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Due fratelli iperattivi (podcast e testo scritto)


Una mamma invadente e un discorso non scontato sull'umiltà. Testo scritto e podcast di Elikya, la radio dei missionari comboniani.
Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini, Maria Rosa Tettamanti, formatrice diocesana, Milano, 25 Luglio" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 20, versetti da 20 a 28.

Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice lo berrete; però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Che cosa non si fa per i figli!

Che cosa non si fa per i figli! Mi sembra di vederla questa mamma: tipologia di donna domestica, convinta di aver messo al mondo degli esseri umani eccezionali e destinata a diventare la disperazione delle maestre, dei prof, delle catechiste e perfino degli allenatori delle squadre di calcio. Sto scherzando ovviamente, però ammetterete che questo è un quadretto divertente.
Meno divertenti forse sono i compagni di squadra che rimproverano questi due fratelli iperattivi… Iperattivi, sì, è legittimo pensarlo, se Gesù li chiama «Figli del tuono», quindi ragazzi incapaci di stare fermi, almeno presumibilmente. Però, poveretti, che cosa c’entrano loro? Perché sgridarli? Magari sono anche imbarazzati per l’invadenza della loro mamma! 
Eh… mica tanto direi… l’evangelista Marco dice che sono stati proprio loro a chiedere i primi posti al Maestro, mentre Luca parla di una disputa sorta tra tutti i discepoli. E allora, come la mettiamo? Qualche studioso, tra cui l’esegeta Poppi, afferma che Matteo mette di mezzo la mamma solo per salvare l’onore dei due fratelli. In ogni caso, a me questi due sono simpatici: sono giovani, impulsivi, vogliono emergere. Vogliono essere i primi e lo dicono: che cosa c’è di male in questo?
Di per sé mi piacciono meno i compagni: “Ma chi credete di essere voi due? Meglio degli altri? Non vorrete mica paragonarvi a Pietro, che è il capo, o a Matteo, che è un ragioniere e ha studiato? O a Giuda…” (o a Giuda!!) “...che tiene la cassa e quindi sa fare bene i conti? Oppure a Filippo, che porta la gente al Maestro?”. Sto immaginando ovviamente.

Ma quanti sono i colpevoli?

Sì, ma intanto… se i colpevoli fossero solo loro, perché Gesù rivolge il discorso sul primo e sull’ultimo a tutti gli apostoli? Mah… a me sembra che ognuno di loro vorrebbe essere il primo, ma non lo dice, per non sembrare poco umile… E questo, credetemi, trascina molto lontano dall’umiltà. Perché vedete l’umiltà è una virtù che porta con sé un mare di equivoci.
“Quella lì sarà anche brava, ma se la tira, non mi piace” (ma questo disprezzo è proprio la forma peggiore della mancanza di umiltà!). “Quella lì… non so perché, ma non mi piace, a pelle, così, non mi piace” (e certo è più brava di te, riesce meglio di te in tante cose!), oppure, in ambiente lavorativo: “Questo progetto non è gran che” (e si capisce, non l’hai fatto tu!). 
Ecco, in questi casi la mancanza di umiltà scivola pericolosamente verso l’invidia e questo sì è deleterio amici: l’invidia sa fare molto male alle persone... ma ne parleremo magari un’altra volta.
Ma anche dire ad ogni piè sospinto: “Io non sono nulla, io non valgo nulla, io sono uno zero”... Questa semmai è carenza di autostima, forse vergogna di sé, non so…peggio ancora, potrebbe essere ostentazione di umiltà (“Guardate come sono umile!”), cioè il contrario dell’umiltà vera, ma sicuramente, in ogni caso, è far torto a Dio, che ha elargito grandi doni a tutti noi.

Ma allora che cos'è l’umiltà?

Ma allora che cos'è l'umiltà? Ce lo dice il filosofo Compte Sponville: «L’umiltà è una virtù umile: dubita perfino di essere una virtù». E sì, perché mi sa che chi è umile non lo sappia: scopre giorno per giorno dentro di lui limiti e mancanze, ma non ne è schiacciato. E sapete perché non ne è schiacciato? Perché sa che Dio è innamorato anche di questi limiti. Chi pensa di essere umile non lo è, ma anche chi pensa di dover essere umile non lo è. Sembra un paradosso, ma è così.
E allora che cos’è l’umiltà? Ecco, umiltà è prima di tutto sentirsi del tutto indifferenti a ogni pretesa di diversità valoriale tra gli uomini: non c’è nessuno che valga più degli altri, nessuno che valga meno. Ma bisogna esserne convinti sul piano del vissuto, a livello pratico, concreto, relazionale, non a parole, non in linea di principio. Chi sale sempre sul carro del vincitore, chi corre a baciare la mano dei potenti, nella società e nella Chiesa, non è umile.

E qual è la terapia?

E allora, qual è la terapia per uscire dalla mancanza di umiltà? E’ una terapia a doppio senso: si chiama servizio e si chiama semplicità.
Oggi prendiamo in considerazione il servizio, perché lo ha spiegato Gesù stesso agli apostoli, in questa situazione: l’abbiamo sentito poco fa. Però prima guardiamo la dolcezza maschia di Gesù che chiama i suoi intorno a Lui, come una chioccia che raccoglie i pulcini, e spiega la logica nuova del Regno. E' Lui l'icona del servizio. Se si entra nella sua logica, s’impara a guardare gli altri come li guarda Dio e quindi a vedere in loro innanzitutto la Bellezza. Se si entra in questa logica, s’impara a guardare a noi stessi come ci guarda Dio e quindi a vedere in noi la Bellezza. 
E s’impara a non nascondere questa Bellezza.
Ma poi perché nasconderla? Perché nascondere ciò che sappiamo fare, ad esempio? Perché nascondere la gioia che ci viene dai fratelli, quando riconoscono un nostro merito? Se io ti racconto una cosa bella di me, per condividere una gioia e ringraziare insieme il Signore, e tu ne sei irritato, il problema è tuo, non mio. Ci hai mai pensato? E hai mai pensato che, se ci fosse Gesù al tuo posto, condividerebbe pienamente la mia gioia invece di irritarsi?
Si tratta piuttosto di continuare a indicare con le parole e con la vita il luogo dal quale vengono le nostre capacità, come ha fatto Maria nel Magnificat. E qui entra in scena la semplicità, la virtù poetica e leggera, la più bella di tutte le virtù. Però non abbiamo il tempo di parlarne oggi e quindi rimandiamo il racconto di questa bellezza a tempi migliori.

Concludiamo 

Oggi concludiamo rivolgendoci ai due fratelli che hanno dato inizio alla nostra riflessione, i due figli del pescatore Zebedeo e della mamma invadente, i due "figli del tuono", come simpaticamente li ha chiamati l’amore di Gesù: stando con Lui sono cambiati fino al punto da dare la loro vita nel martirio. E allora perché non possiamo cambiare anche noi, perché noi no... con il loro aiuto e l'aiuto del Signore? Auguri a me e a voi!

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da What does il mean to be free? Book Illustration di Kseniya Urban.