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Per pura Grazia

Un dialogo notturno tessuto da opposizioni è capace di svelare noi a noi stessi. N. B. Il testo orale risulta volutamente più lungo del testo scritto, per comunicare tutto il discorso di Gesù, conservandone l'unitarietà argomentativa, la quale incomincia al versetto 6 e si stende fino al 21.
Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini, Mariarosa Tettamanti,formatrice diocesana, Milano, 10 Aprile" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 3, versetti 16-21

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Un colloquio nella notte

E’ notte, il buio ha ormai stretto l’assedio intorno alle case di Gerusalemme e al magnifico tempio, che ha chiuso le sue porte appena scesa la sera. Gesù parla con Nicodemo. Lo chiama «maestro in Israele», perché Nicodemo è un capo giudeo e fariseo, che appartiene all’élite del tempio. Non è stato Gesù a cercare Nicodemo: Nicodemo ha cercato Gesù.
Tra i due sboccia un dialogo, ma a parlare è soprattutto Gesù, il quale impegna l’attenzione del suo interlocutore, e quindi anche la nostra, in un lungo discorso, che incomincia qualche versetto prima,  attraversato da molte opposizioni significative: carne contro spirito, terra contro cielo, salire contro scendere, giudizio e condanna contro salvezza, incredulità contro fede, tenebre contro luce, male contro verità.

Due ritratti antitetici

Intrecciando queste parole, come la trama e l'ordito di una stessa stoffa, otteniamo due ritratti antitetici. Eccoli.
Chi non crede in Dio rimane nella pesantezza della carne e appartiene soltanto alla terra, vive il materialismo di chi si ferma alle evidenze scientifiche e non fa mai il salto della fede. Però c’è di peggio. Chi compie il male rimane nelle tenebre e allora è giudicato e condannato dalle sue stesse opere: sono le opere che parlano di noi!
Dall’altra parte abbiamo i rinati dall’alto, cioè i nati dallo Spirito: essi accolgono Colui che è sceso dal cielo, cioè Gesù, e credono in Lui; appartengono al Regno di Dio, vivono nella luce della verità e sono avvolti dalla salvezza.

Una diversa prospettiva

Allora, per penetrare a fondo in queste argomentazioni, bisogna capire bene che cosa significhi rinascere dall’alto, la frase con la quale Gesù ha aperto il suo discorso. Ecco, bisogna sapere che nella nascita dall’alto o dallo Spirito molti vedono un’allusione al Battesimo. Proviamo anche noi a guardare il discorso da questa prospettiva.
Noi siamo creature di Dio, ma con il Battesimo diventiamo suoi figli. E’ un po’ come se rientrassimo nel grembo di Dio, per essere rigenerati: come ne usciremo?
Ecco: come un bambino prende forma nella pancia della mamma e poco per volta viene ad assomigliare a lei, al papà e ai suoi fratelli, anche noi usciamo dal Battesimo con il volto del Figlio, cioè assomiglianti a Lui e quindi al Padre: in un modo o nell’altro, infatti, tutti i fratelli si assomigliano, perché tutti assomigliano ai genitori. Grazie a questa metafora creata da Gesù, noi comprendiamo che il rito del Battesimo è come una gestazione, che culmina con una nuova nascita.
Ma in fondo, se ci pensiamo bene, tutta la nostra vita è una gestazione, se per gestazione s’intende “prendere forma”: come nel grembo materno lo zigote diventa blastocisti e poi embrione e feto, come il feto, arricchendosi degli organi necessari alla vita, cresce prendendo le fattezze dei genitori, la bellezza e la dolcezza di questa nostra esistenza faticosa e grama stanno nell’assomigliare sempre di più a Gesù, nell’arricchirci delle sue prerogative, nel divenire poco per volta sempre più come Lui, nel prendere la sua forma appunto, nel farsi una cosa sola con Lui, nel farsi Lui.

Per pura Grazia

“Ciao Gesù, fammi buona come sei Tu” mi suggerivano di ripetere mia mamma e mia nonna quando ero piccolissima e mi capitava di entrare in una chiesa a salutare il Signore. Confesso che questa è una preghiera che ancora oggi dopo tanti anni mi ritrovo frequentemente sulle labbra, sperando di accompagnare questa gestazione che di giorno in giorno, per pura Grazia, Lui compie in me: in noi, se siamo docili alla sua volontà. E questa metamorfosi, che incomincia nel giorno del Battesimo, finirà soltanto in quell’abbraccio che segnerà, non la fine, amici, non la fine, ma l’inizio della nostra vera Vita. Grazie.

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Smile, my sunshine! Più proprietari