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Una strana doccia

 

Progettare e attuare l’educazione interculturale. 

Una giovanissima testimonianza, una riflessione sull’intercultura (con particolare riferimento al lessico specifico) e sull’educazione interculturale, un possibile progetto e un pluripercorso attuabile con i bambini dei primi anni della scuola primaria. Il discorso riguarda soprattutto l’approccio alla diversità e quindi ha certamente delle ricadute comportamentali sul rapporto dei bambini con ogni tipo di diversità, compresa quella presentata dalla disabilità. Abituare i bambini a riconoscere il valore delle differenze e a praticare il rispetto e l’apprezzamento come approdi naturali di ogni conoscenza e di ogni relazione significa dotarli dello sguardo di Dio, che ci vede tutti amabili e preziosi. Per questo il progetto presentato si rivolge anche, e in maniera specifica, agli insegnanti IRC (insegnamento della religione cattolica) e ai catechisti, Le attività di questo itinerario, infine, come le altre presentate in questo blog, sono state sperimentate nella scuola con ottimi risultati: ringrazio a questo proposito le mie mitiche colleghe del Villaggio Gaia con le quali ho lavorato per molti anni.

“Ho negli occhi un villaggio e una piazza. Sono i luoghi in cui, per la prima volta, ho sentito pronunciare parole suggestive come “accoglienza”, “dialogo” e “comunicazione”. La piazza (in realtà l’atrio della scuola che chiamavamo Piazzamica) era il cerchio magico in cui si radunavano centocinquanta bambini dai sei agli undici anni: impegnati in chiassosi brain storming, compitavano insieme l’alfabeto della convivenza e muovevano i primi passi nel mondo degli affetti e dei sentimenti, tutto da decifrare. Il villaggio aveva un bellissimo nome, Gaia, il nome della gioia e della Terra, dell’identità e dell’altro, del locale e del globale. Così la strada da percorrere era tracciata e lungo il cammino le parole che definiscono una civiltà diventavano familiari come le lettere dell’alfabeto. Quei bambini fortunati conoscevano la differenza tra multiculturalità ed interculturalità come la tavola pitagorica. Dico queste cose con commozione, perché, tra quegli scolaretti col grembiule nero e il colletto bianco, c’ero anch’io, e da allora non ho più abbandonato le idee che hanno in quei giorni allungato solide radici nella mia coscienza.
Una certezza che risale ai tempi del mio villaggio, cioè della mia scuola primaria, è la seguente: oggi si può discutere sulla possibilità del dialogo interculturale, ma non sulla sua necessità. Mi spiego meglio: episodi come quello capitato alle Torri gemelle, o la guerra dell’ISIS, o più in generale il terrorismo islamico, ci dicono che mettere in dubbio la possibilità di un dialogo tra le culture equivale a mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’umanità. Come molti hanno affermato (vedi ad esempio il giornalista Terzani e lo statista Chirac), credo che su poche cose si possa essere sicuri come su questa: l’uomo d’oggi possiede purtroppo i mezzi sufficienti a distruggere e ad autodistruggersi e ciò che può fermarlo non è la strategia del terrore, cioè l’esposizione delle proprie armi misurandone la potenza su quelle degli altri, ma il dialogo, la ricerca dei punti comuni, la costruzione di territori neutri in cui sedersi alla stessa tavola e mangiare lo stesso pane, consumando insieme il proverbiale chilo di sale. Se la multiculturalità nella quale tutti siamo chiamati a vivere non diventerà al più presto interculturalità, cioè dialogo ed interazione arricchente tra le diverse opzioni culturali, qualcos’altro parlerà, ma non saranno il rispetto né la pace.
Stabilita l’inderogabilità e l’urgenza del dialogo, occorre chiedersi quali siano i modi e gli ambiti della sua realizzazione. Uno spazio importantissimo di educazione al dialogo è sicuramente la scuola: iniziative come quella di cui ho parlato, unite a un bell’addestramento alla relazione e alla gestione dei conflitti interpersonali, incominciato fin da piccoli, non possono che essere efficaci, perché si radicano nella profondità del cuore umano. Anche da un punto di vista più specificatamente culturale, la scuola ha un compito insostituibile: far conoscere i contenuti delle grandi tradizioni sia occidentali sia orientali, abituare gli studenti al confronto tra diverse opinioni, insegnare a cogliere la bellezza della pluralità linguistica e religiosa, per scavare le fondamenta profonde in cui porre i muri del dialogo. Ascoltare due voci diverse, come quelle della Fallaci e di Terzani, ad esempio, costringe la mente a lasciare i viottoli angusti del “So già tutto”, per imboccare la strada maestra del “Forse hanno ragione anche loro”. La scuola è infine l’ambiente privilegiato per trasmettere in profondità la cultura di appartenenza degli allievi, attrezzandoli all’incontro con l’altro e salvandoli da facili e dannosi relativismi e sincretismi. Sto parlando di quella che, nel mio villaggio Gaia, chiamavamo glocalità: apertura al mondo, partendo dalla propria cultura, la quale, anziché bloccare il dialogo, diventa ancoraggio sicuro e nel contempo trampolino di lancio per il viaggio verso lo straniero.
Il terreno d’incontro è senza dubbio quello dei grandi valori universali: la vita, la libertà, il rispetto dovuto ad ogni essere umano in quanto tale, prescindendo dalla sua estrazione culturale e sociale e perfino dalla sua moralità o amoralità, bontà o cattiveria. Su questi principi non è lecito transigere e in loro nome si può e si deve lottare.
Un secondo ambito di dialogo è rappresentato dalle Chiese, che dovrebbero addentrarsi sempre di più nei sentieri sicuramente impervi ma produttivi del dialogo interreligioso, continuando e ampliando lo slancio dato a questo percorso dai convegni di Assisi, che vedono la partecipazione di tutte le maggiori religioni del mondo. Si tratta di attività che dovrebbero moltiplicarsi ed essere attuate in tutti gli ambiti del sociale, perché la conoscenza del “diverso”spesso elimina la paura e tutti sappiamo come quest’ultima sia con frequenza la causa della violenza e del razzismo: se temi attacchi, ma se puoi guardare l’altro senza timore ti senti disposta ad accoglierlo.
Un ambiente importante per il dialogo interculturale è il mondo del lavoro: ormai i nostri cantieri pullulano di extracomunitari, come le fabbriche, gli ospedali, i campi del sud… Stare quotidianamente a contatto, immersi in una comunicazione fatta più di gesti che di parole, condividendo la fatica e le conoscenze, è una buona palestra per un esercizio concreto di interculturalità vissuta.
Ovviamente gli ambiti più importanti del dialogo sono quelli dell’economia e della politica, ma qui il discorso diventa decisamente troppo complesso e lungo, perciò mi fermo, trattenendo nel cuore l’auspicio di vedere presto, da parte dei “grandi” della Terra, scelte improntate alla giustizia e quindi adatte a gestire questo villaggio globale (il vero Villaggio Gaia!) che è il mondo nel quale tutti abitiamo.”

