«Né angeli né luci, solo la consapevolezza di essere guariti»: quanti di questi miracoli avvengono ogni giorno nella penombra dei confessionali o nell'intimità di studi dove operano nel nascondimento guide spirituali eroiche e sante, che toccano le anime e le guariscono nel nome di Gesù? Dopo questa riflessione, ci ricorderemo di ringraziare chi ci aiuta a stare in piedi sui sentieri a volte non facili della vita cristiana? Grazie! Nel post troviamo il testo scritto e il podcast dei Missionari comboniani. Per ascoltare la registrazione cliccare sul triangolino bianco contenuto nel cerchietto giallo.
Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 8, versetti da 1 a 4.
Scese dal monte e molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato». E subito la sua lebbra fu guarita. Poi Gesù gli disse: «Guardati bene dal dirlo a qualcuno; va' invece a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».La prima vita
Per capire la situazione spaventosa dei lebbrosi nella terra e al tempo di Gesù, immaginiamo di raccogliere la testimonianza del malato guarito di cui si parla in questo brano.- «Il lebbroso porterà le vesti strappate (…) e griderà: "Impuro! Impuro!" (…) se ne starà solo; abiterà fuori dal campo». Queste parole sono tratte dal libro del Levitico, uno dei libri che spiegano la nostra legge. Le ho sempre sapute, tutti noi ragazzi le conoscevamo, perché ce le aveva insegnate il rabbino alla sinagoga. E poi mi era successo di sentire, durante le nostre scorribande fuori dai centri abitati, quel grido spaventoso che annunciava il passaggio di uno di loro, cioè di uno di quegli immondi che avevano la lebbra: «Impuro, impuro!» gridavano. Una volta mi avvicinai tanto da vedere le vesti strappate, e attraverso gli strappi le piaghe spaventose, e allora fuggii terrorizzato, il più lontano possibile. Sapevamo tutti che questa era una delle peggiori disgrazie che avremmo potuto incontrare nella vita, ma nessuno di noi pensava che sarebbe capitata a lui. Nemmeno io.
Quella volta piansi tutte le mie lacrime, per più giorni, anche di notte. Mi chiedevo come potesse Adonai permettere tutta questa sofferenza.
Passarono gli anni e io vedevo il mio corpo riempirsi sempre più di piaghe e la mia carne erodersi poco per volta. Finché un giorno sentii parlare di un maestro che diceva cose mai udite e guariva molte malattie.
Eppure un giorno successe proprio a me. Ricordo molto bene il momento in cui vidi sulla mia mano sinistra una piccola bolla biancastra: pensai subito alla lebbra, ma non ci volli credere e istintivamente la coprii con la mano destra per nasconderla. Un po’ di tempo dopo però mi accorsi che la pelle intorno alla bolla era diventata insensibile: se la toccavo, non la sentivo più…
Allora andai da mia madre, per mostrargliela e togliermi l’angoscia che mi era piombata addosso, ma la vidi impallidire. Piangendo mi prese per mano e mi portò, trascinandomi, dal sacerdote. Il religioso esaminò la mia piaga, poi disse a mia madre di riportarmi da lui dopo sette giorni.
Tornammo a casa, ma sentivo che mia mamma tremava, come se avesse la febbre. Sette giorni dopo il sacerdote emise il verdetto: ero lebbroso, dovevo essere isolato dagli altri. Trovò anzi altre piaghe sul mio corpo e strappò il mio vestito, perché si vedessero. Poi fui cacciato, tra le urla di mia madre, trattenuta a stento dalle sue amiche, perché voleva venire con me, voleva seguirmi. Gridava: “Mio figlio non è immondo!” A lungo sentii i suoi singhiozzi e anche quando le orecchie non li sentirono più, il cuore continuò a udirli.
Allora andai da mia madre, per mostrargliela e togliermi l’angoscia che mi era piombata addosso, ma la vidi impallidire. Piangendo mi prese per mano e mi portò, trascinandomi, dal sacerdote. Il religioso esaminò la mia piaga, poi disse a mia madre di riportarmi da lui dopo sette giorni.
Tornammo a casa, ma sentivo che mia mamma tremava, come se avesse la febbre. Sette giorni dopo il sacerdote emise il verdetto: ero lebbroso, dovevo essere isolato dagli altri. Trovò anzi altre piaghe sul mio corpo e strappò il mio vestito, perché si vedessero. Poi fui cacciato, tra le urla di mia madre, trattenuta a stento dalle sue amiche, perché voleva venire con me, voleva seguirmi. Gridava: “Mio figlio non è immondo!” A lungo sentii i suoi singhiozzi e anche quando le orecchie non li sentirono più, il cuore continuò a udirli.
