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Licenziate i suonatori (podcast e testo scritto)


Storia di un gruppo di suonatori inutili e di una  bambina addormentata. Nel post, troviamo il testo scritto e il podcast di Elikya, la radio missionaria comboniana.
Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini, Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana, Milano, 10 Luglio" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 9, versetti da 18 a 26.

Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò dinanzi e gli disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.
Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell'istante la donna fu salvata.
Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in quella regione.

Il nido e il seme

Nel grembo di ogni donna c’è un nido nascosto e protetto. È un nido di carne e di sangue, che si forma ogni mese. È un nido di attesa: quando una bambina scopre che una volta al mese un po’ di vita scivolerà via da lei per riformarsi subito dopo, si stupisce e si stupisce ancora di più quando viene a sapere che quel nido è lì solo per aspettare, non fa nient’altro, aspetta e basta. Che cosa aspetta il nido vuoto? Aspetta che arrivi un seme per dare inizio ai fuochi artificiali della vita. Ma se il seme non arriva, il nido si sfalda, si scioglie e se ne va. Scorre via come un piccolo ruscello.
Però la natura non si ferma. La natura è una lavoratrice indefessa, non stacca mai, non chiede giorni di riposo, non ha ferie. E così dopo un po’ ecco di nuovo il nido: è caldo e accogliente, ma anche questo se ne andrà se il seme non arriverà. E la natura va avanti: è caparbia, non conosce ragioni, va avanti a testa bassa, così, per più o meno 30 anni, fermandosi solo quando irrompe la vita. Le donne sbuffano ogni tanto, gli uomini poco galanti quando vedono una donna nervosa dicono: “Avrà le sue cose”, ma in fondo noi donne sappiamo per che cosa paghiamo questo piccolo tributo alla vita e quindi non ci lamentiamo.

Un ruscello che non si ferma e fa male

Ma quando il ruscello non si ferma e continua a gocciolare e proprio per questo nel grembo doloroso non c’è più spazio per una vita nuova… oh allora sì che la cosa si fa pesante. I medici non sanno più che cosa fare e questa povera donna anno dopo anno si sfinisce. Anno dopo anno… e ne sono passati dodici. Dodici.
Sì, sono io che vi parlo, io, l’emorroissa. Che brutto nome, vedete: un nome duro e pesante per una malattia ripugnante. Sì, perché questa malattia mi sporca, mi rende impura. Quanto potrò durare ancora? Quanti anni?
Mille volte sono andata nel cortile del tempio a supplicare Adonai perché mi guarisse, ma Lui non mi risponde: la sua bocca è chiusa, il suo cuore è lontano da me, i suoi occhi si rivolgono altrove.

E se ci provassi?

Da un po’ di tempo, però, sento parlare di un certo maestro che compie dei prodigi (almeno così dicono) e dicono che proprio fra poco, fra pochissimo, passerà di qui. Non so se crederci o no e in ogni caso come potrei presentarmi davanti a lui e dirgli, in mezzo a tutti “Guariscimi, sono impura, c’è del sangue nella mia vita, c’è del sangue nel mio corpo, del sangue... sangue... sangue che non mi dà pace, sangue che mi fa male, che mi fa sentire reietta”. Ma no, è meglio tornare nel cortile del tempio a importunare Adonai, che come al solito non mi risponderà.
Eh... se ci provassi? No, non gli dico niente, devo essere scaltra, mi devo avvicinare a Lui e toccargli il mantello: se davvero è un guaritore così potente, qualcosa di questa potenza arriverà anche a me. Forse. Tentar non nuoce comunque, io ci provo.
Adesso mi avvicino. E no, non è possibile: prima di me è arrivato un capo, uno di qui, che conosco bene, uno importante. Dicono che abbia una figlia ammalata: chissà se è vero, se ne dicono tante oggi giorno…
Altro che se è vero, il capo sta dicendo che sua figlia è morta! Mi dispiace povera piccola! Sì, ma lui che cosa pretende, che il maestro la risusciti? Mi sembra un po’ troppo!
In ogni caso, se non lo faccio adesso, non lo faccio più. Ora mi avvicino di soppiatto, alle sue spalle, così non mi vede, e tocco il mantello.
Oh no, si gira, mi ha beccata… e adesso che cosa mi dirà? Mi smaschererà davanti a tutti!
«Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita». Figliola… la fede, ma che cosa dice?
Sono i suoi occhi a parlarmi: cercavo Adonai nel tempio e lui era qui. Non ci penso più a guarire, mi basta questo sguardo, mi bastano questi occhi.
E, però, che cos’è allora questo... questo respiro potente che mi prende dalla testa ai piedi, mi scuote come un vento, questo benessere, questo chiudersi delle vene e delle arterie, e soprattutto questo prosciugarsi dello sgocciolio che mi tormenta… Sono guarita? Sono guarita.
E adesso, adesso che cosa faccio? Dovrei ringraziarlo, ma lui se ne va.

Allora lo seguo

Allora lo seguo e arriviamo alla casa della bambina morta. Ci sono già i suonatori di flauto per il lamento. Quanta tristezza mette questo suono.
Ma che cosa dice il maestro? «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme»?
E i suonatori ridono di lui. “Non ci provate eh? Non toccatemelo o guai a voi! Vi faccio vedere io di che cosa è capace una donna appena guarita... e già innamorata”.
Purtroppo ci mandano via. Io però mi nascondo dietro la casa, non lo posso lasciare, e vedo che il maestro entra. Lo devo aspettare, cercate di capirmi, io devo rivedere quegli occhi.
Sento che sta per succedere qualcosa, sta arrivando una… una bellezza… non so come dire… Invece arriva un grido di donna, altissimo, e poi il pianto frenetico di un uomo, ma è un pianto di gioia!
Allora capisco e grido, grido anch’io e so che niente sarà più come prima. Che cosa grido? Grido un nome. 
Gridatelo anche voi insieme a me. Lui c’è, Lui risponderà. Grazie!

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti.

Immagine di copertina tratta da Portfolio di Ana Varela illustration.