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Il mantello di sangue (podcast e testo scritto)

Abiti lunghi, filatteri e frange, ma l'abito non fa il monaco! Dio invece non si accontenta del suo manto di luce e vuole di più, molto di più. Leggiamo o ascoltiamo il podcast di Elikya (radio dei missionari Comboniani) per scoprire qual è l’abbigliamento di Dio.

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini, Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana, Milano, 10 Giugno" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Marco, capitolo 12, versetti da 38 a 44.

Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Quando l'abito fa il monaco 

Prima di tutto guardiamo gli scribi. Che cosa dice Gesù degli scribi? Dice che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. E pregano a lungo, ma solo per farsi vedere.
Questo secondo Marco e anche secondo Luca, ma Matteo, associando gli scribi ai farisei, rincara la dose. Sentite che cosa dice: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange e si compiacciono di essere chiamati rabbì dalla gente».
Certamente questi scribi e questi farisei predicano bene, ma razzolano male… Noi li immaginiamo tronfi e sicuri di sé, occupati a farsi ammirare: per questo allargano i filatteri (cioè quei piccoli astucci di cuoio, che durante la preghiera vengono appesi alla fronte e al braccio sinistro e che racchiudono le parole più importanti della legge), allungano le frange (cioè i fiocchi attaccati ai quattro angoli dei mantelli della preghiera, che richiamano alla memoria la necessità di osservare la legge) e indossano lunghe vesti, come se la dimensione degli oggetti e la loro ostentazione garantissero la fedeltà alla legge in modo direttamente proporzionale: cioè come se l’abito facesse il monaco diremmo noi oggi. E poi erano felici di essere salutati nelle piazze e chiamati con i titoli onorifici di rabbì (“maestro mio”) e abba (padre) e volevano il primo posto nei banchetti e nelle sinagoghe…

Un bel dispiegamento di superbia

Un bel dispiegamento di superbia, non c’è che dire, e di attaccamento alla propria immagine (e questo direi che è molto attuale, vero?). «Voi non siate così» dice il Signore ai suoi (e quindi anche a noi) e in Matteo aggiunge la frase che conosciamo tutti benissimo: «Chi si esalterà sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
È così che Gesù parla dell’umiltà, una virtù direttamente legata alla fede: se io mi riconosco nella fede un figlio creato e amato, sarò sempre e soltanto un insieme di riconoscenza e di dignità ricevuta… e questo è il fondamento dell’umiltà, come scrive il Guardini. Parliamo allora dell’umiltà, il contrario dell’esaltazione superba.

Il vestito di Dio

«L’umiltà è il vestito di Dio» ha scritto il Compte Sponville. Ma è strana questa cosa… il vestito di Dio nel salmo 104 non era un mantello di luce?
Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore
avvolto di luce come di un manto...
Sì, sì, è proprio così, ma si vede che il manto di luce a Dio non è bastato. Non gli è bastato, se a un certo punto ha avuto bisogno delle fasce, che sua mamma dovette cambiargli spesso, perché le sporcava continuamente come tutti i bambini, e poi ha indossato una vestina come quella dei suoi compagni e regolarmente la inzaccherava e la impolverava giocando sulla strada. Più in là nel tempo ha messo quella tunica senza cuciture, tessuta per intero dall’alto in basso, quella che i soldati sotto alla croce tirarono a sorte. E infine ha scelto di abbigliarsi con la nudità del Calvario, dove il suo sangue è diventato il suo vero mantello. E mentre si umiliava, il Padre lo esaltava.
Ecco, questo è stato il vestito di Gesù, il vestito di Dio: un abito sporco di terra e di sangue. E questo deve diventare il nostro vestito, quello di tutti i giorni e anche dei giorni di festa, un vestito che si sporca con i poveri, con i sofferenti, con quelli che non piacciono a nessuno. Perché l’umiltà è direttamente proporzionale alla carità, come vedremo meglio fra poco.

Umiltà e carità

L’umiltà è in continua tensione tra due estremi, due termini che hanno la stessa radice: la riconoscenza per ciò che Dio fa attraverso noi e il riconoscimento sereno dei nostri limiti, che a Lui non dispiacciono, anzi si direbbe che ci rendano più simpatici ai suoi occhi.
L’umiltà è nemica del narcisismo, ma, dicevo, è amica, anzi è sorella gemella della carità. "I più generosi di solito sono anche i più umili": indovinate chi l’ha detto? Nientemeno che Cartesio e prima di lui Sant’Agostino.
Ecco perché Gesù oggi associa la superbia degli scribi alla loro avidità nel depredare le vedove ed ecco perché subito dopo mostra la carità a 360 gradi proprio in un'umile vedova, che mette l’obolo nel tesoro del tempio, dando tutto ciò che ha, proprio come fece Gesù quando indossò il suo mantello di sangue. Se vogliamo vivere nell’amore dobbiamo quindi acquistare e indossare il vestito dell’umiltà. Auguri per questo, a me e a voi!

N.B. Questo commento è stato chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che presenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Midwinter Night's Dream di Suvam K.