La seconda vita
Incominciò così la mia nuova vita, in una grotta, fuori dal centro abitato. Basta giochi, non più lezioni e preghiere nella sinagoga, non più amici… ma soprattutto mi mancava la mia famiglia e mi sentivo più un morto che un vivente. Con me c’erano altri disgraziati, tutti impegnati a sopravvivere in un’esistenza diventata cattiva. Non seppi mai chi mi avesse contagiato: probabilmente qualcuno che aveva nascosto le piaghe sotto i vestiti e non le aveva denunciate al sacerdote. Mia mamma veniva tutti i giorni a portarmi del cibo, ma era costretta a lasciarlo lontano da me: io la vedevo diventare sempre più vecchia e mi chiedevo dove fosse finita la sua bellezza. Un giorno portò con sé la mia sorellina Ester, che mi cercava con lo sguardo, ma non poteva vedermi, perché io me ne stavo nascosto per la vergogna: ero impuro, avevo paura di contagiarla. Nessuno poteva avvicinarsi a me, ero castigato da Adonai per non so quale peccato.Quella volta piansi tutte le mie lacrime, per più giorni, anche di notte. Mi chiedevo come potesse Adonai permettere tutta questa sofferenza.
Passarono gli anni e io vedevo il mio corpo riempirsi sempre più di piaghe e la mia carne erodersi poco per volta. Finché un giorno sentii parlare di un maestro che diceva cose mai udite e guariva molte malattie.
Verso la terza vita
Allora decisi di trasgredire la legge di Mosé, di giocare il tutto per tutto, e mi mescolai alla folla che lo seguiva. Nessuno si accorse di me, perché erano tutti presi dal nuovo Maestro. Riuscii ad arrivare davanti a Lui e gli dissi: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Lui allora tese la mano verso di me e io pensai: “Ma che cosa fa? Non lo sa che nessuno può toccarmi?” Lui invece mi toccò e fu un tocco dolcissimo e io pensai che avevo dimenticato il calore che poteva dare il tocco di una mano umana, una mano amica. Poi Lui disse: «Lo voglio, sii purificato» e mai parole scesero sul capo di un uomo con maggiore dolcezza.
E la lebbra scomparve dal mio corpo. Tutto qui, tutto semplicissimo, altro non potrei dire. Non vidi né angeli né luci, solo seppi di essere guarito.
Allora Lui mi disse: «Guardati bene dal dirlo a qualcuno; va' invece a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro». Ah già sì, si doveva andare dai sacerdoti per avere il certificato che permetteva di rientrare in comunità… Andai, ebbi il permesso, tornai a respirare e a vivere -.
Poi, io credo che questo racconto sia anche un’elegia della confessione sacramentale. Perché Gesù ha voluto che il perdono dei nostri peccati arrivasse a noi attraverso l’ascolto, le parole e il tocco dei suoi discepoli e non mediante una semplice richiesta presentata a Lui nella preghiera? Forse perché Gesù vuole raggiungerci nella totalità del nostro essere?
Sì, perché Lui sa di quale materiale siamo fatti, Lui che era presente alla creazione e conosce l’importanza del fango, cioè della materia di cui siamo costituiti. Accostiamoci allora con buona frequenza alla riconciliazione sacramentale e lasciamo che il tocco di Gesù attraverso il confessore "bifronte" ci dica: “Io ti purifico, io guarisco la tua anima, io ti assolvo”.
E oggi troviamo il modo per ringraziare quei sacerdoti che spendono molta parte della loro vita nei confessionali o nei loro studi, dove elargiscono il perdono di Dio e accompagnano le persone sui crinali di vite spesso bagnate e rese sdrucciolevoli dal dolore, dalla solitudine e dal senso d'inadeguatezza. Io ringrazierò il mio e pregherò per lui: fate lo stesso anche voi. Grazie!
E a noi?
Ok, adesso lasciamo il lebbroso guarito alla sua terza nuova vita e chiediamoci che cosa dice a noi questo miracolo. Innanzitutto dice che nessuno di noi è così impuro, così peccatore, così indegno da non meritare il tocco delicato e guaritore di Gesù.Poi, io credo che questo racconto sia anche un’elegia della confessione sacramentale. Perché Gesù ha voluto che il perdono dei nostri peccati arrivasse a noi attraverso l’ascolto, le parole e il tocco dei suoi discepoli e non mediante una semplice richiesta presentata a Lui nella preghiera? Forse perché Gesù vuole raggiungerci nella totalità del nostro essere?
Sì, perché Lui sa di quale materiale siamo fatti, Lui che era presente alla creazione e conosce l’importanza del fango, cioè della materia di cui siamo costituiti. Accostiamoci allora con buona frequenza alla riconciliazione sacramentale e lasciamo che il tocco di Gesù attraverso il confessore "bifronte" ci dica: “Io ti purifico, io guarisco la tua anima, io ti assolvo”.
E oggi troviamo il modo per ringraziare quei sacerdoti che spendono molta parte della loro vita nei confessionali o nei loro studi, dove elargiscono il perdono di Dio e accompagnano le persone sui crinali di vite spesso bagnate e rese sdrucciolevoli dal dolore, dalla solitudine e dal senso d'inadeguatezza. Io ringrazierò il mio e pregherò per lui: fate lo stesso anche voi. Grazie!
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dai missionari comboniani, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti, 27 giugno 2024
Immagine di copertina tratta dalla Locandina del festival "Il sentiero invisibile" di Isabella Conti.