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Prepariamoci a un esaltante viaggio nella storia, per scoprire nelle sue pieghe l'agire dello Spirito e lo svolgersi di una vita di Chiesa che alimenti con la fede e la bellezza anche il nostro presente. Buon cammino! Per ascoltare dal podcast dei Missionari comboniani, cliccare sul triangolino bianco nel cerchietto giallo.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetti da 1 a 7.

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, colui che poi lo tradì.Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».

Da Israele al mondo

«Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele». “Prima di tutti gli altri, bisogna pensare a noi, al nostro popolo” sta dicendo Gesù: “il nostro è il popolo eletto, il popolo scelto da mio Padre fin dai tempi di Abramo…”. Proprio così sta dicendo Gesù, ma poi arriverà la Cananea, quella donna testarda e malandrina, che con la storia delle briciole da dare ai cagnolini riuscirà a strappare al Maestro la guarigione della figlia, pur essendo lei straniera e pagana. E con lei Gesù abbraccerà la missio ad gentes. Fino a quando, poco prima dell’ascensione, dirà: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».
    «In tutto il mondo». «A ogni creatura». E in tutto il mondo si disperderanno gli Apostoli tanto che nel II secolo dopo Cristo il cristianesimo, oltre che nell’odierna Palestina, si sarà diffuso nell’odierna Turchia, sulle coste orientali della penisola balcanica, nella Siria, nelle isole di Creta e di Cipro, fino ad Alessandria d’Egitto, a Cirene, a Cartagine e a Roma. E dovunque arrivano i cristiani portano con sé, insieme alla buona novella del Vangelo e ai sacramenti, il prezioso deposito della fede, cioè quel «Credo» che la Tradizione attribuisce agli Apostoli stessi.
    Quando i nostri “antenati di religione” (chiamiamoli così per intenderci) si diffondono in buona parte dell’Impero Romano l’imperatore Costantino capisce di non poter più fermare il dilagare di una Parola che ha in sé una potenza mai sperimentata prima e di non poter cancellare l’imporsi di un segno vincente su tutti gli altri segni. Egli appone allora, sugli scudi dei suoi soldati, come ben sappiamo, la nota frase «In hoc signo vinces» e attribuisce alla Croce la sua vittoria al Ponte Milvio.

325, 381, 1054 d. C. 

Finalmente i Cristiani possono lasciarsi alle spalle secoli di persecuzioni violente: sono i primi figli dei martiri… e noi siamo gli ultimi: ci pensiamo qualche volta? L’anno è il 312 e 13 anni dopo lo stesso imperatore convoca il primo Concilio della nostra Chiesa. Esattamente 1700 anni fa, amiche e amici, nel 325, a Nicea, in Turchia, esattamente 1700 anni fa, come ci ha ricordato recentemente il Papa, più di duecento vescovi, in maggioranza orientali, si riuniscono per definire la fede, in risposta e contro l’eresia ariana, che riteneva Gesù Cristo inferiore al Padre e non pienamente Dio. É così che nasce il «Credo niceno», con il quale si proclama con assoluta certezza che Gesù Cristo è consustanziale al Padre.
    54 anni dopo, nel 381, sempre in Turchia, ma questa volta a Costantinopoli, l’imperatore Teodosio convoca il nostro secondo Concilio, con il quale viene confermato il «Credo niceno». In questa occasione nella professione di fede viene introdotto, insieme al nome di Maria e contro le nuove eresie nate nel frattempo, la consustanzialità anche dello Spirito Santo con il Padre, attraverso le parole «qui ex Patre procédit» («che procede dal Padre»). 
    Solo nel 1054 si aggiunge nel «Credo» il famoso «filioque», precisando così che lo Spirito Santo non procede soltanto dal Padre, ma anche dal Figlio. E ora noi abbiamo il «Credo niceno costantinopolitano» in tutta la sua lucente bellezza e purezza e in tutta la sua avvincente completezza.

Una professione di fede per nutrire il gusto intimo del cuore

Confesso che ogni tanto mi piace ritagliarmi un po’ di tempo per sedermi, magari nella penombra della chiesa o anche sotto l’albero di casa mia, a recitare mentalmente la professione della nostra fede, assaggiando e assaporando ogni versetto con il gusto intimo del cuore. In queste occasioni risento la voce di mio papà che cantava esultando: «Credo in unum Deum, Patrem onnipotentem, factorem caeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium…». A lui si univano spesso i cugini e un vicino di casa e io sentivo nel loro canto l’esultanza e l’orgoglio di appartenere alla Chiesa e di essere depositari di una fede bella. E mi lasciavo trascinare nei cieli della loro gioia limpida e profonda.

Il Vangelo e il cammino della Chiesa... e noi?

Quanta strada da quel «predicate» detto da Gesù agli Apostoli. Siamo andati avanti, rispetto al testo che dovevamo commentare, ma d’altra parte è Gesù che è andato avanti: è partito sì con l’evangelizzazione di Israele, assecondando il movimento del Padre nell'Antico Testamento, ma è poi ben presto arrivato al mondo, perché il Vangelo è profondamente missionario, anche nell'universalità del suo andare.
    Quanta fatica, quanto studio, quanto tempo, quanto entusiasmo ci sono voluti alla Chiesa per arrivare a consegnarci la verità immacolata e radiosa del «Credo». E quale miracolo, se ci pensiamo, è questa diffusione umanamente inspiegabile di una Parola semplice ma esigente, bella ma impegnativa e non facile da vivere fino in fondo. E quanto è affascinante per noi accostarci alla storia della Chiesa per vedere nelle sue screpolature l’agire dello Spirito che tutto dirige al Bene... se viene assecondato dal nostro libero arbitrio ovviamente.
    Ma perché oggi il retaggio di un passato così glorioso e cristallino non è più capace di innestare gioia e santo orgoglio nel nostro presente? Il che non significherebbe disprezzare le altre religioni, ma semmai vedere nelle varie professioni di fede, come dice il nostro ultimo Concilio, semi e bagliori della Rivelazione… per poi perderci nella lode per questo incessante creare di Dio nell’amore. Grazie e buona giornata a tutti.

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti, 9 luglio 2025

Immagine di copertina: icona ortodossa rappresentante il Concilio di Nicea.