Queste parole

sono state scritte da Sara, una ragazzina di 16 anni al suo secondo anno di ginnasio, prima che in Italia incominciassero ad arrivare i barconi colmi di extracomunitari, prima cioè che il problema degli immigrati assumesse i toni drammatici acquisiti nei dibattiti politici più recenti. Parto da lei per due motivi: 1) se queste parole erano importanti allora, possiamo solo immaginare quanto lo siano oggi, in un tempo in cui la società in cui viviamo è ormai a tutti gli effetti e sempre di più multiculturale, plurilinguistica e plurireligiosa; 2) quando noi insegnanti ed educatori siamo assaliti dalla tentazione di pensare che resterà ben poco dei valori comunicati ai nostri allievi, ricordiamo queste parole, che testimoniano con forza il contrario.

1. Precisazioni sui termini

Preconcetto, pregiudizio, stereotipo, razzismo, xenofobia.

Sono le brutte parole del lessico interculturale: definiscono ciò che blocca il dialogo e la comunicazione, indicano ciò che chiude la porta al rispetto. Le prime due sono spesso usate come sinonimo, ma a ben guardare una differenza c’è: basta attribuire il giusto significato ai termini concetto e giudizio.
Se un concetto è il contenuto di una parola, ovvero una nozione che riguarda qualcosa nella sua essenza, un giudizio è invece l’espressione di una valutazione. Un preconcetto è dunque una nozione che precede o prescinde dalla conoscenza: "Io non ho mai incontrato né conosciuto il mio vicino di casa africano, ma penso che sia un essere umano diverso da me". Il pregiudizio sopraggiunge quando, sempre senza aver conosciuto una persona, io la giudico più o meno valida rispetto a me e/o ad altri, magari appoggiandomi a ciò che ho sentito dire: "Poiché il mio vicino di casa è diverso da me, sicuramente non è intelligente come me e i miei amici". Quando i preconcetti e i pregiudizi vengono generalizzati ed estesi a interi gruppi sociali, prescindendo dalla valutazione dei singoli casi, siamo in presenza degli stereotipi: "Come il mio vicino di casa, tutti gli africani sono poco intelligenti".
Il razzismo, che provoca le discriminazioni sociali, è spesso il frutto maleodorante dei preconcetti, dei pregiudizi e degli stereotipi. Esso teorizza la superiorità o l’inferiorità di una razza rispetto alle altre: "Gli africani sono una razza inferiore agli europei." La xenofobia dal canto suo si configura come unavversione indiscriminata nei confronti degli stranieri e di tutto ciò che proviene dall’estero: "Gli stranieri mi fanno schifo, li terrò lontani da me e dalla mia famiglia."

