Che cosa loda Gesù nell'amministratore disonesto? Alcuni meccanismi remunerativi in uso ai tempi di Gesù gettano una luce nuova su una nota parabola. Nel post troviamo il testo scritto e il podcast di Elikya (radio dei missionari comboniani). Per ascoltare dal podcast premere sul triangolino bianco contenuto nel cerchietto giallo.
Ascolta "Elikya,la speranza del Vangelo senza confini, Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana, Milano, 10 Novembre" su Spreaker.Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 16, versetti da 1 a 8.
Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L'amministratore disse tra sé: «Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: «Tu quanto devi al mio padrone?». Quello rispose: «Cento barili d'olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta». Poi disse a un altro: «Tu quanto devi?». Rispose: «Cento misure di grano». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta». Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.Un meccanismo remunerativo complicato
Eh... ma qui si loda un disonesto! No, non è così. Se leggiamo il racconto con attenzione, vediamo che il padrone non loda la disonestà dell’amministratore, ma la sua scaltrezza, e questo cambia completamente la prospettiva.
In realtà, per capire questa parabola bisogna conoscere i meccanismi remunerativi di questi amministratori, i quali non erano pagati dal padrone con uno stipendio a parte (come succederebbe oggi), ma, secondo un uso tollerato a quel tempo nella terra di Gesù, essi potevano concedere dei prestiti con i beni del padrone e, aumentando l’importo del prestito sulla ricevuta (invece di chiedere l’interesse come si fa oggi), ricevevano il loro compenso dai compratori stessi. Quando riscuotevano il debito, infatti, prelevavano per sé stessi l'aumento, che rappresentava una specie di interesse a usura e diventava il loro compenso, il loro salario.
In realtà, per capire questa parabola bisogna conoscere i meccanismi remunerativi di questi amministratori, i quali non erano pagati dal padrone con uno stipendio a parte (come succederebbe oggi), ma, secondo un uso tollerato a quel tempo nella terra di Gesù, essi potevano concedere dei prestiti con i beni del padrone e, aumentando l’importo del prestito sulla ricevuta (invece di chiedere l’interesse come si fa oggi), ricevevano il loro compenso dai compratori stessi. Quando riscuotevano il debito, infatti, prelevavano per sé stessi l'aumento, che rappresentava una specie di interesse a usura e diventava il loro compenso, il loro salario.
In concreto, i fatti narrati nella parabola si sono svolti in questo modo:
i due compratori avevano acquistato rispettivamente 50 barili d’olio e 80 misure di grano, non 100, però sulle loro ricevute l’amministratore aveva scritto 100 barili d’olio e 100 misure di grano. I soldi da riscuotere in più (cioè se facciamo i conti il corrispondente di 50 barili d’olio e 20 misure di grano) erano gli interessi a usura che sarebbero diventati il compenso per l’amministratore; insomma, invece di aumentare il prezzo della merce, come fanno i nostri negozianti, questi qui alteravano sulla carta la quantità della merce stessa.
Quindi la disonestà dell’amministratore non consiste nell’alterare le ricevute (questo lo può fare perché ci perde lui, come abbiamo visto, non il padrone). La sua disonestà si manifesta invece in ciò che ha commesso prima, quando ha sperperato gli averi del suo padrone, cioè nel comportamento che ha causato il suo licenziamento. E’ questo ciò che fa di lui un figlio delle tenebre. Ecco perché il padrone non può non ammirare l’intelligenza e la furbizia del suo amministratore, pur stigmatizzando (addirittura con il licenziamento) la sua condotta disonesta.
E che cosa dice a noi questa parabola? Soprattutto tre cose.
La prima. Non dobbiamo sperperare i beni del nostro padrone, cioè i beni che abbiamo avuto da Dio. E quali sono questi beni? Praticamente tutto, perché tutto ciò che abbiamo ci è stato donato. A questo proposito, questa parabola potrebbe essere considerata una specie di edizione diversa ma un po’ parallela alla parabola dei talenti.
E noi ci ricordiamo di fare ogni tanto l’inventario dei doni che abbiamo avuto, invece di lamentarci per ciò che ci sembra di non aver ricevuto? L’intelligenza, la bellezza, la sagacia, la salute, la capacità di amare e di ascoltare, la possibilità di vivere nel benessere, un tetto sulla testa, un lavoro, il pane quotidiano, delle buone relazioni, l’amore di chi ci vuole bene, una comunità che ci accoglie… Come usiamo questi beni? Che cosa ne facciamo, dato che in realtà non sono nostri, perché tutto è suo? Questa è la prima domanda.
Siccome però il padrone, cioè Dio, più che padrone è padre ed è padre di tutti e noi siamo fratelli, valorizzare ciò che abbiamo ricevuto e non sperperarlo significa anche fare giustizia, aiutando chi sta peggio di noi e non chiudendo gli occhi sulle disgrazie altrui solo perché non riguardano noi stessi o le persone che amiamo. In realtà, tutto ciò che riguarda gli uomini riguarda anche noi. Non c’è palestinese o israeliano, non c’è essere umano che anneghi nel Mediterraneo, non c’è ucraino o russo, non c’è povero sulla faccia della terra che non sia affar nostro. Come vedete, non sto dicendo niente di nuovo, sto solo ripassando i capisaldi del cristianesimo insieme a voi.
