Passa ai contenuti principali

Le beatitudini nel tessuto della famiglia


Continuiamo il lavoro incominciato nel precedente post (“Dalla presenza alla vicinanza”) con l’intento di offrire altre strategie adatte a trasformare una catechesi programmata per incontri in presenza in una catechesi in uscita, a forte coinvolgimento familiare. (CIVF-Catechesi dell'Iniziazione a Vicinanza di Famiglie). L’incontro si riferisce al primo e secondo tempo della terza tappa del sussidio “Con Te! Cristiani” (quarto anno della catechesi IC della diocesi di Milano), pp. 32-35 

Che cosa hanno già scoperto i ragazzi prima di incominciare questo percorso? 

I ragazzi hanno concluso il lavoro sui comandamenti, scoprendoli e approfondendoli come dono di Dio che orienta la nostra vita.

Dove vogliamo arrivare? (Obiettivo principale)

Vogliamo introdurre i ragazzi nella scoperta della felicità secondo Gesù, quindi nella scoperta delle beatitudini.

Durata

Diamo tutta la consegna in una sola volta. Il numero e le date degli incontri verranno decisi dalle famiglie durante il corso della settimana.

Protagonisti

Prima e seconda esperienza (avvio alla meditazione individuale e lettura del Vangelo): i ragazzi.
Terza e quarta esperienza (preghiera e scelta del santo): la famiglia.
Quinta esperienza (ritorno sulla meditazione): i ragazzi.

Esperienze

Vissuto

Prima esperienza (Meditazione individuale)
1. Messaggio scritto wa + foto
“Carissimi ragazzi, per la catechesi di questa settimana, vi invito a munirvi di un foglio, di una matita e del nostro libro aperto alla p. 34. Poi andate nell’angolo silenzioso della vostra casa, nel quale non sarete disturbati (quello che usate quando fate l’esercizio della frase tesoro del Vangelo), e copiate sul foglio una stella come quella del libro. 
Ora siete pronti per entrare nella meditazione. Ascoltate.”
Audiomessaggio
“Che cos’è una meditazione? Che cosa significa meditare? Meditare significa riflettere profondamente: è una cosa importante che vuol dire entrare in sé stessi, nella propria interiorità, nelle profondità del proprio cuore, per conoscersi meglio, per interrogarsi, per capire la propria vita e ciò che si vuole e anche per trovare il Signore che abita dentro di noi. È una cosa da grandi. Chi non impara a meditare vive sempre un po’ a metà, rimane superficiale e rischia di sbagliare, perché non pensa bene alle sue decisioni. Imparare a meditare è davvero importante e noi oggi mediteremo sulla felicità. Guardate ragazzi, se c’è una cosa che tutti vogliono è la felicità: tutti vogliamo essere felici. Ma quando e perché noi siamo felici? Vi aiuta a capirlo la stella che avete copiato e che ha quattro punte, ognuna delle quali mostra un aspetto importante dell'esistenza. Immaginiamo che questa sia la carta geografica della nostra interiorità e che le punte indichino i quattro punti cardinali: a destra abbiamo l’est, il luogo dove sorge il sole, il luogo che indica il rapporto con Dio. Quando e perché io sono felice nella mia relazione con Dio? Se dovessi rispondere io, direi che mi sento felice dopo la confessione, quando Dio mi ha perdonata e allora mi sento leggera, pulita e mi sembra di volare, oppure quando sono davanti al tabernacolo e mi sento amata da Lui, tra le sue braccia, o ancora quando sono in montagna o al mare e vedo la grandezza della creazione… ma ancora di più sono felice a Messa, quando faccio la Comunione e mi unisco a Lui o quando il celebrante alza l’ostia consacrata e io dico: “Ma quello lì è proprio Gesù!”. E perché sono felice in questi momenti? Perché sono i momenti in cui Lui mi è più vicino e mi avvolge con la sua pace e il suo amore. Poi al sud ecco il rapporto con gli altri. Mi sento felice con gli altri ad esempio quando ho litigato e poi faccio la pace, oppure quando, dopo aver offeso qualcuno, chiedo scusa e mi sento perdonata, quando sto con qualcuno a cui voglio bene… E perché sono felice in questi momenti? Perché gli altri mi completano, mi fanno sentire amata… Nel rapporto con le cose, che cosa troviamo all’ovest della nostra interiorità, quando ci sentiamo felici? Io mi sento felice quando ricevo un regalo, ma di più quando sono io a donare qualcosa a qualcuno, perché la sua felicità entra dentro di me e aumenta la mia. E da ultimo, quando sono felice in rapporto con me stessa? Quando mi sento in pace perché mi piaccio, mi voglio bene, posso avere stima di me stessa…Bene ragazzi, ora fate voi questo affascinante viaggio nel vostro cuore. Prendete un momento di silenzio, datevi del tempo, partite da dove volete, alla ricerca della vostra felicità e vedrete che vi piacerà moltissimo e alla fine vi sentirete appagati e unificati. Prima di chiudere la meditazione scrivete qualcosa di ciò che avete pensato intorno alla stella che avete copiato nel foglio.”

