Come vive l'Anno liturgico una Ministra straordinaria dell'Eucaristia, o meglio come lo vive un cristiano? Come entrare in questo periodo benedetto e "altro", che disegna il Vangelo con i colori del tempo? Vediamolo insieme
Premessa laica: l’inimicizia del tempo
Il tempo è forse uno dei peggiori nemici dell’umanità. Scivola tra le dita della vita come sabbia: c’era … e improvvisamente non ce n’è più. Quando c’è non accetta controllo, quando sparisce lascia a sostituirlo soltanto lei, la spaventosa prospettiva dei nostri giorni, la morte. Tempo e morte non si possono vedere l’un l’altra, ma sono strettamente uniti: se non c’è il primo, c’è la seconda, non si scappa. O consentiamo al tempo di prendersi con noi le sue odiose libertà o consentiamo alla morte di precipitarci nella fine, o almeno nell’ignoto, più spaventoso dello spegnimento stesso della vita. Così, quando diciamo “Ma come? È già sabato? Ma non era ieri lunedì?” ci lamentiamo, non tanto dello scorrere del tempo, quanto di ciò che il tempo ci infligge: si permette di disegnare antipatiche rughe sui nostri volti, d’incurvare le nostre schiene, di rendere lenti i nostri passi e le nostre azioni, di obbligarci ad accettare acciacchi e malattie… e ci sottrae i nostri bellissimi bambini, per consegnarci al loro posto giovani e adulti così così, quasi mai corrispondenti ai nostri sogni. Possiamo addomesticare il tempo e costringerlo a correre quando vorremmo che si affrettasse o ad arrestarlo quando vorremmo che si fermasse? No, non possiamo. Possiamo almeno rallentarne la corsa? No, nemmeno questo possiamo fare. Tutti dentro il tempo, tutti dietro a lui, tutti trascinati, volenti o nolenti, nella sua folle corsa. Così cerchiamo di lavorare tanto, di amare tanto, di guadagnare tanti soldi, di sfruttare tanta gente, senza pensare che di giorno in giorno ci avviciniamo al momento in cui non riusciremo a fare più nulla e allora che cosa contempleranno i nostri occhi diventati sicuramente presbiti? “Non pensiamoci, dai, divertiamoci finché possiamo, evitiamo di rattristarci in anticipo!” dicono i più.
Un tempo dai confini sgretolati
Non pensarci? Pensiamoci invece, ma nel modo giusto. Un giorno, più di duemila anni fa, Dio è entrato nel nostro tempo e nella storia, assumendoli entrambi, insieme alle nostre geografie e alla nostra carne. Essendo Dio, non poté non aprire il tempo alle categorie dell’infinito e dell’eternità e da allora il tempo è cambiato. Il mostro che non si sarebbe mai assoggettato agli uomini ha dovuto piegarsi all’Onnipotente e i suoi confini si sono sgretolati, aprendosi all’irruzione del divino.
Quando Gesù, l’uomo /Dio, è diventato pane ha sconvolto le categorie del tempo: successione, durata, contemporaneità … tutto è saltato e si è dissolto in un presente informato, plasmato, orientato da una Presenza. Il presente /Presenza è diventato la realtà della nostra vita e la liturgia, soprattutto nella celebrazione eucaristica, ne è la custode e la garante. Il grande nemico è diventato amico e noi ci siamo riconciliati con le nostre giornate, perché la loro fuga, avvicinandoci alla vera Vita, non è più contro di noi, ma per noi. Possiamo dire che l’Eucaristia è il fatto che fa la fortuna del cristiano, del presbitero, del MISCE, dell’uomo.
Quando Gesù, l’uomo /Dio, è diventato pane ha sconvolto le categorie del tempo: successione, durata, contemporaneità … tutto è saltato e si è dissolto in un presente informato, plasmato, orientato da una Presenza. Il presente /Presenza è diventato la realtà della nostra vita e la liturgia, soprattutto nella celebrazione eucaristica, ne è la custode e la garante. Il grande nemico è diventato amico e noi ci siamo riconciliati con le nostre giornate, perché la loro fuga, avvicinandoci alla vera Vita, non è più contro di noi, ma per noi. Possiamo dire che l’Eucaristia è il fatto che fa la fortuna del cristiano, del presbitero, del MISCE, dell’uomo.
