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L'esame (podcast e testo scritto)


Come può Dio, che è bontà infinita, condannare qualcuno alla pena eterna? E se la condanna fosse una nostra scelta? Interrogativi e risposte sulla fine, a partire dal Vangelo di Matteo. Nel post, si trovano il testo scritto, il podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani) e, per chi ha a che fare con dei bambini, una simpatica illustrazione di Virna Paghini. Per ascoltare dal podcast, cliccare sul cerchietto giallo che contiene un triangolino bianco.

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana a Milano - 07 marzo 2022" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 25, versetti da 31 a 46.

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti? E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo servito? Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

La condanna è una nostra scelta

Questo discorso di Gesù riguarda ovviamente la sua ultima venuta, alla fine del mondo. Per completezza aggiungiamo al testo i versetti 32 e 33 del capitolo 10 di Matteo, che riguardano il giudizio finale: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre”. Queste parole spazzano via la solita obiezione: Ma se Dio è misericordia infinita perché condanna qualcuno? In realtà la condanna è una nostra scelta: se vogliamo fare a meno di Dio, Lui non ci costringerà ad accettarlo, non s’imporrà, né ora né dopo. Lui sta alla porta e bussa. È la professione di fede, il “Ti vogliamo nella nostra vita”, che ci porterà sulle soglie del Regno, ed è la pratica della carità, dispiegata in questo racconto, che ci farà entrare. E il tutto sarà avvolto dalla nostra speranza nella salvezza. Le tre virtù teologali formano il tessuto vitale della nostra esistenza da cristiani.

Una o due vite?

Prima di addentrarci nel testo, però, accogliamo una precisazione che ci arriva da una recente intervista al cardinale Scola, riportata sul “Corriere della sera”. “L’errore” ha detto l’arcivescovo “è quello di concepirsi come destinati a due vite, una quaggiù e una dell’al di là. Invece è una sola, che inizia qui e si compie nell’eternità…”. Così è molto più bello, amici: è la nostra vita che continua, finalmente priva di dolori e di difetti, finalmente a tu per tu con Gesù, ma è la nostra non un’altra. Siamo noi, la nostra identità, i nostri affetti che continueranno per sempre. Nulla si perde se non il peccato… insieme alla fede e alla speranza, che si fermeranno sulla porta dell’eternità, perché nel compimento e nella visione non ci sarà più bisogno di loro. La carità invece, oh la carità, l’amore, dilagherà e prenderà tutto il posto fino a coincidere con la felicità totale e l’indescrivibile Bellezza di Dio.

Il passepartout

Ma qual è il passepartout, la chiave che apre la serratura, l’esame che ci darà il diploma necessario ad allargare la nostra vita fino ai “non confini”, cioè fino all’infinito? Ecco, è proprio questo ciò che dice il testo che abbiamo letto.
Ricordo molto bene il mio primo incontro con questo discorso di Gesù. Lo ricordo per l’emozione vivissima che mi lasciò. Ero una ragazzina, ero in chiesa con i miei compagni, e il testo ci venne presentato da un predicatore alle Quarant’ore, un oblato di Rho, credo. Disse: “Immaginate di dover sostenere un esame” (immediatamente le nostre orecchie si tesero e le nostre bocche si storsero). “Immaginate di dover sostenere l’esame più importante della vostra esperienza: se lo supererete, la vostra vita cambierà radicalmente, lasciando ogni problema e ogni fatica e diventando infinitamente più ricca di gioia… che cosa fareste in questo tempo che vi separa dalla prova?” (Oh, noi non avevamo dubbi, avremmo studiato tantissimo, giorno e notte). “Questo esame” continuò il predicatore “riguarda una sola materia” (“Come all’università” pensammo) e vi chiederà di rispondere a sei domande. (Sotto i nostri occhi vedemmo materializzarsi il vasetto dell’antipatica prof di matematica, pieno zeppo di bigliettini arrotolati tra cui pescare, con interrogativi insidiosi al loro interno; con sei quesiti, non si poteva neanche sperare nella fortuna). “Però queste domande voi le sapete” (“Ah be’… allora che esame è? Troppo facile!” Quasi non ci credevamo). “Ecco le domande” disse lui (eravamo molto curiosi a quel punto): “Quando anni fa hai saputo che nel Sud Sudan imperversava la carestia, e io lì avevo fame, mi hai dato da mangiare? Quando hai sentito parlare di Paesi che soffrono la siccità e non hanno nemmeno l’acqua potabile, tu che cosa hai fatto? Ebbene io lì avevo sete. E quando, fuggendo dalla guerra, sono arrivato sporco e distrutto sulle rive dell’abbondanza in cui tu abiti? E dei tuoi vestiti, quando io non ne avevo, che cosa hai fatto? E sappi che io, Gesù, sono stato anche ammalato e in carcere…” “Ma tu dov’eri Signore?” diremo. “Ero lì, sotto i vostri occhi, nello sguardo e nella voce dei vostri fratelli. Ciò che avete fatto è stato per me, ciò che non avete fatto l’avete negato a me”. E dopo una lunga pausa, il predicatore concluse: “Decidete voi se superare o no questo esame, ma non dimenticate mai che, come disse san Giovanni della croce - Alla sera della vita saremo giudicati sull’Amore”.

Una predica ingenua e superata?

Ecco amici, vi lascio questa predica così com’è, come è stata regalata a me: forse è ingenua, forse è superata, forse è più adatta a dei ragazzini che a degli adulti... ma io spero che faccia anche a voi lo stesso effetto che ha fatto a me. “Dov’eri quando io ho avuto bisogno di te?” ci chiederà un giorno il Signore. “Eh, Signore, io ero lì con te, ricordi? Ho aiutato il prossimo come ho potuto... l’ho fatto nella mia famiglia, nella mia parrocchia… l'ho fatto con le persone che ho incontrato... l'ho fatto tante volte sai, però non ti ho mai visto”. “L’hai fatto a me, mi hai visto, ricevi il Regno in eredità”. 

N.B. Questo articolo è in realtà un commento, chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che commenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Space Dream di Andre Sanchez.