Parola

Seconda esperienza (Lettura del Vangelo)
2. Messaggio scritto wa
“Ora aprite il libro alle pp. 32 e 33 e il vostro Vangelo a Mt 5,1-11. Quando sarete pronti cliccate sull’audiomessaggio (o videomessaggio) che segue.”
Audio o videomessaggio
“Ma che cos’è la felicità secondo Gesù? Lui stesso ce lo ha detto in un discorso, il discorso della montagna: -Vedendo le folle… (Leggiamo la frase che troviamo a p. 33 del sussidio) 
Beati vuol dire felici. Ascoltiamo ancora. Leggiamo Mt 5,1-11, testo che i bambini seguiranno sul loro Vangelo. Al termine della lettura, invitiamo i ragazzi a rileggere con noi, in fondo alle pp. 34 e 35 del sussidio, o direttamente nel Vangelo, dove verranno sottolineate, le otto beatitudini pronunciate da Gesù.

Preghiera

Terza esperienza (Organizzazione della preghiera familiare)
Audiomessaggio o messaggio scritto
“A p. 35 il catechismo spiega le otto beatitudini di Gesù. 
Leggete voi le spiegazioni e poi scegliete la vostra beatitudine, cioè quella che vi rappresenta di più, e sottolineatela. Se dovessi decidere io, sceglierei la sesta: “Beati i puri di cuore”, perché dice “Beati quelli che sono limpidi e sinceri e vedono il bene che c’è negli altri…” e io mi sento un po’ così. Voi scegliete la vostra e poi alla sera, dopo cena, quando siete già insieme a tavola, chiedete anche a ognuno dei vostri familiari di scegliere la propria. Subito dopo date inizio alla preghiera familiare: segno della croce; “Gloria al Padre…”; ognuno legge la beatitudine che ha scelto; momento di silenzio, durante il quale tutti chiedono al Signore l’aiuto per vivere fino in fondo la propria beatitudine e tutte le altre; “Padre nostro” dandovi la mano; benedizione dei genitori; abbraccio.”

Vita nella Chiesa

Quarta esperienza (Scelta del santo)
Messaggio scritto wa
“E adesso eccovi l’ultima, bellissima esperienza. Torniamo alla p. 34 e guardiamo i personaggi rappresentati intorno alla stella. Sono alcuni santi, cioè amici grandissimi di Gesù, che hanno trovato in Lui la felicità e hanno reso molto più bella la Chiesa con la loro presenza. Ognuno di loro ha vissuto tutte le beatitudini, ma in particolare una di esse. Guardate come si chiamano.”
“Ora vi mando alcuni audiomessaggi nei quali vi racconto la vita di quattro di questi santi. Sarà bello nelle prossime giornate ascoltarne una al giorno con i vostri famigliari. Scoprirete che la felicità secondo Gesù non è sempre come ce la immaginiamo noi, ma è sempre vera, profondissima felicità. Al termine deciderete insieme quale santo scegliere perché sia il protettore speciale della vostra famiglia in questo tempo di pandemia.”
Fotografie + audiomessaggi


Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio
Beata Chiara Luce Badano: "Nessuno dovrà piangere"
Chiara Luce Badano nacque in un paese della Liguria. Era una bambina generosa, piena di gioia e di vita, affabile, vivace, cordiale, capace di ascoltare gli altri, sincera e dal carattere deciso… insomma era proprio come voi. Era bella Chiara, intelligente e matura, ammirata da tutti, piena di sogni e di entusiasmo. Era anche molto sensibile e servizievole verso i più deboli e li copriva di attenzioni, rinunciando anche a momenti di gioco. Diceva: “Io devo amare tutti, sempre e per prima … Voglio amare anche chi mi sta antipatico”. Si lasciava correggere e s’impegnava per essere buona. Avrebbe voluto che tutti i bimbi del mondo fossero felici come lei e amava specialmente i bambini poveri dell’Africa: per loro decise di diventare medico, per poterli curare. Le piacevano molto anche la natura e lo sport: la corsa, lo sci, il nuoto, la bicicletta, i pattini a rotelle, il tennis … Si vestiva bene ed era sempre in ordine, ma non si preoccupava troppo di essere elegante, perché pensava che era meglio essere belli dentro, piuttosto che fuori: pur essendo una ragazza normalissima, sapeva andare contro corrente! Il suo cuore era limpido e trasparente, perché confrontava i suoi desideri, gli affetti, l’immaginazione, le aspirazioni e i progetti con Gesù, la sua vera luce. Pregava volentieri e di ogni cosa diceva: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io!». Nel giorno della prima Comunione ricevette in regalo il Vangelo, che diventò  il suo libro preferito. Cercava di viverlo fino in fondo. Al primo posto nelle sue giornate metteva l’Eucaristia, che voleva ricevere tutti i giorni. Invocava spesso lo Spirito Santo e si preparò con cura al sacramento della Cresima. Dopo la scuola primaria e la scuola media, si iscrisse al liceo classico, ma venne bocciata e dovette ripetere l’anno. Ebbe un momento di sconforto, ma subito sul suo volto riapparve il sorriso. Disse: “Amerò i nuovi compagni come ho amato quelli di prima!”. S’inserì poi molto bene nella nuova classe e riprese la sua vita normale. Un brutto giorno però, quando aveva 17 anni, durante una partita di tennis, Chiara sentì un forte dolore alla spalla sinistra: era l’inizio di una brutta malattia. Chiara capì che la sua malattia era grave, ma non pianse e non si ribellò. Si chiuse nel silenzio per 25 minuti di lotta interiore e poi disse di sì a Gesù e ritornò sorridente come prima. Alla mamma, per rasserenarla, non mostrava nessuna preoccupazione. Col passare del tempo, venne bloccata dalla paralisi, ma disse: “Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no, perché così sono più vicina a Gesù”. Non perse la pace, rimase luminosa, serena e forte, senza paura. Il suo segreto era la fiducia in Dio. Diceva: “Voi non potete neppure immaginare qual è adesso il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande … Mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela … Io non ho più niente … ma ho ancora il cuore e posso sempre amare”. Divenne ancora più umile e dimentica di sé, sempre disponibile ad accogliere e ascoltare le persone che l’avvicinavano. Scrisse un biglietto alla Madonna: “Mamma Celeste, tu lo sai quanto io desideri guarire, ma se non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza per non mollare mai. Umilmente, tua Chiara”. Invitava la mamma a fidarsi di Dio: “Non ti preoccupare: quando io non ci sarò più, tu fidati di Dio e vai avanti, poi hai fatto tutto!”. Guardava spesso un’immagine di Gesù e di notte, quando non riusciva a dormire, cantava, perché il suo cuore, trasfigurato ormai dalla Grazia del Signore, era sempre nella luce. Voleva andare in Paradiso e preparò il suo funerale come una festa: chiese di indossare un abito da sposa bianco e lungo, scelse le letture e i canti della Messa, decise di dare ai bambini poveri dell’Africa le offerte. “Nessuno dovrà piangere” diceva “ma cantare forte e fare festa, perché Chiara incontra Gesù”. Alle 4,10 di domenica 7 ottobre 1990 il cuore puro di Chiara volò nelle braccia di Gesù, il suo Sposo, e vide la vera Luce.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati
Santa Giuseppina Bakhita: una schiava innamorata di Gesù
La vita di Santa Giuseppina Bakhita è avventurosa come un film. Era una bambina africana di 7 anni, nata intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale, quando fu rapita dai mercanti di schiavi. In quell’occasione si spaventò così tanto che dimenticò il suo nome e quello dei suoi famigliari. I rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata". Fu venduta più volte dai mercanti di schiavi e quindi cambiò frequentemente il padrone. La vita degli schiavi era terribile a quei tempi, piena di umiliazioni e di sofferenze fisiche. Ad esempio, mentre era a servizio di un generale turco, le furono tatuati con un rasoio e poi cosparsi di sale più di cento disegni sul petto, sulla pancia e sul braccio destro! Bakhita pianse e soffrì moltissimo, non solo per sé stessa, ma anche per i suoi compagni di schiavitù. A Karthoum, cioè nella capitale del Sudan, fu infine comperata da un console italiano e nella sua casa lavorò come domestica: nella famiglia di un cristiano Bakhita finalmente non era più una schiava! Nel 1884 però scoppiò una guerra e il console dovette scappare insieme ad un amico, che si chiamava Augusto Michieli. Quest’ultimo prese con sé Bakhita e la portò in Italia, nella sua casa, dove lei diventò la baby sitter della figlia Mimmina. Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa e affidarono la figlia e Bakhita a un istituto di suore: lì la ragazza conobbe il Signore attraverso il catechismo e Lui la consolò e asciugò le lacrime che erano rimaste dentro di lei dai tempi della schiavitù. Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa, Bakhita le disse che voleva restare con le suore: ormai si era innamorata di Gesù! La signora non la voleva lasciare, ma Bakhita fu irremovibile e nel 1890 ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia): volle chiamarsi Giuseppina Margherita Fortunata. Gesù però l’amava tanto e la voleva tutta per sé: fu così che Bakhita diventò una suora. Fece la cuciniera, la sagrestana, la portinaia, l’aiuto infermiera. Tra il 1937 e il 1939 visse a Vimercate, un paese della nostra diocesi, a poca distanza da noi. Morì nel 1947 dopo una malattia lunga, durante la quale non le mancò mai la consolazione di Gesù: la sua presenza rendeva più leggera ogni sofferenza!

