizzare.
Crescendo, ho capito che l’invidia può fare veramente molto male, ma solo perché l’invidioso fa di tutto per nuocere: è vendicativo, anche se la sua vendetta non è provocata da un male ricevuto, ma da un dolore interiore percepito a causa della fortuna altrui e vissuto come una ferita narcisistica. L'invidia in fondo è frequentemente frutto di un'inadeguata autostima. A volte essa si abbiglia con l’amore per l’omologazione, appoggiandosi ad assiomi invincibili, benché taciuti: “Siamo tutti uguali” si dice, dimenticando che si devono combattere le gerarchie, ma non le diversità, perché le diversità rendono belli gli uomini, in quanto unici, esclusivi, irripetibili.
Ci sono individui che dovunque vadano si mettono subito a caccia di chi vale di più, per estirparlo. E con quale zelo, con quale fervore lo fanno! E purtroppo spesso ci riescono: si credono amanti della giustizia, si fingono scandalizzati, ma sono soltanto discepoli di questa brutta malattia dell’anima.
*Come riporta il cardinale Ravasi, Mario Missiroli (che fu direttore del «Corriere della sera» negli anni ’50) scrisse queste parole in un articolo dedicato al barnabita padre Giovanni Semeria (1867 – 1931), grande figura di uomo e di religioso, costretto all’esilio e a una vita tormentata e umiliata dalla grettezza di alcuni uomini di Chiesa.
**Da G. Ravasi, Le parole e i giorni. Nuovo breviario laico.
Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 13, versetti da 54 a 58.
Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.Un episodio antipatico, un sentimento da combattere
Ed eccoci di nuovo, amiche e amici, immersi in questo episodio antipatico. «Era per loro motivo di scandalo»: scandalizzati o invidiosi? Scandalizzati perché invidiosi, ecco la risposta.Il primo maggio, quando abbiamo affrontato per la prima volta questo testo, abbiamo visto l’invidia indossare il mantello della giustizia. Sul viso però portava già la maschera dello scandalo: d’altra parte, se uno è scandalizzato si sente autorizzato a passare all’azione, giusto?
E può succedere persino alla scuola dell’infanzia sapete: un giorno tu porti qualcosa di tuo, ma alcune tue compagne te lo portano via, se lo passano di mano in mano, lo lanciano per aria, mentre tu piangi e ti chiedi perché ti trattano così. “Perché sono più brava di loro” dovresti risponderti, ma sei troppo piccola per saperlo e così pensi il contrario di ciò che dovresti pensare: “Io valgo meno di loro” pensi. Supponi che le maestre ti chiedano di svolgere i compiti più difficili, perché ti vogliono male e tu non meriti di essere amata... non perché tu li sai fare e le altre no. Le compagne, invece, benché piccole, lo sanno molto bene e l'invidia le spinge a farti soffrire: spesso il frutto marcio del bullismo germoglia e matura proprio sul terreno inquinato dell’invidia. Così se alla scuola primaria ricevi voti più belli degli altri, forse sarai cacciata nel limbo delle escluse, accusata di essere la cocca del maestro…
Ci sono forme di invidia poco visibili, ma sempre dolorose: un autore pubblica un libro, apre un blog o un canale, scrive un articolo di successo… e chi sono i primi a ignorare i suoi sforzi, o peggio ancora, a boicottare la sua iniziativa, a parlarne con disprezzo? Proprio gli amici, i compagni, i compaesani, qualche collega magari, persino qualche famigliare. I più vicini insomma. Se si aprissero dentro, gli invidiosi vedrebbero che proprio quel libro e quel blog erano un loro desiderio che non sono mai riusciti a concretizzare.