Multicultura, intercultura, transcultura

Il termine multicultura indica una semplice compresenza, in uno stesso contesto territoriale, di popoli con culture diverse, le quali mantengono la loro identità e la peculiarità del gruppo sociale del quale sono espressione, senza necessariamente mettere in atto confronti, scambi o incontri. Il termine non contiene giudizi di valore, ma si limita ad indicare la realtà di questa convivenza, sempre più diffusa attualmente, delineando una situazione statica del fenomeno. È ciò che succede quando nella stessa città vivono albanesi, sudamericani, africani, cinesi… i quali al massimo si salutano incontrandosi nella metropolitana, oppure parlano del più e del meno stando su un treno, ma non arrivano mai a una vera conoscenza né tantomeno a uno scambio culturale proficuo.
Con la parola intercultura intendiamo invece un insieme di attività finalizzate a favorire la conoscenza e l’incontro tra culture diverse. Essa presuppone quindi l’impegno nel cercare forme, occasioni e strumenti adatti a sviluppare un dialogo costruttivo e creativo tra le culture, un confronto tra idee e valori diversi e una ricerca di punti di incontro capaci di valorizzare le diversità. Il prefisso inter indica l’intreccio dialettico e la negoziazione del confronto. Si parla quindi di intercultura quando gruppi sociali differenti organizzano scambi culturali, attraverso incontri, spettacoli, conferenze, studiando e apprezzando peculiarità e diversità. L’educazione interculturale è quindi la risposta educativa alle esigenze della società multiculturale nella quale viviamo.
Si parla di transcultura quando, dall’incontro profondo tra culture diverse, nasce una nuova cultura, capace di "bucare", attraversare e superare i confini dei diversi sistemi culturali e della diverse tradizioni, costruendo un progetto di esistenza pacifica per tutti. La storia ci mostra molte di queste benefiche contaminazioni avvenute tra popoli differenti, i quali si sono incontrati attraverso migrazioni di gruppi sociali che si sono integrati agli indigeni, scambiandosi reciprocamente valori, scoperte scientifiche, lingue e invenzioni. È questa una delle modalità fondamentali, mediante la quale l’umanità è progredita nel corso dei secoli. Pensiamo soltanto, per fare un esempio molto noto, all’influsso della cultura greca antica su quella romana e come la cultura romana, con questo contatto, poté arricchirsi e cambiare... così come la cultura cristiana non sarebbe ciò che è senza la cultura ebraica. All’interno di ogni cultura, in effetti, sono rintracciabili (e in una disamina scientifica seria, come sappiamo, si devono rintracciare) le molteplici influenze provenienti da altre culture. In quest’ottica, ogni cultura oggi esistente è transcultura ed è sempre in potenza di diventarlo ulteriormente.

Relativismo e sincretismo

Quando si parla di sistemi valoriali diversi, anche all’interno dei processi di intercultura e transcultura, è necessario evitare il relativismo e il sincretismo, che tendono a mettere tutto sullo stesso piano. Per il relativismo, non esiste una morale universale, perché i principi e i giudizi etici sono relativi alle norme stabilite dagli individui o dai popoli. Un simile modo di concepire i valori giustificherebbe ad esempio la condanna alla lapidazione di un’adultera, dal momento che il popolo in cui la donna vive giudica il valore della fedeltà coniugale superiore al valore della vita.
Il sincretismo dal canto suo tende a fondere elementi ideologici o religiosi inconciliabili. Lo vediamo oggi in movimenti pseudo religiosi che coniugano verità cristiane con idee buddiste o appartenenti ad altre religioni orientali, impoverendo e togliendo verità all’una e all’altra religione. 