Il tempo amico
Arriva la prima domenica di Avvento e io apro la porta della chiesa, per avvicinarmi alla celebrazione eucaristica, con i sensi già raccolti e l’anima abitata dall’avvincente consapevolezza di entrare ancora una volta in un tempo altro e nuovo, in cui la giovinezza è affare di cuore e non di età. Il varco aperto mi conduce nel nuovo anno liturgico, il tempo da vivere con Dio. La dimensione che ritrovo è quella intrigante dell’attesa: un vuoto quindi, perché si può aspettare soltanto ciò che non si possiede. Un vuoto benefico, perché ricavato dallo sgombero di ciò che oramai era diventato pesante e vecchio, un vuoto da pagina bianca da riempire a poco a poco, come facevo da piccola, con il corredino per Gesù Bambino. Ero molto meticolosa in questo da bambina: le fasce, il camicino, la bavaglina con il nome ricamato, le scarpine di lana, la culla per eliminare finalmente la mangiatoia … e ad ogni dono corrispondeva un “fioretto”, come un aiuto offerto spontaneamente alla mamma, la rinuncia a un quadretto di cioccolato o a un ghiacciolo, il perdono di uno sgarbo dei compagni. Crescendo ho capito che, più che dare, il tempo di Avvento ci invita a ricevere, perché l’attesa liturgica non è vuota, ma colma di ciò che Lui ci vuole donare. Nel Vangelo incontriamo quel simpaticone di Giovanni Battista: sincero senza mezzi termini, brusco e benevolo, pieno di fede veemente e diretta alla meta, innamorato del Cugino. Se guardiamo a lui sappiamo a che cosa tendere: via gli orpelli e le autogiustificazioni, via le scuse e i dinieghi, e avanti invece con la volontà ferma d’incontrare il Dio che viene e di riconoscerlo, di lasciarlo parlare, di seguirlo.
Ai miei anziani, insieme al dono indicibile della comunione eucaristica, porto una donna in cammino, povera e imperfetta, ma desiderosa di conversione. E saranno loro a parlarmi di fede vissuta nel grembo fecondo della sofferenza e di carità concreta, capace di tradursi in gentile sopportazione. Mi basterà guardarli per capire e imparare.
Ai miei anziani, insieme al dono indicibile della comunione eucaristica, porto una donna in cammino, povera e imperfetta, ma desiderosa di conversione. E saranno loro a parlarmi di fede vissuta nel grembo fecondo della sofferenza e di carità concreta, capace di tradursi in gentile sopportazione. Mi basterà guardarli per capire e imparare.
Durante l’Avvento aspetto il Natale, ma quando il 25 dicembre arriva, non manca mai la sorpresa. Lo stupore abita il presepe. Dopo la Messa contemplo il Dio Bambino, che ho incontrato nel racconto evangelico e ricevuto nell’Eucaristia, e non manco mai di commuovermi, mentre dentro di me la meraviglia comincia a dipingere paesaggi di luce. Guardo le manine paffutelle, i piedini che mangerei di baci, il sorriso, gli occhi e non riesco a non pensare: “Come sei piccolo Dio mio, quale DNA sei andato a prendere! Io avrei preso il DNA degli angeli (posto che gli angeli abbiano un DNA), Tu invece hai voluto il nostro, per esserci più vicino; ti sei sporcato con il nostro sangue, hai voluto imparare a soffrire nella nostra carne. Ora posso prenderti in braccio, stringerti a me, sentire il tuo profumo di latte e di neonato … Il mio pensiero si smarrisce e quasi si spaura, come diceva il poeta: aumenta la mia fede, Signore!”. Per fortuna, a Natale la speranza degli anziani e degli ammalati si fa visibile e tangibile, nella gioia che ringiovanisce il viso e spiana le rughe e mi raggiunge, mi lambisce e mi fa nuova.