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio
Santa Caterina da Siena: la donna che sgridò il Papa.
È proprio vero che quando si ama Gesù si fanno cose impossibili: fu così per santa Caterina da Siena, patrona dell’Italia, la nostra patria. Si chiamava Caterina Benincasa e nacque a Siena nel 1347, in un periodo difficile per la Chiesa e per il mondo: pensate che, a causa delle guerre e delle moltissime violenze, il Papa era scappato da Roma e si trovava ad Avignone, in Francia! A sette anni Caterina decise di dare tutta se stessa e la sua vita a Gesù. Quando ebbe dodici anni, i suoi genitori volevano che si sposasse, ma lei si rifiutò: si tagliò i capelli, si coprì il capo con un velo e si chiuse in casa. Un giorno suo papà la vide pregare con grande fervore e finalmente capì che non poteva opporsi alla sua vocazione. A 14 anni Caterina divenne una “mantellata”, cioè indossò un abito bianco e un mantello nero, così tutti potevano vedere che lei apparteneva a Gesù e come Lui voleva essere povera e obbediente. Caterina era analfabeta, ma imparò a leggere e a scrivere, per comprendere le Scritture sacre. Era sempre in intima comunione con Gesù, una sola cosa con Lui, e si occupò molto dei poveri, degli ammalati, degli appestati e dei carcerati, ma soffriva particolarmente per il mondo, colpito dalle pestilenze, dalle carestie e soprattutto dalle battaglie: la Francia era in preda alla guerra civile, l’Italia era distrutta dalle lotte interne e dovunque i cristiani erano in conflitto tra loro. Caterina incominciò allora a dettare in nome di Dio delle lettere molto severe per il Papa, per i re e per altre autorità sia religiose sia civili: i suoi rimproveri e le sue minacce erano duri, ma anche colmi di affetto. Ella fu delicatissima, dolcissima e nello stesso tempo severissima. Usò espressioni molto forti, ma fu anche straordinariamente tenera, come una mamma che si sente costretta a rimproverare i suoi figli, ma non può smettere di amarli. Per difendere e diffondere la pace si rivolse a casate a quei tempi molto importanti e potenti come i Tolomei, i Malavolti, i Salimbeni, i Bernabò, i Visconti… Si dedicò moltissimo alla pacificazione dell’Italia e alla riforma della Chiesa che secondo lei doveva rinnovarsi e migliorare. Nel 1376 fece una cosa impensabile per una donna di quei tempi: partì per Avignone per incontrare il papa Gregorio XI, che si lasciò convincere da lei a rientrare a Roma! Intorno a Caterina si raccolse una “famiglia spirituale”, formata da sociae e socii, confessori e segretari, e lei spingeva tutti ad amare sempre di più il Signore. Dovette lottare contro il diavolo ed ebbe tanti doni particolari da Gesù. Nel 1380, a 33 anni, la figlia di Dio Caterina, instancabile operatrice di pace, raggiunse il Paradiso.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli
Beato don Giuseppe Puglisi: "Vi aspettavo!"
Giuseppe Puglisi, detto Pino, nacque a Palermo, il capoluogo della Sicilia, nel 1937. A 16 anni Gesù lo chiamò a diventare prete, così entrò in seminario e venne ordinato sacerdote nel 1960, a 23 anni. Divenne coadiutore, rettore di una chiesa, cappellano presso un istituto per orfani… ma soprattutto seguì in modo particolare i ragazzi e s’interessò dei problemi dei poveri. Nel 1970 venne nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo, dove era in atto una faida sanguinosa: don Pino riuscì a riconciliare le due famiglie in lotta, convincendole a perdonarsi. In seguito ricoprì molti incarichi importanti finché nel 1990 venne nominato parroco in un quartiere di Palermo gestito dalla mafia, cioè dalla criminalità organizzata. Qui Don Pino incominciò a lavorare per la giustizia: egli si occupava soprattutto dei bambini che rischiavano di farsi coinvolgere nelle azioni criminose, perché pensavano che i mafiosi fossero delle persone autorevoli e degne di rispetto. Grazie ai giochi che organizzava per loro, tolse dalla strada numerosi bimbi e ragazzi, i quali, senza la sua presenza, sarebbero stati sfruttati per spacciare droghe o per compiere rapine e quindi sarebbero caduti nella vita criminale. Ciò che faceva era segno visibile della potenza di salvezza del Signore, che con la sua croce ha vinto il male, e le sue azioni mostravano la tenerezza di Dio. Per questa sua attività, a Don Puglisi vennero rivolte e recapitate numerose minacce di morte da parte di boss mafiosi, i quali non potevano sopportare di vedersi sottrarre dei possibili complici e per questo lo perseguitavano. Dimostrando di non temere il potere dei mafiosi e la loro crudeltà, nel corso delle sue omelie, don Pino li interpellò frequentemente e nel frattempo continuò la sua opera, professando apertamente e con dolcezza la sua fede. Nel 1992 aprì il centro "Padre Nostro", che divenne un punto di riferimento importante per i giovani e le loro famiglie. Il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, Don Pino, dopo essere sceso dall’auto, mentre si avvicinava al portone di casa sua, si sentì chiamare. Si girò per rispondere, ma venne raggiunto da alcuni colpi di pistola che lo colpirono alla nuca. Sorridendo disse: "Vi aspettavo". Egli sapeva infatti che sarebbe stato ucciso, ma questa consapevolezza e la persecuzione mafiosa non avevano fermato la sua lotta per la giustizia contro la criminalità. Ora don Pino abita nel Regno dei cieli. Sulla sua tomba sono state scritte queste parole di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

