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Responsabili della felicità di Dio (podcast e testo scritto)



Siamo noi i responsabili della gioia di Dio! Una novità da brividi: ascoltiamo o leggiamo. Nel post troviamo il testo scritto (quasi interamente tratto da un'esegesi del biblista Moscatelli), la riproduzione di un dipinto di Koder, una tenera illustrazione di Virna Paghini per i vostri bambini e il podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani). Per ascoltare cliccare sul triangolino bianco contenuto nel cerchietto giallo.

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana di Milano - 27 marzo 2022" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 15, versetti da 1 a 3 e da 11 a 32.

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

Un Dio esagerato

Subito prima di questa parabola Gesù ne racconta altre due: la pecorella smarrita e la dracma perduta; sono i racconti della gioia “esagerata” di Dio per la conversione dei peccatori. Gesù sta andando verso Gerusalemme a morire... e lo sa. 
E racconta questa parabola, i cui protagonisti sono un padre e il figlio minore. Incontriamo quest’ultimo mentre si allontana dalla casa paterna in cerca di una vita diversa, e pretende l’eredità, che dovrebbe avere solo alla morte del padre: è come se gli dicesse “Tu per me sei già morto”. E il padre, cioè Dio, lascia andare il figlio senza obiettare, senza cercare di trattenerlo, perché non vuole porre condizioni alla sua libertà. In qualsiasi momento noi possiamo allontanarci da Dio e mai, mai Lui ci lascerà andare via a mani vuote.
E così questo ragazzo inquieto va in città e finisce nell’abiezione, scendendo tutta la scala del degrado: dalle gozzoviglie all’indigenza, dall’indigenza all’abbandono degli amici, dall’abbandono al lavoro umiliante. Solitudine, fame, umiliazione… un ebreo che diventa servo di un pagano, meno importante dei porci, che sono animali impuri! Terribile.

Un ritorno calcolato

E allora il giovane incomincia a pensare alla casa di suo padre, ma lo fa per forza, spinto dalla fame, non per amore; progetta un controesodo per un motivo esclusivamente economico: “I salariati di mio padre stanno bene… Come posso tornare a casa? Se me la gioco bene, forse posso farmi assumere come lavoratore. Gli dirò che ho peccato, che so di non essere più suo figlio, così forse avrà pietà di me e della mia vita” Ma è  un figlio o un ragioniere? Un figlio o un commercialista? 
Ma qual è il vero peccato di questo giovane? Essenzialmente, come afferma il biblista Moscatelli, che ispira buona parte di questa riflessione, lui pensa che stare con il Padre sia una condanna, una sottrazione di vita e non vita piena. Quanti nostri contemporanei ragionano così? Abbandonano la fede, la religione, perché la sentono come una costrizione, non come un'aggiunta di libertà 

Onora la tua vita

Attenzione però: l’onore da rendere ai genitori consiste nell’onorare la propria origine, cioè la vita. Chi non onora la propria origine con riconoscenza pensa che la vita sia una fregatura e così sospetta di chi gliel’ha data: i genitori e Dio.
E il padre… Ah, il padre lo aspetta, lo anticipa, non mette in atto rappresaglie né umiliazioni, non aspetta nemmeno che il figlio bussi alla porta e non manda un servo ad accoglierlo… esce lui e lo abbraccia. 
Non so se avete visto quel dipinto di Koder, dove padre e figlio sono incastrati l’uno nell’altro, come se finalmente ognuno dei due avesse ritrovato il posto giusto in cui stare, annullando ogni distanza. E si aggrappano con le mani ai vestiti e tengono gli occhi chiusi, come a trattenere l’immagine dell’altro per non lasciarla andare mai più. Questo è l’agire imprevedibile di Dio.

Una dignità mai persa

"Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma non doveva dire anche “Trattami come uno dei tuoi servi”? Perché non lo dice? In verità, se ascoltiamo bene, ci accorgiamo che è il papà stesso che taglia il discorso in bocca al figlio e senza parole gli restituisce la sua dignità. Ma perché senza parole? È un uomo frettoloso o taciturno? No, è che per lui il figlio non ha mai perso la sua dignità e quindi non ha bisogno nemmeno di restituirgliela, non ha bisogno di spiegare. Neanche il peccato ci toglie la nostra dignità agli occhi di Dio.
Poi gli mette il vestito e l’anello e in questo modo lo impone ai servi come suo figlio: “Non crediate che, poiché ha sbagliato, non sia più il vostro padrone. È sempre mio figlio”. Così ragiona il padre, che va al di là delle attese del giovane, dei servi e magari anche delle nostre aspettative.

Responsabili della gioia di Dio

Ma il figlio… è pentito, è riconoscente? Mah… non lo sappiamo.
E poi ci sarebbe il maggiore, una bella capa tosta anche lui, forse peggio del minore… ma di lui dovremo parlare un’altra volta. Per ora ci basta sapere che la gioia del padre esplode nella festa. E che è il figlio la causa della sua gioia. 
Siamo noi i responsabili della felicità di Dio: come si fa a non commuoversi?
 
N.B. Questo articolo è in realtà un commento, chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che commenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Magic Book di Gosla Kondron