Oggi sono vittime ampiamente riconosciute e risarcite, ieri erano ritenute colpevoli e condannate a vita... Ma anche allora c'era Chi le risarciva: ecco una storia dura e dolcissima, che insegna i vantaggi eversivi e terapeutici del perdono. Possiamo leggerla o ascoltarla nel podcast dei missionari comboniani. Per ascoltare, cliccare sul triangolino bianco nel cerchio giallo.
Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 12, versetti da 24 a 26.
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.Una decisione difficile
Ho già commentato con voi questi versetti del Vangelo di Giovanni, ma oggi leggendoli non riesco a non pensare a una persona che ho conosciuto e forse più di altre ha vissuto, almeno secondo me, la sorte del chicco di grano che muore per dare frutto. Premetto che ho pensato molto prima di decidere di ospitarla nei nostri commenti, perché si tratta di una vicenda dura, difficile da accettare, benché bellissima.
“Mia zia” dice questa ragazza “era una donna dolcissima, tutta lavoro casa e chiesa, dedita completamente al Signore e a noi, mai con le mani in mano, totalmente povera. Quando si fermava dal lavoro, pregava, a lungo, tutti i giorni, oppure creava pizzi leggeri per noi e per l’altare. Non appena suonavano le campane, lasciava ciò che stava facendo e correva in chiesa; salutava tutti, ma non si fermava a parlare con nessuno. Di lei colpiva soprattutto il raccoglimento, rotto soltanto per consolare chi piangeva, per chiedere scusa se per sbaglio ci spruzzava con dell’acqua mentre lavava i piatti, per invitarci a recitare il rosario o per domandare qualche sporadica informazione su ciò che stava facendo o che succedeva nel mondo. Aveva occhi che facevano pensare alle stelle e mani calde e leggere, esperte nell’accarezzare. Comunicava una serenità sorgiva, che non si spegneva mai. In paese la chiamavano "la santa", dicevano che viveva come una claustrale ed era famosa anche nei dintorni. Le suore dell’asilo sostenevano che era di “edificazione” anche per loro e molti sacerdoti, tra cui un padre spirituale del vicino seminario e un bravo teologo, pensavano di lei la stessa cosa. Il suo confessore la magnificava continuamente e diceva che affidava alla sua preghiera i casi più dolorosi e difficili. Di lei si sapeva che era entrata in un convento giovanissima, ma poi ne era uscita ed era tornata a casa.
Narrazione di un segreto
E ora lascio che a raccontare questa storia sia una delle nipoti della protagonista.“Mia zia” dice questa ragazza “era una donna dolcissima, tutta lavoro casa e chiesa, dedita completamente al Signore e a noi, mai con le mani in mano, totalmente povera. Quando si fermava dal lavoro, pregava, a lungo, tutti i giorni, oppure creava pizzi leggeri per noi e per l’altare. Non appena suonavano le campane, lasciava ciò che stava facendo e correva in chiesa; salutava tutti, ma non si fermava a parlare con nessuno. Di lei colpiva soprattutto il raccoglimento, rotto soltanto per consolare chi piangeva, per chiedere scusa se per sbaglio ci spruzzava con dell’acqua mentre lavava i piatti, per invitarci a recitare il rosario o per domandare qualche sporadica informazione su ciò che stava facendo o che succedeva nel mondo. Aveva occhi che facevano pensare alle stelle e mani calde e leggere, esperte nell’accarezzare. Comunicava una serenità sorgiva, che non si spegneva mai. In paese la chiamavano "la santa", dicevano che viveva come una claustrale ed era famosa anche nei dintorni. Le suore dell’asilo sostenevano che era di “edificazione” anche per loro e molti sacerdoti, tra cui un padre spirituale del vicino seminario e un bravo teologo, pensavano di lei la stessa cosa. Il suo confessore la magnificava continuamente e diceva che affidava alla sua preghiera i casi più dolorosi e difficili. Di lei si sapeva che era entrata in un convento giovanissima, ma poi ne era uscita ed era tornata a casa.
A 76 anni la zia si ammalò. La diagnosi fu impietosa: cancro a uno stadio avanzato.