“Carissimi, spero che vorrete farmi sapere qual è il santo che avete scelto!”

Quinta esperienza (Ritorno alla stella)
Messaggio scritto wa
“Prima di chiudere questo percorso, vi chiedo di riprendere in mano la stella che avete copiato all’inizio: dopo ciò che avete scoperto, vorreste forse cambiare qualcosa?”

Osservazioni

I punti di forza di questo lavoro, finalizzati a rendere, come sempre, i contenuti e le attività proposte dal sussidio più adatti ai mezzi digitali, meglio assimilabili, ma soprattutto  più attraenti, coinvolgenti e sostenibili per le famiglie, sono quattro.
1. La compilazione individuale della stella della felicità diventa un avvio alla riflessione e alla meditazione personale, da poter attuare anche in casa, in modo che i ragazzi imparino a prendere contatto con sé stessi e con il proprio mondo interiore, apprezzando il silenzio, e anche ad impostare un’esperienza che potrà diventare un’abitudine, accanto a quella più importante della “frase tesoro” (vedi post precedenti). È vero che alcuni ragazzi entrano volentieri in questa esperienza, mentre molti altri fanno più fatica: accettiamo ovviamente gli uni e gli altri. Quando (presto ormai!) arriverà il tempo della “porta chiusa”, questa abitudine mitigherà le recriminazioni interiori, la rabbia e l’autocommiserazione proprie della preadolescenza.
2. Le beatitudini spiegate nel linguaggio attuale vengono consegnate alla famiglia attraverso il compito di scegliere ognuno la propria, per poi riversarla nella preghiera. Questo diventa pertanto un momento di catechesi familiare, presentata con la modalità del coinvolgimento, che rende protagonisti i partecipanti.
3. Come sempre viene proposto il momento breve ma intenso di preghiera familiare.
4. La scelta del santo della pandemia unisce la famiglia nell’ascolto e nel confronto. Questa attività piace moltissimo: ho visto famiglie incominciare il percorso proprio da qui. Ovviamente si possono cambiare i santi: nel materiale on line del servizio per la catechesi della diocesi di Milano c’è un fascicolo, dal quale sono state tratte queste mini biografie, che presenta altri quattro santi, con linguaggio accessibile ai ragazzi.

Mariarosa Tettamanti

Immagine di copertina tratta da Happiness Moments di Dung Ho-Segul