Alla sera, con un po' di pane e un po' di pesce abbrustolito, mentre il Maestro è in disparte, a tu per tu con il Padre, gli Apostoli raccontano la chiamata: perché hanno seguito questo sconosciuto che parlava in modo strano... e come si fa a pescare gli uomini? Dalla loro vocazione passiamo alla nostra, unendo con un balzo del pensiero il tempo di Gesù e il nostro tempo, il suo spazio e il nostro spazio...
Nel post troviamo il testo scritto e il podcast dei Missionari comboniani. Per ascoltare la registrazione cliccare sul triangolino bianco contenuto nel cerchietto giallo.
Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetti da 1 a 7
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino.
Non c'è missione senza vocazione
Per gli Apostoli è venuto il tempo della missione. Abbiamo già sviscerato più volte questo tema, ma non abbiamo mai indagato il rapporto tra missione e vocazione. Sì, perché le radici di ogni missione affondano in una chiamata: non c’è missione senza vocazione.Siamo all’interno del Vangelo secondo Matteo, a circa un terzo del cammino alla sequela di Gesù proposto dal primo evangelista. É lo stesso evangelista che nel capitolo precedente ha narrato la sua chiamata, racchiusa in una sola parola, quel “Seguimi” che dev’essere arrivato alle sue orecchie con la potenza sacrale del suono dello shofar, se lui stesso dice di essersi immediatamente alzato e di aver subito seguito quello strano profeta, che l’aveva raggiunto al banco delle imposte e non aveva provato ribrezzo nei confronti di un peccatore incallito come lui. É lo stesso evangelista che sei capitoli prima ha raccontato la chiamata dei quattro pescatori, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, riferendola come il primo gesto compiuto da Gesù. Non ci sono miracoli nelle chiamate trascritte da Matteo, non c’è niente di spettacolare. Si tratta di atti discreti, ripresi quasi di sfuggita, in forma così stringata che bisogna rappresentarsi le scene quasi plasticamente per coglierne la grandezza.
Chissà quante volte, magari alla sera, quando si sedevano per riposare e masticare un po’ di pane con del pesce abbrustolito, mentre Gesù si allontanava per i suoi misteriosi colloqui con il Padre, chissà quante volte i dodici si saranno raccontati le loro chiamate. “Eravamo… sulle rive del lago di Galilea” avranno detto i pescatori, con la voce illuminata dalla loro stessa sorpresa “e stavamo lavorando. Due di noi gettavano le reti in mare, mentre altri due lavavano e rammendavano quelle che si erano strappate. Ci trovavamo nell’acqua bassa, sapete, vicino alla riva; avevamo reti rotonde e piccole, a lancio. Era una giornata normale, uguale precisa a tante altre, ma poi tutto cambiò, perché proprio allora avvenne l’incontro con Lui. Non ci fu saluto, non ci furono presentazioni, ci fu soltanto un invito espresso ad alta voce per sovrastare lo sciabordio dell’acqua: “Seguitemi”. E poi subito il motivo di questo comando: «Vi farò pescatori di uomini». Pescatori di uomini? Che cosa voleva dire? Non ce lo chiedemmo, non ci chiedemmo nemmeno il perché di queste parole, però dentro quella voce palpitava una promessa di felicità, quindi lasciammo le reti e lo seguimmo. Abbandonammo il nostro lavoro, sciogliemmo all’istante i legami familiari, ci lasciammo alle spalle un’esistenza normale, costruita con fatica. Capimmo dopo che con queste poche parole il Maestro aveva ribaltato la nostra vita, riscrivendo e dando una forma inaspettata al futuro. Al momento lo seguimmo senza capire, credemmo in Lui senza nessun motivo. Ma un giorno o l’altro Lui ci spiegherà che cosa vuol dire pescare gli uomini?”.
“Voi almeno avete lasciato una vita grama, di fatiche” possiamo immaginare che dicesse brontolando Matteo “ma io… io ho abbandonato una vita di agi e di ricchezze, per rincorrere questa promessa”.
E sì… ogni risposta a una chiamata è un rischio, perché ogni vocazione ha in sé qualcosa d'incomprensibile. Pensiamo alla nostra chiamata...