Il verde è un bel colore: parla di freschezza, di concretezza e di aderenza alla terra. È bello entrarci e seguire, all’interno dei prati evocati dalla memoria affettiva, il passo sicuro del Maestro. Vado avanti con Lui, ogni tanto deve darmi la mano e trascinarmi, e passo dal Giordano a Cana, da Cafarnao alle strade della Galilea, finché incomincio a intravedere Gerusalemme e il Calvario. Il primo movimento del cuore è un subitaneo ritrarsi: “Di già?”.
Gli anziani però hanno percorso strade di sofferenza e di paura più lunghe e tortuose delle mie e per questo sono meno riottosi di me: quando si raccolgono ascoltando il Vangelo, i lineamenti del loro viso mantengono la serenità della preghiera. È così che incominciano a insegnarmi la nascosta e misteriosa bellezza della croce: se Lui c’è, il cuore non teme.
Devo dire la verità: per me la quaresima ha davvero la faccia da quaresima e quando arriva mi dipinge il cuore di tristezza. E qual è il colore della tristezza? È il viola naturalmente: non è il lilla vivace e chiacchierone, no, è proprio un silenzioso viola scuro che, se lo guardi bene, mette malinconia.
Poi però le domeniche, le mie e quelle degli anziani che incontro, si popolano di personaggi e avvenimenti capaci di suscitare un desiderio incontenibile di futuro e di vita nuova: personalmente mi piacciono soprattutto l’incedere presuntuoso e l’impudenza redenta della samaritana, ma anche le disperate/esultanti sorelle di Lazzaro mi parlano in vari modi e con toni ogni volta diversi, e avverto infine una simpatia particolare per il cieco nato: com’è bello seguirlo nel passaggio dal buio alla luce! Ognuno di loro ci svela un aspetto diverso del nostro amato Maestro: seguendoli, passiamo dalla sua capacità di comprendere e di perdonare alla sua sconcertante eloquenza, dall’abilità di asciugare le lacrime, guarire e dare la vita, a quel pianto inatteso per l’amico, che lo rende uguale a noi in maniera così reale e struggente. È un viaggio che facciamo volentieri dietro a Lui, un cammino che ci trasforma nella dolcezza e, starei per dire, nell’allegria: così le ceneri, che ho partecipato agli anziani nella prima domenica di quaresima, assolvono il loro compito di richiamo alla conversione. Durante la via, però, non possiamo dimenticare il luogo verso il quale siamo incamminati: ce lo ricordano le Viae Crucis, che colorano di devozione commossa e grave i venerdì di quaresima.
Cammina cammina, giungo alla settimana di passione, annunciata dal colore rosso, universalmente associato al sangue. Vivo il tripudio dell’entrata in Gerusalemme portando trionfalmente agli anziani il ramo d’ulivo benedetto: lo accolgono con gioia e lo appendono ad una parete della camera, intrecciandolo al crocifisso, dove resterà per tutto l’anno. La strada che mi conduce dagli infermi non è tanto diversa, almeno a livello metaforico, da quella che condusse Gesù in Gerusalemme, così la percorro esultante, attenta a restare vicina alla sua cavalcatura, in mezzo ai suoi apostoli, e dicendogli col cuore di non temere, perché noi non siamo come la folla che lo sta acclamando e non passeremo dall’osanna al crucifige.
Che cosa dire del giovedì e del venerdì santo? L’esperienza è così intima, personale e forte, che si può esprimere soltanto con il silenzio. La lunga messa del giovedì non è mai lunga abbastanza, la deposizione di Gesù nel sepolcro non manca di stringere il cuore e di chiamare le lacrime, l’assenza della celebrazione eucaristica al venerdì e anche del suono delle campane è sempre accompagnata da un soffocante senso di mancanza ed è così completa l’immersione nella passione che quasi ci si dimentica della risurrezione.
Invece fortunatamente la veglia pasquale e la domenica seguente arrivano e riempiono l’anima e i sensi: il resurrexit delizia il cuore fin nei suoi angoli più nascosti, l’allegria chiassosa delle campane finalmente sciolte, ci mette di buonumore, la luce esplode in ogni luogo reale e simbolico della nostra vita …
Devo dire la verità: per me la quaresima ha davvero la faccia da quaresima e quando arriva mi dipinge il cuore di tristezza. E qual è il colore della tristezza? È il viola naturalmente: non è il lilla vivace e chiacchierone, no, è proprio un silenzioso viola scuro che, se lo guardi bene, mette malinconia.
