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Riflessioni sulla giornata mondiale per la disabilità (testo scritto)


Testo dal quale sono stati tratti due articoli, di cui uno apparso sul quotidiano "Avvenire" e il secondo nel sito della diocesi di Milano, in occasione della giornata mondiale per la disabilità del 3 dicembre 2023.

Dignità, rispetto, diritti, benessere, partecipazione, integrazione, inclusione nei processi di sviluppo, pari opportunità, parità… come sono belli i vocaboli che s’intrecciano nei commenti riguardanti la Giornata Internazionale delle Persone con disabilità, voluta dall’Onu per il 3 dicembre con lo scopo di sensibilizzare la popolazione, accendendo scintille di consapevolezza, che dovrebbero generare incendi di opere belle e inclusive. Anche quest’anno celebriamo questa importante giornata e per l’ennesima volta sentiamo parlare con convinzione di superamento delle barriere architettoniche, fisiche, sensoriali, cognitive, culturali e religiose, di abbandono di ogni forma di discriminazione e di esclusione, della necessaria costruzione di un mondo accessibile a tutti. E si moltiplicano gli incontri, i convegni, i forum, le discussioni pubbliche, le campagne d’informazione, le manifestazioni sportive, gli spettacoli e le iniziative scolastiche. Volteggiano dovunque parole e frasi colorate, brillanti di luce propria, che per il fatto stesso di essere pronunciate ci fanno stare meglio: “Si sta facendo molto ormai, finalmente si cambia” ci troviamo a pensare con fiducia.
Tutto questo è indubbiamente molto bello, anche commovente se vogliamo, ma c’è qualcosa che non torna. Proviamo a pensare alla questione in modo realistico, oggettivo, liberandoci dal bisogno di illuderci, che spesso ci assedia. Questa giornata è stata istituita nel 1981, per cui, se la matematica dice ancora qualcosa, viene festeggiata, anzi celebrata, da più di 40 anni: un tempo lungo direi, lungo circa come metà della vita di un uomo. Dovrebbe essere cambiato tutto a questo punto, anzi non dovremmo nemmeno più sentire il bisogno di celebrare una giornata come questa: “Le persone con disabilità? Chi? Ah sì, quella mia amica sorda, ad esempio, che però partecipa a tutto… chi si ricorda più della sua sordità? Tutti con lei parliamo la LIS! Poi c’è quel mio compagno non vedente, già… però è sempre in giro con noi, gli spieghiamo le cose ed è come se le vedesse. C’è anche Peppe, il più simpatico di tutti, forse è vero che non capisce con velocità ciò che gli diciamo, ma basta un po' di pazienza e tutto si aggiusta, ogni volta. E c’è Luigia, sordocieca: è divertentissimo comunicare con la sua mano, noi ce la contendiamo! Dove abbiamo imparato queste lingue? A scuola e all’oratorio, ovvio! Proprio come abbiamo imparato l’inglese e il tedesco. Infine c’è Filo, Filippo, che deve stare sempre seduto o steso: è un po’ come se dormisse, ma vuoi mettere come è felice quando andiamo a trovarlo e lo accarezziamo? Quando i medici lo permettono, lo portiamo all’oratorio: non dice niente, ma si vede che è contento. Se non ci fossero, questi compagni, bisognerebbe inventarli. Senza di loro che gruppo sarebbe il nostro? Disabili? Ma no, sono solo un po’ diversi, ma anche noi siamo tutti diversi e abbiamo i nostri problemini”. Ecco, è qui che si dovrebbe arrivare, soprattutto nei nostri ambienti, tra i discepoli di quel galileo che amava chinarsi sui sofferenti e prima di tutto pensava agli ammalati e alle persone con disabilità. Invece ancora oggi ci capita di raccogliere storie inzuppate di dolore, che mostrano le piaghe aperte dell’emarginazione e della solitudine. Non ne abbiamo lo spazio, ma ci sarebbe molto da dire a questo proposito. Ci basti sottolineare ciò che tutti già sappiamo: non è sufficiente parlare di diritti perché i diritti siano riconosciuti e non basta una giornata all’anno in cui cercare di svegliare coscienze che si riaddormenteranno subito dopo.
E’ lo sguardo che deve cambiare: la nostra Consulta lo grida con forza fin dal primo momento della sua fondazione, quando ancora faceva parte del Servizio per la catechesi ed era formata da sei persone. Ma lo sguardo, cioè la mentalità, il punto prospettico da cui guardare la realtà, quel modo di pensare che esige di tradursi in opere e vita, cambierà soltanto se tutto il nostro territorio, religioso e civile, verrà percorso e ripercorso dall’acqua vitale di una formazione mirata, attiva perché laboratoriale, continua e costante. E’ ciò che la Consulta ha incominciato ad attuare e si propone di continuare: chiamateci, ci conosceremo e diventeremo generatori di scintille che creeranno incendi. Insieme scalderemo il mondo.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Children, parents and nannie, childcare illustration, più proprietari su behance.