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Quel dolore che non voglio (podcast e testo scritto)

Il dolore non è un valore ma è valorizzabile attraverso la possibilità di senso che Dio gli dà: alcuni punti fermi su una realtà difficile da comprendere e da vivere. Testo scritto, podcast di Elikya (iniziativa dei missionari comboniani) e immagine di Virna Paghini. Per ascoltare, cliccare sul cerchietto giallo con il triangolino bianco al centro.

Ascolta "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini - Mariarosa Tettamanti, formatrice diocesana Milano - 18 febbraio 2022" su Spreaker.

Dal Vangelo secondo Marco, capitolo 8, versetto 34; capitolo 9, versetto 1

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (…) Diceva loro: “In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio in tutta la sua potenza”.

 Il dolore im-potente a Dio

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”: è una frase amara da deglutire questa e scatena molte domande. “Ma allora Gesù vuole la croce? Vuole la sofferenza? La sequela coincide con la croce? Ma perché proprio la croce? Ma se la croce è dolore, come si concilia con la bontà di Dio?”
Prima risposta: il dolore in sé non è mai un valore. Dio non l’ha voluto né creato, anzi la sofferenza e la morte alla maniera dell'uomo sono realtà che Dio non può sperimentare, perché si tratta di mancanze di beni, che vengono dall’imperfezione umana. E Dio è perfetto. Sono limiti im-potenti a Dio, come afferma il Cardinale Ravasi, perciò… per avvicinarsi indicibilmente a noi, amandoci fino all’impossibile, DIO ha deciso di entrare in questa qualità non sua, di assumere la carta d’identità, il Dna del genere umano e di aderire totalmente al nostro dolore attraverso la croce, dandogli così un senso. A me vengono i brividi: dovremmo fermarci e perderci nel ringraziamento, per questo inaudito che si chiama incarnazione.

Il dolore non è un valore ma è valorizzabile

Il dolore quindi non è un valore, ma è valorizzabile attraverso la possibilità di senso che Dio gli dà. Ecco perché noi siamo chiamati a portare la croce con Gesù: per dare senso al dolore, il quale altrimenti sarebbe soltanto una frattura, una sgrammaticatura della vita, una sfida alla fede, la quale non potrebbe che soccombere.
Ma è davvero possibile salire il Calvario con Gesù? Ecco, incominciamo da qui: sì, è possibile, anzi è possibile due volte.

La prima. È possibile purché si dia la mano a Gesù e ci si lasci attrarre e condurre da Lui. Senza questa attrazione, la via della Croce sarebbe impraticabile per noi, perché il dolore può talvolta diventare un peso così soffocante da sbatterci con violenza contro la porta cupa e terrificante del suicidio assistito.

La seconda. Non solo è possibile, ma noi lo facciamo già. Lo facciamo ogni volta in cui diciamo di no a noi stessi, per dire di sì a Dio e ai suoi progetti, che sono sicuramente sempre ariosi e soleggiati, ma a volte terribilmente faticosi. In altre parole, portare quotidianamente la croce significa trovare ogni giorno il coraggio e la decisione di condividere le azioni di Gesù, scegliendole come il nostro bene, come afferma il teologo Moioli, anche quando comportano un sonoro no a noi stessi. Si tratta di sfidare la contraddizione con sé stessi e con il mondo, non per il gusto del martirio facile, ma per seguire la direzione che ci mostra Gesù, assumendo i suoi obiettivi e il suo stile.
Per arrivarci occorre rinnegare sé stessi con l'aiuto dello Spirito. C’è infatti dentro ognuno di noi un uomo che non vuole credere, un cristiano che non accetta il senso della vita consegnato dalla fede, con il quale interpretare tutti gli aspetti dell’esistenza. Quest’uomo deve morire in noi se vogliamo affrontare in modo diverso anche soltanto le piccole croci quotidiane, come le privazioni, gli imprevisti spiacevoli, le incomprensioni, i tradimenti del corpo che invecchia e si ammala… Si tratta delle pazienze, come le chiamava la Delbrel, che scriveva: "Le pazienze sono briciole di passione, di martirio, che hanno lo scopo di uccidere lentamente il nostro io per la gloria di Dio… Non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita…".

A tu per tu con il dolore impossibile

Ma poi facilmente arriva il momento in cui la sequela di Gesù sulla croce si fa più faticosa e pesante, perché scatta l’a tu per tu con il dolore grande, il dolore impossibile, che prima o poi bussa alle porte della vita, assumendo forme diverse, ma sempre capaci di cancellare il gusto di vivere. Può essere la malattia o la morte di una persona cara, che rende impensabile persino la possibilità di continuare a vivere, oppure il sopraggiungere del richiamo di una parte del nostro corpo, che smette di funzionare come dovrebbe e urla il suo disagio, o ancora un abbandono inaspettato che necrotizza il cuore e i desideri: sono tanti i modi di morire alla vita, quando il dolore dispiega la sua prepotenza.
Come vivere questi avvenimenti? Dice Moioli: "Occorre chiamarli con il loro vero nome: visita della croce. È il crearsi di un luogo inedito d’incontro con Dio". Dentro il dolore, non voluto da Lui, Dio dice: “Ora io m’incontrerò con te in modo diverso, in modo nuovo”.
Chiamare così l’arrivo della sofferenza vuol dire poterla interpretare attraverso la categoria della morte di Gesù e quindi avere tra le mani il detonatore per la risurrezione. Vedete che cambia tutto? In questo modo, con coloriture diverse, il dolore può arrivare a comprendere la dolcezza, la pace e perfino la gioia.

“Solo vivendo l’afflizione alla maniera del Figlio, e cioè arrendendosi a Dio, ma resistendo nella lotta, solo così, nella resistenza e resa, è possibile mantenere il patire dentro il senso dell’esistere” afferma ancora Moioli. 
È così che il dolore può segnare positivamente la vita e diventare perfino una missione. Ed è così che nella sofferenza si rivelano la potenza ed la gloria di Dio. Grazie.

N.B. Questo articolo è in realtà un commento, chiesto all'autrice dalle suore Comboniane, nell'ambito del progetto "Elikya, la speranza del Vangelo senza confini", iniziativa bellissima, che commenta quotidianamente la Parola di Dio, orientando e dando colori nuovi e liberi alle nostre giornate, spesso intrise di fatica e di sofferenza, ma anche abitate dalla gioia di sapersi amati da un Dio che è Padre.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Aiutando le mani di Ave Calvar Martinez.