Locale, globale, glocale

Sono i termini della geografia interculturale, chiamati a interagire l'uno con l'altro in continua dialettica, aperta e rispettosa. La parola "locale" designa tutto ciò che fa parte dell'identità logistica, storica e sociale di una persona: la casa e la famiglia, il paese o la città, la patria, il dialetto e la lingua, la cultura, gli usi e i costumi... Occorre esplorare la propria identità, mettendovi profondamente le radici conoscitive: la conoscenza di sé e del proprio contesto rende capaci di aprirsi e accogliere le altre culture, liberando il coraggio, la creatività e la capacità di comprendere i punti di vista altrui. La nebbia dell'ignoranza invece non può che creare confusioni, rigidità e ripiegamenti, bloccando ogni possibilità di dialogo.
Il vocabolo globale è invece sinonimo di mondiale, universale, e quindi indica le problematiche che riguardano la totalità dei Paesi del mondo, unito, oggi  più che nel passato, dalla pluralità dei mezzi di trasporto e di comunicazione. E' anche l'insieme di tutte le culture, da conoscere e apprezzare in maniera critica, cioè ragionata. 
Dall'intreccio tra locale e globale nasce il glocale, cioè la modalità in cui le forze locali e le relazioni globali assumono la forma concreta dell'interazione.  Sul piano dei rapporti interpersonali, si tratta di quell'atteggiamento che, senza negare le proprie radici, si apre,  accoglie, apprezza e sempre rispetta il diverso e il mondo. Potremmo quindi dire che l'educazione interculturale si configura come educazione  al glocale.

2. L’educazione interculturale

Scelte fondanti

L’educazione interculturale assume l’uguaglianza come principio, la diversità come risorsa e la comunicazione interculturale come necessità, opportunità e ricchezza. 

Finalità generale

L’educazione interculturale intende formare nei bambini un’identità dialogica e critica, consapevole della propria appartenenza culturale e in grado di comprendere altre identità. 

Principali obiettivi

1. Promuovere il rispetto per l’identità personale, sociale e culturale dei singoli bambini, educando alla convivenza civile (in particolare attraverso i valori della tolleranza, della comprensione reciproca e della trasformazione del conflitto*) e valorizzando la diversità e la multiculturalità.
2. Abilitare al confronto rispettoso con le differenze culturali e le diversità private e sociali, fornendo conoscenze finalizzate a una comunicazione interculturale aperta e critica e ponendo le basi per creare mentalità contrarie ai preconcetti, ai pregiudizi, agli stereotipi, al razzismo, alla xenofobia e ad ogni altro tipo di discriminazione.
*Per questo argomento vedi in questo blog il post intitolato I triangoli e la canoa.

Contenuti

Un’educazione interculturale per bambini della scuola primaria trova il suo punto di partenza nell’esplorazione del , cioè di un io percepito come individuo unico e singolo e come persona, soggetto di una storia e portatore di un’identità corporea, emotiva, affettiva, relazionale e cognitiva. (A questo proposito, vedi in questo blog il post intitolato Con Elio alla ricerca di identità, autonomia e appartenenza).
L’io s’incontra fin dal concepimento con il tu materno, il primo di tanti altri tu che incontrerà nel corso degli anni, con i quali comunicherà empaticamente, assumendoli come specchi (cioè simili e complementari) e come altri da sé (cioè diversi e interlocutori).
Unendosi ad alcuni dei tanti tu che incontra, l’io scopre ed esperisce il noi, cioè il nucleo sociale al quale appartiene, che incomincia nella famiglia, passa attraverso il gruppo dei pari conosciuto in ambienti diversi (scuola, campo da calcio, palestra…) e sfocia in altre comunità. Nel gruppo si dispiegano le prime diversità, che i bambini imparano ad apprezzare come risorse. (Vedi l’articolo citato: Con Elio alla ricerca di identità, autonomia e appartenenza).
Il gruppo che costituisce il noi delimita per sua stessa natura e definizione un loro, grammaticale e reale, nel quale riconoscere una diversità da vivere con il discernimento di chi sa apprezzare e rispettare.
Procedendo nelle esperienze e nello studio, l’io arriva infine a indagare e conoscere sempre di più il mondo, all’interno di un’educazione alla mondialità capace di suscitare stupore e, ancora una volta, rispetto.
Ovviamente tutte queste esplorazioni non avvengono in sequenza cronologica, ma più o meno parallelamente, seguendo uno sviluppo armonico favorito e facilitato dalla scuola e da altre agenzie educative, come la parrocchia, l’oratorio e le associazioni sportive.