La terza cosa che ci viene detta con questa parabola suona più o meno così: "Cristiani miei, ragazzi miei, svegliatevi, datevi da fare! Siete figli della luce e vi lasciate superare dai figli delle tenebre. Pensate che cosa sarebbe la Chiesa se tutti i credenti s’impegnassero a fare il bene con la stessa creatività e lo stesso impegno usato dai disonesti per i loro interessi! Pensate che cosa sarebbe la società".
Ecco amici, lasciamoci adesso, con questi pensieri, che potrebbero guidare il nostro esame di coscienza di questa sera. Ciao a tutti e grazie. Ah… c’è un volervi bene in crescita dentro di me. A presto!
i due compratori avevano acquistato rispettivamente 50 barili d’olio e 80 misure di grano, non 100, però sulle loro ricevute l’amministratore aveva scritto 100 barili d’olio e 100 misure di grano. I soldi da riscuotere in più (cioè se facciamo i conti il corrispondente di 50 barili d’olio e 20 misure di grano) erano gli interessi a usura che sarebbero diventati il compenso per l’amministratore; insomma, invece di aumentare il prezzo della merce, come fanno i nostri negozianti, questi qui alteravano sulla carta la quantità della merce stessa.
In che cosa consiste la disonestà
Ora, di fronte al suo licenziamento, l’amministratore che cosa fa? Chiama i due debitori e adatta le loro ricevute agli importi reali, cioè al costo vero di ciò che hanno comprato: in questo modo lui rinuncia al suo compenso, per cercare di acquistare in cambio la benevolenza dei beneficati. Se non agisse così, il suo “salario” andrebbe probabilmente all’amministratore che lo sostituirà e lui perderebbe tutto.Quindi la disonestà dell’amministratore non consiste nell’alterare le ricevute (questo lo può fare perché ci perde lui, come abbiamo visto, non il padrone). La sua disonestà si manifesta invece in ciò che ha commesso prima, quando ha sperperato gli averi del suo padrone, cioè nel comportamento che ha causato il suo licenziamento. E’ questo ciò che fa di lui un figlio delle tenebre. Ecco perché il padrone non può non ammirare l’intelligenza e la furbizia del suo amministratore, pur stigmatizzando (addirittura con il licenziamento) la sua condotta disonesta.
Una conclusione per noi
La parabola si conclude con la constatazione che coloro che vogliono unicamente gli interessi terreni sono più avveduti e lungimiranti, nel perseguire i loro scopi, dei figli della luce, che non sono altrettanto determinati a conseguire i beni spirituali... “Come succede oggi” potremmo dire.E che cosa dice a noi questa parabola? Soprattutto tre cose.
La prima. Non dobbiamo sperperare i beni del nostro padrone, cioè i beni che abbiamo avuto da Dio. E quali sono questi beni? Praticamente tutto, perché tutto ciò che abbiamo ci è stato donato. A questo proposito, questa parabola potrebbe essere considerata una specie di edizione diversa ma un po’ parallela alla parabola dei talenti.
E noi ci ricordiamo di fare ogni tanto l’inventario dei doni che abbiamo avuto, invece di lamentarci per ciò che ci sembra di non aver ricevuto? L’intelligenza, la bellezza, la sagacia, la salute, la capacità di amare e di ascoltare, la possibilità di vivere nel benessere, un tetto sulla testa, un lavoro, il pane quotidiano, delle buone relazioni, l’amore di chi ci vuole bene, una comunità che ci accoglie… Come usiamo questi beni? Che cosa ne facciamo, dato che in realtà non sono nostri, perché tutto è suo? Questa è la prima domanda.
Siccome però il padrone, cioè Dio, più che padrone è padre ed è padre di tutti e noi siamo fratelli, valorizzare ciò che abbiamo ricevuto e non sperperarlo significa anche fare giustizia, aiutando chi sta peggio di noi e non chiudendo gli occhi sulle disgrazie altrui solo perché non riguardano noi stessi o le persone che amiamo. In realtà, tutto ciò che riguarda gli uomini riguarda anche noi. Non c’è palestinese o israeliano, non c’è essere umano che anneghi nel Mediterraneo, non c’è ucraino o russo, non c’è povero sulla faccia della terra che non sia affar nostro. Come vedete, non sto dicendo niente di nuovo, sto solo ripassando i capisaldi del cristianesimo insieme a voi.
La terza cosa che ci viene detta con questa parabola suona più o meno così: "Cristiani miei, ragazzi miei, svegliatevi, datevi da fare! Siete figli della luce e vi lasciate superare dai figli delle tenebre. Pensate che cosa sarebbe la Chiesa se tutti i credenti s’impegnassero a fare il bene con la stessa creatività e lo stesso impegno usato dai disonesti per i loro interessi! Pensate che cosa sarebbe la società".
Ecco amici, lasciamoci adesso, con questi pensieri, che potrebbero guidare il nostro esame di coscienza di questa sera. Ciao a tutti e grazie. Ah… c’è un volervi bene in crescita dentro di me. A presto!
N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.
Mariarosa Tettamanti
Immagine di copertina tratta da COLOR CARE ECO paint for children di Anastasj Li.