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Non sono più io che vivo (podcast e testo scritto)

Uno dei miracoli dell'Eucaristia è sollevare la pesantezza della nostra vita da uomini per immergerci in quella leggera e luminosa di Dio. Per leggere o ascoltare, cliccare sul triangolino bianco nel cerchio giallo.

Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 6, versetti da 52 a 59.

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.

Un mistero di vicinanza

«Come può costui darci la sua carne da mangiare?» la domanda è comprensibile dopo tutto. Davanti ai Giudei Gesù si mostra in tutta la sua umanità: come si può mangiare un essere umano senza essere dei cannibali?
La risposta è nel mistero di vicinanza all’uomo, un ampio sentiero sul quale Dio ci ha condotti per colmare la distanza tra Lui e noi, distanza che solo Lui poteva annullare. Si è trattato di un processo graduale: dapprima Dio si è reso vicino al suo popolo, mediante l’incontro con Abramo alla quercia di Mamre, poi sul monte con Mosè, in seguito mediante i profeti… E poi ecco l’incarnazione, quando l’Onnipotente ha cancellato, non solo le lontananze temporali e cosmiche tra Lui e l’uomo, ma anche le differenze fisiche e fisiologiche, assumendo il DNA di Maria e la nostra natura umana. Poiché noi non avremmo mai potuto diventare uguali a Lui, Lui si è fatto uguale a noi.

Il primo passo di un cammino

In Gesù Cristo è così apparsa un’altra immagine di Dio, «sostanziale a sé, ma anche sostanziale all’uomo, fatta di divinità, ma anche di carne e di sangue, di eterno e di storia», scrive stupendamente il cardinale Baggio al XX Congresso eucaristico nazionale tenutosi a Milano nel 1983.* Da quel momento, per l’uomo si è realmente aperta la possibilità di cercare di diventare come Dio: non contro di Lui, come fecero i nostri progenitori strappando il frutto del rifiuto, ma con Lui, che si è fatto uomo anche per essere imitato.
Il primo passo di questo cammino avviene con il Battesimo, in virtù del quale la creatura diventa figlia e la paternità divina crea un legame profondo, che sopprime la lontananza. Ma la possibilità di diventare Lui (non solo “come” Lui) ci è data dall’Eucaristia, dove noi mangiamo la carne e beviamo il sangue del Signore. Nientemeno.

Non sono più io che vivo

Abbiamo parlato altre volte dell’Eucaristia, ma in realtà non finiamo mai di esplorarne i luminosi scoscendimenti. Mediante questo sacramento, il sangue di Gesù si versa nel nostro, diventando tutt’uno con il nostro gruppo sanguigno, potremmo dire, e le fibre della sua carne si avvolgono e s’intrecciano con le fibre della nostra carne e le due carni si confondono e diventano una, così da non sapere più dove finiamo noi e dove incomincia Lui, dove finisce Lui e dove incominciamo noi. È così che passa in noi la sua vita e in noi si rendono presenti corpo, sangue, anima e divinità del Signore. Potremmo dunque dire che il primo effetto dell’Eucaristia sia di tipo somatico, cioè ricada sul corpo in cui si inserisce: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» scrive san Paolo ai Galati.
Il percorso esistenziale e spirituale dell’uomo è dunque chiaro: dalla religiosità innata come intuizione dell’Assoluto, che, come abbiamo detto un’altra volta, ci apre al divino, ad un vissuto da figli attraverso il Battesimo; dalla conoscenza di Dio, ovviamente mai esaustiva, all’imitazione di Gesù, perseguibili mediante la catechesi e la preghiera, fino all’inverarsi della vita di Dio nella nostra, attraverso l’Eucaristia. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» dice Gesù. È bello questo dimorare reciproco, più facile da vivere che da spiegare, è bello questo rimanere.
Da questo sacramento siamo plasmati «come uomini eucaristici» scrive monsignor Nicora negli Atti del Congresso che ho citato. Questo significa che l’Eucaristia ci rende Gesù anche sul piano dei risultati fattuali. Senza mezzi termini e senza dannosi simbolismi, trasfigurando ogni nostra dimensione.

Le dimensioni dell'umano educate dell'Eucaristia

Sì, ma quante sono le dimensioni dell’umano? Due (corpo e anima), tre (corpo, mente, anima) come afferma l’antropologia teologica, ancora tre (ego, super ego, es) come vuole la psicanalisi, oppure quattro o più come spesso dichiara l’antropologia fenomenologica di altre scienze umane? Ogni risposta è legittima, ma volendo disegnare una mappa dell’uomo ne sceglierei quattro, come i punti cardinali: corpo (sede della materia fisica, dei sensi e del movimento), cuore o affettività/emotività (cioè luogo dell’amare), mente o intelligenza (cioè luogo del capire), anima o spirito (cioè luogo della relazione con Dio e dei valori che ne derivano).
Ebbene, l’Eucaristia visita tutti questi luoghi dell'essere, abita 
queste dimensioni, e tutto educa e trasfigura. E questo succede non a livello di principio, ma proprio sul piano dell’esperienza. 
Faccio un piccolissimo esempio. Quando ritorniamo al nostro posto nell’assemblea, dopo aver ricevuto il sacramento del Pane consacrato, entriamo nel silenzio meditativo, che mette insieme l’atto fisico del mangiare con l’adesione intellettuale e spirituale del credere e con l’atto affettivo dell’aderire con il cuore a questo Dio che abbiamo ricevuto. In questo modo si ricompone armoniosamente l’unità della nostra persona, in un processo capace di far interagire tutte le facoltà dell’uomo, che si sciolgono infine in un unico canto di adorazione, di lode e di gioia,** suscitato, accompagnato e sostenuto dalla sua Presenza.
Questa mi sembra la modalità migliore per recuperare la nostra unità esistenziale, superando la frammentarietà della vita e uniformando la nostra umanità all’umanità gloriosa di Gesù. Questo mi sembra anzi il modo più veloce per mettere definitivamente le mani sulla felicità. Grazie!

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti, 9 maggio 2025


*Ringrazio don Virginio Pontiggia, che mi ha aiutata a trovare gli Atti del XX Congresso eucaristico nazionale.
**L’esempio è suggerito dal liturgista mons. Magnoli.

Immagine di copertina: cartellone con la stampa delle mani dei bambini del catechismo della comunità CBFB (Co).