È stata un momento che ha segnato una spaccatura nella vita o il compimento di un’attesa? Si è fatta strada a poco a poco o si è rivelata un’irruzione carica di sorprese? L’abbiamo avvertita da subito con chiarezza, o è arrivata al termine di un discernimento faticoso? È stata la scoperta di una congruenza tra la nostra vita e le sue esigenze, o l’adattarsi non facile della vita all’invito? Oppure siamo rimasti nel dubbio e nell’incertezza, finché ci siamo accorti che proprio dentro questo dubbio abitava la chiamata e proprio la vita nella quale eravamo rimasti era quella che Lui sceglieva per noi?
E come l’abbiamo accolta questa chiamata? Con esultanza, oppure con timore e trepidazione? Ritorniamo al momento in cui abbiamo capito che quello sguardo, quel sorriso, quella voce, udita o avvertita come un movimento profondo dell’anima, quella famiglia naturale o comunitaria... erano per noi e avrebbero definito la nostra missione.
Ma alla fin fine che cosa vuol dire per gli Apostoli diventare pescatori di uomini? Ecco, io credo che loro incomincino proprio qui, in questo decimo capitolo di una vita ormai donata, a capire che cosa vuol dire, nel momento in cui il “seguimi” diventa un “vai”. “Vai e predica, vai ad annunciare il Regno di Dio, vai ad espellere il male dagli uomini che amo, vai a guarire dolori e infermità. Per questo ti ho detto di seguirmi, questo significa pescare gli uomini. Questo è l’inizio della tua missione”.
Anche per noi c’è stato il momento in cui il “Vai” è diventato il motivo e lo scopo di un’esistenza finalmente arrivata, finalmente in pace, finalmente in missione. Allora troviamo il tempo oggi per dire ancora una volta il nostro sì, nella calma, nella dolcezza e nella gioia.
È stata un momento che ha segnato una spaccatura nella vita o il compimento di un’attesa? Si è fatta strada a poco a poco o si è rivelata un’irruzione carica di sorprese? L’abbiamo avvertita da subito con chiarezza, o è arrivata al termine di un discernimento faticoso? È stata la scoperta di una congruenza tra la nostra vita e le sue esigenze, o l’adattarsi non facile della vita all’invito? Oppure siamo rimasti nel dubbio e nell’incertezza, finché ci siamo accorti che proprio dentro questo dubbio abitava la chiamata e proprio la vita nella quale eravamo rimasti era quella che Lui sceglieva per noi?
E come l’abbiamo accolta questa chiamata? Con esultanza, oppure con timore e trepidazione? Ritorniamo al momento in cui abbiamo capito che quello sguardo, quel sorriso, quella voce, udita o avvertita come un movimento profondo dell’anima, quella famiglia naturale o comunitaria... erano per noi e avrebbero definito la nostra missione.
Non c'è vocazione senza missione
Eh sì, perché in effetti ogni chiamata prelude a una missione ed è per questo che ogni risposta alla vocazione è un rischio: proprio in quanto ci chiede di accettare una missione futura e perché il futuro ci coglie sempre a occhi chiusi, è sempre un’ipoteca, è sempre la richiesta di firmare una cambiale in bianco.Ma alla fin fine che cosa vuol dire per gli Apostoli diventare pescatori di uomini? Ecco, io credo che loro incomincino proprio qui, in questo decimo capitolo di una vita ormai donata, a capire che cosa vuol dire, nel momento in cui il “seguimi” diventa un “vai”. “Vai e predica, vai ad annunciare il Regno di Dio, vai ad espellere il male dagli uomini che amo, vai a guarire dolori e infermità. Per questo ti ho detto di seguirmi, questo significa pescare gli uomini. Questo è l’inizio della tua missione”.
Anche per noi c’è stato il momento in cui il “Vai” è diventato il motivo e lo scopo di un’esistenza finalmente arrivata, finalmente in pace, finalmente in missione. Allora troviamo il tempo oggi per dire ancora una volta il nostro sì, nella calma, nella dolcezza e nella gioia.
E sentiamoci uniti, tutti insieme, in questo inesausto pescare gli uomini, che ci è consegnato dai tempi della nostra chiamata, qualunque essa sia stata e in qualunque modo si sia rivelata. E quando la missione si fa dura e i nostri passi diventano pesanti, incerti, bloccati, viviamo pure alla giornata, amici, ma non dimentichiamoci di ascoltare in ogni momento la voce di Gesù che ci dice: “Continua a seguirmi, sai, perché io sto facendo di te il mio pescatore di uomini”. Grazie
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dai missionari comboniani, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Immagine di copertina: lavoro dei bambini della catechesi di Appiano Gentile.
Mariarosa Tettamanti - 10 luglio 2024