La didattica dei proverbi ha sempre ragione
Mia nonna mi preparava all’eventualità dell’invidia attraverso i proverbi, la grande didattica di quei tempi: «L’invidia non è mai morta e mai morirà / quando morirà l’invidia, il mondo finirà» diceva. Ai tempi suoi, all’invidia si attribuivano poteri occulti e devastanti: quando una bambina aveva frequenti problemi di salute, oppure se le cose in una famiglia andavano ripetutamente male, si diceva: “Ha dentro un’invidia” e si pregava intensamente per romperla.Crescendo, ho capito che l’invidia può fare veramente molto male, ma solo perché l’invidioso fa di tutto per nuocere: è vendicativo, anche se la sua vendetta non è provocata da un male ricevuto, ma da un dolore interiore percepito a causa della fortuna altrui e vissuto come una ferita narcisistica. L'invidia in fondo è frequentemente frutto di un'inadeguata autostima. A volte essa si abbiglia con l’amore per l’omologazione, appoggiandosi ad assiomi invincibili, benché taciuti: “Siamo tutti uguali” si dice, dimenticando che si devono combattere le gerarchie, ma non le diversità, perché le diversità rendono belli gli uomini, in quanto unici, esclusivi, irripetibili.
Occhi deboli e malati
Il fatto è che l’invidia ha occhi deboli e malati, che non sopportano la luce. L’invidioso infatti è spesso una persona mediocre, che però aborrisce l’oscura mediocrità in cui versa e proprio per questo la esige per tutti. Così, guai a chi si azzarda a brillare più degli altri: «L’avere più ingegno del comune è sempre una grande colpa agli occhi dei mediocri» scriveva il noto giornalista Mario Missiroli* e il cardinale Ravasi aggiunge: «La caratteristica fondamentale di questo difetto (cioè della mediocrità ndr) è (…) l’invidia per tutto ciò che sta sopra il proprio livello di basso profilo»**. Infatti l’invidia teme il confronto: se siamo tutti moderatamente bravi, o moderatamente preparati, o moderatamente intelligenti, nessuno si sente minacciato. Colui che è più bravo, invece, o più seguito… dev’essere ricacciato tra i “molti”, nella massa, in modo che non si creda meglio degli altri.La missione dell'invidioso
La vera missione dell’invidioso è perseguire e stigmatizzare nel prossimo il peccato ritenuto il più mortale di tutti: in gergo, "tirarsela": “Quello lì chissà chi crede di essere, dobbiamo ridimensionarlo”. E non vale il fatto che la persona in questione sia assolutamente inconsapevole del suo valore: la grandezza, che l’invidioso nel segreto le riconosce, con una distorsione mentale viene trasformata in vanità esibita.Ci sono individui che dovunque vadano si mettono subito a caccia di chi vale di più, per estirparlo. E con quale zelo, con quale fervore lo fanno! E purtroppo spesso ci riescono: si credono amanti della giustizia, si fingono scandalizzati, ma sono soltanto discepoli di questa brutta malattia dell’anima.
La signorilità del Maestro
Ma intanto avete notato la signorilità di Gesù? Il Maestro non recrimina, non alza la voce, non fa piazzate, non si arrabbia né si deprime. Enuncia semplicemente un dato di fatto: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».
Poi però Gesù lì non fa molti prodigi. Eh sì… perché il cuore dell’invidioso è terra arida, non vi si può seminare: essendo poco concimato dalla fede, non produce frutti. Impariamo da Gesù come comportarci quando veniamo danneggiati a causa dell’invidia: stiamo sopra, non prendiamocela più di tanto; semmai giriamo le spalle e guardiamo altrove.
Ora però mi devo fermare, lasciando il discorso un’altra volta in sospeso, perché il nostro tempo è scaduto. Riprenderemo più avanti, quando dovrò ri-commentare questo stesso testo.
Nel frattempo, chiediamo al Signore di aiutarci a liberare il cuore da ogni sentimento negativo, per piacere di più a Lui e per stare meglio con noi stessi e con i fratelli. A risentirci.
Nel frattempo, chiediamo al Signore di aiutarci a liberare il cuore da ogni sentimento negativo, per piacere di più a Lui e per stare meglio con noi stessi e con i fratelli. A risentirci.
*Come riporta il cardinale Ravasi, Mario Missiroli (che fu direttore del «Corriere della sera» negli anni ’50) scrisse queste parole in un articolo dedicato al barnabita padre Giovanni Semeria (1867 – 1931), grande figura di uomo e di religioso, costretto all’esilio e a una vita tormentata e umiliata dalla grettezza di alcuni uomini di Chiesa.
**Da G. Ravasi, Le parole e i giorni. Nuovo breviario laico.
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti, 1 agosto 2025
Immagine di copertina di Bala Lush.
Mariarosa Tettamanti, 1 agosto 2025
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