Nella notte dell’agonia soffrì moltissimo, ma non distolse un attimo gli occhi dal crocifisso appeso alla parete di fronte. Alla mattina arrivò il cappellano con la Comunione eucaristica e lei la volle ricevere. Ingoiò la particola con grandissima fatica, mi guardò con due occhi che contenevano tutto il firmamento, riuscì persino a sorridere, mi disse esultante: “È qui”, trasse gli ultimi, faticosissimi respiri e morì. Aveva aspettato lo Sposo: era suo diritto entrare in Paradiso abbracciata a Lui, perché era stata sua per tutta la vita.
Dopo la sua morte, furono alcune sue consorelle a parlare. Incominciò una che era stata sua compagna di noviziato: disse che la zia era la migliore di tutte loro, era anche la più amata e veniva continuamente presentata come esempio da seguire, così quando se ne era andata dal convento era stato un grosso colpo per tutte. Qualche tempo dopo un’altra suora si lasciò sfuggire con mia sorella un giudizio inaspettato: “Poverina la vostra zia, lei era piccola, che cosa poteva sapere di certe cose? Era la superiora a dover essere castigata, non lei”. E poi a poco a poco arrivò la verità: la zia era stata trovata tra le braccia della madre badessa ed era stata scacciata per questo dal convento.
Da questo punto in poi non posso che immaginare la vicenda, ricostruendola intorno alle poche informazioni e alle fotografie rimaste. Da giovane mia zia era bella, con un visetto e una carnagione delicati, capelli folti e occhi grandi e luminosi… e fu così che una suora s’innamorò di lei. Purtroppo si trattava della madre superiora e a lei non si poteva dire di no. Le due vennero scoperte e scoppiò lo scandalo. Non so che cosa disse la badessa a sua discolpa, ma posso supporlo, perché il repertorio degli abusanti non è creativo, è monotono, dicono sempre le stesse cose… però, dati i tempi, venne creduta. Così mia zia, dopo essere stata abusata, venne crudelmente punita.
Ti vollero morta, zia, come il chicco di grano nelle viscere della terra. Ma il Signore, zia, il tuo Signore, ha fatto di te un capolavoro della sua Grazia. Ti ha lasciata in una vita impossibile e profondamente ingiusta, certo, ma ti ha dato una serenità inalienabile e costante e tanti nipoti che ti hanno adorata. Con loro, con noi, hai comunicato senza parlare, sussurrando senza sussurri il valore della fede e della carità, che tutto sopportano e comprendono. La punizione immeritata è diventata felicità nascosta, la vita che ti è stata imposta si è trasformata nell'esistenza più adatta a te e alla tua santità. Il chicco che sembrava morto è fiorito nella spiga e ha prodotto molto frutto, mentre tu condividevi con il tuo Sposo l’esperienza dell’ingiustizia umana.
Al tuo funerale la gente ha portato fiori bianchi, perché, diceva, quella non era una cerimonia funebre, ma un matrimonio, e ancora oggi ci sono persone che vengono sulla tua tomba a chiedere una grazia, che spesso ottengono. Tu sei l’esempio di come, anche quando si è patito il peggio, imparando a perdonare e mantenendo la fede si può arrivare a essere felici e a fiorire di bene come le spighe nel deserto.”
Spiegazione della decisione
Ecco perché ho deciso di raccontare questa storia amici: perché nei casi di abusi, di ingiustizie, di maltrattamenti, di offese di qualunque tipo, è doveroso chiedere e avere giustizia, ma dopo si deve trovare il coraggio di fare qualcosa di veramente rivoluzionario, si deve cioè trovare il coraggio di perdonare, perché senza il perdono le vicende dell’anima non si chiudono e non si arriva ad assaporare la libertà interiore; senza il perdono non c’è refrigerio e non c’è guarigione per le ferite del cuore. Solo il perdono è forza terapeutica che cura e riesce a sanare. I risarcimenti legali possono far sentire meglio, certo, ma solo l’atto profondo del perdonare è acqua che rigenera il seme marcito nella terra. Se il dolore fa morire, il perdono fa rifiorire, perché perdonare significa lasciarsi alle spalle definitivamente l’odio, il risentimento, la rabbia, il dolore… per riprendere liberi e felici quella vita nuova nella quale essere servitori di Uno solo, l’Unico che merita, il Maestro che è morto perdonando a chi lo stava uccidendo… E poi è risorto. Grazie!N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dai missionari comboniani, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti, 10 agosto 2024
Immagine di copertina tratta da Il Giardino Segreto di Fabio Pia Mancini.