Poi però le domeniche, le mie e quelle degli anziani che incontro, si popolano di personaggi e avvenimenti capaci di suscitare un desiderio incontenibile di futuro e di vita nuova: personalmente mi piacciono soprattutto l’incedere presuntuoso e l’impudenza redenta della samaritana, ma anche le disperate/esultanti sorelle di Lazzaro mi parlano in vari modi e con toni ogni volta diversi, e avverto infine una simpatia particolare per il cieco nato: com’è bello seguirlo nel passaggio dal buio alla luce! Ognuno di loro ci svela un aspetto diverso del nostro amato Maestro: seguendoli, passiamo dalla sua capacità di comprendere e di perdonare alla sua sconcertante eloquenza, dall’abilità di asciugare le lacrime, guarire e dare la vita, a quel pianto inatteso per l’amico, che lo rende uguale a noi in maniera così reale e struggente. È un viaggio che facciamo volentieri dietro a Lui, un cammino che ci trasforma nella dolcezza e, starei per dire, nell’allegria: così le ceneri, che ho partecipato agli anziani nella prima domenica di quaresima, assolvono il loro compito di richiamo alla conversione. Durante la via, però, non possiamo dimenticare il luogo verso il quale siamo incamminati: ce lo ricordano le Viae Crucis, che colorano di devozione commossa e grave i venerdì di quaresima.
Cammina cammina, giungo alla settimana di passione, annunciata dal colore rosso, universalmente associato al sangue. Vivo il tripudio dell’entrata in Gerusalemme portando trionfalmente agli anziani il ramo d’ulivo benedetto: lo accolgono con gioia e lo appendono ad una parete della camera, intrecciandolo al crocifisso, dove resterà per tutto l’anno. La strada che mi conduce dagli infermi non è tanto diversa, almeno a livello metaforico, da quella che condusse Gesù in Gerusalemme, così la percorro esultante, attenta a restare vicina alla sua cavalcatura, in mezzo ai suoi apostoli, e dicendogli col cuore di non temere, perché noi non siamo come la folla che lo sta acclamando e non passeremo dall’osanna al crucifige.
Che cosa dire del giovedì e del venerdì santo? L’esperienza è così intima, personale e forte, che si può esprimere soltanto con il silenzio. La lunga messa del giovedì non è mai lunga abbastanza, la deposizione di Gesù nel sepolcro non manca di stringere il cuore e di chiamare le lacrime, l’assenza della celebrazione eucaristica al venerdì e anche del suono delle campane è sempre accompagnata da un soffocante senso di mancanza ed è così completa l’immersione nella passione che quasi ci si dimentica della risurrezione.
Invece fortunatamente la veglia pasquale e la domenica seguente arrivano e riempiono l’anima e i sensi: il resurrexit delizia il cuore fin nei suoi angoli più nascosti, l’allegria chiassosa delle campane finalmente sciolte, ci mette di buonumore, la luce esplode in ogni luogo reale e simbolico della nostra vita …
Gli ammalati dal canto loro vogliono sapere tutto: chi ha celebrato, chi ha cantato il preconio, chi il resurrexit … Di solito sono stati svegli per sentire le campane e così sono in grado di collocare temporalmente la celebrazione. Due anni fa una signora un po’ confusa ha passato la notte del sabato santo a chiamarmi, credendo forse di raggiungermi raggiungendo così la chiesa: se questa non è fede…
Da questa notte riparto, ogni anno con la vita ribaltata, per vivere i 40 giorni dell'Ascensione e i 50 della Pentecoste, e poi vado serena lungo il periodo che scorre verso i Santi, la festa di Cristo re e il nuovo Avvento, sostando prima con Maria, nella festa dell'Assunta. Insieme a questi accompagnatori il tempo continua a venirmi incontro carico di promesse: il bello della vita deve ancora venire, lo so, quando il tempo si dissolverà e abiterò l'eternità.
Mariarosa Tettamanti. Pubblicato il 26 novembre 2024, scritto parecchi anni prima.