Per gli insegnanti IRC e per le catechiste:

i contenuti di un’educazione interculturale in campo religioso. 
Attenzione: tutto ciò che si trova sul piano della conoscenza e di una vita umana civile e rispettosa riguarda anche l’IRC (vedi parole in nero); ciò che invece investe il vissuto cristiano del bambino (vedi parole in rosso) riguarda soltanto la catechesi, perché va oltre i compiti dell’IRC.
Io. Sul versante dell'esistenza religiosa, per i cristiani tutto incomincia con il dono della vita e con il Battesimo, che conferisce al battezzato l’identità di figlio di Dio. Come l’identità personale e sociale, anche l’identità cristiana va scoperta e ricomposta attraverso la ricostruzione della propria storia, che inizia con il Battesimo e continua nella crescita, trovando i suoi punti focali nei sacramenti dell’IC. (Vedi i sussidi catechistici della diocesi di Milano Con te! Figli, p. 4; Con te! Discepoli, pp. 62-67; Con te! Amici, pp. 4-9)
Io/tu. La relazione io/tu si amplia e si invera per i cristiani nell’incontro con Gesù, nel quale si fonda il rapporto uomo/Dio, che seguirà il bambino per tutta la vita e renderà autentico ogni altro legame interpersonale.
Noi. L’esperienza religiosa del noi svela l’importanza e la bellezza della comunità cristiana, incominciata con il popolo eletto e con i discepoli di Gesù, comunità che oggi si dirama nei suoi vari gruppi: la catechesi, l’oratorio, la squadra sportiva, la comunità educante… ma soprattutto l’assemblea liturgica, riunita per la celebrazione dell’Eucaristia.
Loro. È importante anche che il bambino, seppure per grandi linee, conosca le altre tradizioni cristiane, imparando a discernere nel rispetto e nella chiarezza punti comuni e differenze con il cattolicesimo, avviandosi a un proficuo dialogo ecumenico.
Mondo. In una società plurireligiosa è infine fondamentale che i bambini conoscano le tradizioni religiose del mondo non cristiano, per non incorrere nei pericoli dell’intolleranza o al contrario del sincretismo e per avviarsi in maniera corretta e rispettosa al dialogo interreligioso.

3. Il progetto

Persone coinvolte

Se viene attuato a scuola, un progetto di educazione interculturale può essere di classe, di plesso o d’Istituto, ma dovrà sempre essere rivolto a tutti gli alunni e dovrebbe possibilmente coinvolgere tutti i docenti operanti nella struttura, ovviamente ognuno secondo le specifiche competenze.
I consigli di classe, di Interclasse e di Istituto dovranno essere periodicamente informati sull’andamento del progetto e sulle attività svolte.

Modalità d’intervento

Il progetto attiverà più laboratori pluri-disciplinari e multi-mediali.

Metodologia

a) L’approccio didattico sarà integrato: a seconda dei laboratori scelti, ci si potrà avvalere per esempio della didattica per obiettivi, per delineare il quadro entro cui collocare i contenuti, proficuamente coniugata con la didattica dello sfondo integratore, che guidi la scelta delle attività, attingendole all’interno dei mediatori didattici. Anche la scelta di una didattica per moduli magari associata alla ricerca azione può avere una sua positiva giustificazione.
b) Qualunque sia la scelta didattica di fondo, raccomando l’uso sistematico dei mediatori didattici, tra i quali scegliere le attività.
Mediatori attivi: realizzazioni di oggetti (costumi, strumenti musicali, ecc…); giochi vari; costruzione e/o uso di semplici strumenti musicali; danze.
Mediatori iconici: disegno spontaneo; disegno preordinato secondo piani contenutistici; costruzione, analisi ed interpretazione di immagini; codificazioni grafico-figurative di eventi e storie inventate; schematizzazione di percorsi e concetti.
Mediatori analogici: giochi di simulazione; drammatizzazioni e recite su canovaccio; esecuzione di copioni; simulazioni finalizzate all’applicazione di conoscenze ed esperienze precedenti.
Mediatori simbolici: discussioni finalizzate a sintetizzare/omologare informazioni raccolte; narrazione o lettura dell’insegnante (ascolto dei bambini); narrazione degli alunni; lettura degli alunni di storie e dialoghi; invenzione e stesura di dialoghi, filastrocche, poesie, parti narrative, storie  e canti; rielaborazione delle esperienze attuate; riflessioni meta-cognitive sui contenuti e sulle procedure.

