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Voglio l'amore


Dal monte nel territorio di Moria al signore del sabato: un cammino lungo, alla sequela di un Dio che si rivela contrario agli olocausti, ma assetato di misericordia e di amore. 

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 12, versetti da 1 a 8.

In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, tra le messi, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Dov'è l'agnello?

Un uomo non più giovane sale con fatica il pendio scosceso di un monte. Tiene tra le mani un coltello e una lingua di fuoco ed è seguito da un ragazzino che porta della legna. Il volto dell’uomo mostra l’estrema sofferenza di chi si sente costretto a fare qualcosa di terribile, qualcosa che rovinerà per sempre e completamente la sua vita.
“Padre mio!” dice a un certo punto il fanciullo.
“Eccomi, figlio mio” risponde l’uomo, che evidentemente è il papà del bambino, ma la sua voce è pregna di un affetto doloroso.
“Ecco qui il fuoco e la legna” continua il bimbo “ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”.
Il padre esita a rispondere, forse non sa che cosa dire, non ha nemmeno il coraggio di guardare il figlio, ma poi esclama: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto figlio mio!”. Al bambino questo basta: è cresciuto fidandosi di questo Dio che non ha mai visto e soprattutto come ogni bambino si fida del suo papà.
I due proseguono insieme e poi si fermano. L’uomo costruisce un altare con delle pietre, vi pone sopra la legna e poi… e poi lega con delicatezza il figlio, lo depone lentamente sull’altare, chiude con la mano sinistra gli occhi stupiti ma ancora fiduciosi del bambino, stende la mano destra, prende il coltello, lo alza, fa per… Ma ecco irrompere un personaggio inaspettato: è l’angelo del Signore. “Abramo, Abramo!” grida l’angelo.
“Eccomi!” risponde l’uomo.
“Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!”.
L’uomo obbedisce, chiaramente sollevato, anzi pazzo di gioia, alza gli occhi e vede un ariete impigliato nei cespugli; lo prende e lo offre in olocausto invece del figlio. 
Poi ritorna leggero e felice verso casa. Ha imparato del suo Dio una cosa fondamentale: Lui non è come gli altri dei, assetati del sangue degli uomini, Lui non vuole sacrifici umani. L’unico Dio, il vero Dio, non è un Dio sadico, che per provare la fede dei figli li costringe ad andare contro il loro stesso sangue.

Voglio l'amore

Egli sembra accettare, almeno per ora, il sangue degli animali, ma per bocca di Osea dirà: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti”. Eppure l’usanza rituale dell’olocausto di animali continuerà fino ai tempi di Gesù e sarà appesantita da centinaia di altri sacrifici e prescrizioni religiose, prime tra tutte quelle legate al sabato.
Sarà Gesù a mettere il punto fermo su queste usanze e lo farà più volte, una delle quali è proprio questa che abbiamo letto. La causa scatenante è la fame dei discepoli, che li convince a cogliere delle spighe di grano e mangiarle.
Ora, la legge ebraica permetteva ai passanti di svellere qualche spiga per sfamarsi, in nome del principio etico del caso di necessità, ma proibiva di mietere durante il sabato. Pur di contestare Gesù, quindi, i farisei equiparano il gesto dei suoi discepoli alla mietitura e questo è chiaramente assurdo, tendenzioso.
Appellandosi al re Davide, Gesù avrebbe già risposto a sufficienza, come di fatto succede negli altri due sinottici: così come Davide, spinto dalla fame sua e dei suoi, infranse il comandamento che proibiva ai non sacerdoti di mangiare i pani della proposizione, anche a Lui e ai suoi, in nome della stessa fame, è lecito cogliere delle spighe per mangiarle. Per Matteo però c’è un motivo più importante da dichiarare.
La santità del tempio, dice il Maestro, permette ai sacerdoti di compiere il servizio liturgico, lavorando anche durante il sabato: ebbene, in Gesù Dio è presente in maniera più grande che non nel tempio, perciò i discepoli che sono al suo servizio possono essere dispensati dalle prescrizioni del riposo sabbatico; Egli infatti, in quanto “Figlio dell’uomo”, ha il potere di interpretare con autorità la legge mosaica. Ecco che cosa significa “Il Figlio dell’uomo è padrone del sabato”.

Misericordia io voglio

Il discorso di Gesù è poi sigillato dal richiamo alla frase di Osea di cui abbiamo parlato poco fa e che ora assume pienezza di significato: "Misericordia io voglio e non sacrificio". E questa espressione è così cara a Matteo che l’ha già utilizzata, pensate, raccontando la sua stessa chiamata. Gesù sta dicendo che anche il riposo del sabato, pur essendo di istituzione divina, non è un valore assoluto, ma deve cedere il passo, non solo al principio di sussistenza, ma anche all’amore e alla misericordia, deve cioè preservare la vita: la bontà verso il prossimo vale di più che le pratiche formalistiche del culto.

Prima la vita

Quanta strada dal monte nel territorio di Moria, quando Adonai fece capire al suo amico Abramo che a lui i sacrifici non piacevano! Con la saggezza degli antichi, mia nonna diceva: “Prim fiadà” cioè “Primo respirare”, che voleva dire “Prima la vita”. Nostra o degli altri, non c’è differenza. La vita degli ucraini, la vita degli affamati… Prima la vita. Grazie.

Mariarosa Tettamanti

L'immagine di copertina è tratta da Music cover artworks di Nuta Mart

Immagine di copertina tratta da Music cover Artworks di Nuta Mart