Monitoraggio e verifica

Il monitoraggio si baserà sulle osservazioni sistematiche (comportamenti, elaborati, ecc…) per operare un confronto tra esiti attesi ed esiti ottenuti, mentre la verifica finale valuterà i comportamenti in uscita confrontandoli con quelli in entrata. Alla Commissione per l’integrazione degli alunni stranieri, ai Consigli d’intersezione, d’interclasse e di classe e al Collegio docenti potrà essere richiesta una riflessione teorica relativa alle strategie d’intervento e ai percorsi didattici attuati.

Rapporto con i genitori

I genitori dei bambini coinvolti dovranno essere informati inizialmente sulle finalità e sulle modalità organizzative. Gli stessi potranno poi essere invitati a partecipare a feste, rappresentazioni teatrali o mostre.

4. Indicazioni per un pluripercorso

4.1 Un pluripercorso

Il nostro percorso di educazione interculturale sarà in realtà un pluripercorso, che incomincia con le attività presentate nel post Con Elio alla ricerca di identità, autostima e appartenenza (esplorazione del sé nei suoi vari aspetti), continua con le proposte contenute nell’articolo I colori del cuore (esplorazione dei rapporti io/tu/noi, attraverso il riconoscimento delle emozioni proprie e altrui e lo sviluppo dell’empatia), si prolunga in I triangoli e la canoa (io/tu/noi: trasformazione dei conflitti interpersonali) e finalmente si apre al dialogo interculturale vero e proprio, utilizzando come strategia introduttiva e sfondo integratore la storia della doccia dispettosa, anch’essa presente in questo blog.

4.2 Lettura della situazione relazionale del gruppo

Prima di incominciare il percorso, cerchiamo di capire come funzionano le relazioni nel nostro gruppo, per individuare eventuali bambini emarginati. Organizziamo pertanto la somministrazione del sociogramma di Moreno semplificato: per conoscere le modalità di attuazione, l’interpretazione dei risultati e le strategie d’intervento rimando alle pp. 138-142 del volume “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, Arcidiocesi di Milano, Centro ambrosiano.

4.3 Strategia introduttiva

Racconto (o lettura) della storia La doccia dispettosa, che si trova in questo blog (settore scuola, alfabeto, lettera D) e narra la vicenda di una doccia, la quale, in concomitanza con l’arrivo di una strana famiglia gialla in una città tutta blu, incomincia a non funzionare più. In realtà la doccia ha delle buone ragioni per comportarsi in questo modo e quando i cittadini blu le avranno scoperte avranno anche imparato la bellezza della diversità, insieme all’alfabeto e ai vantaggi dell’accoglienza.

4.4 La bellezza della diversità

a)*Nell’atelier di pittura i bambini divisi in tre gruppi disegnano su grandi cartelloni una città, che poi dipingono con i tre colori diversi presentati nel racconto (blu, rosso e giallo); poi mescolano sulle tavolozze il giallo e il blu fino ad ottenere il verde.
b)*Giochi delle differenze. Primo gioco. La maestra individua segretamente un bambino e lo chiama elencando le sue caratteristiche: è biondo, ha gli occhi neri, è molto alto, sorride spesso, ha una sorellina più piccola, il suo nome incomincia con la lettera… Quando il bambino si è riconosciuto, esce e fa la stessa cosa pensando a un compagno (ovviamente può dire soltanto cose belle). Il gioco termina quando tutti sono stati chiamati. Se i bambini non sono in grado di descrivere un compagno in modo che lo stesso si riconosca nella descrizione continuerà a farlo la maestra. Secondo gioco. La maestra dice: “Se fossi …….. avrei le trecce! Di chi sto parlando?” e così via. Terzo gioco. La maestra invita ad uscire dai banchi tutti i bambini che portano gli occhiali, poi invita ad uscire dal gruppo degli occhiali tutti i bambini che hanno i capelli corti e così via, fino a quando rimane un solo bambino diverso da tutti gli altri. Quarto gioco. Invitiamo i bambini a guardarsi a due a due per scoprire le diversità. Quinto gioco. Su un grande cartellone ogni bambino, usando colori diversi, scrive ciò che sa fare bene. Al termine dei giochi, si conversa liberamente: ognuno di noi è diverso dagli altri e proprio per questo è riconoscibile, unico, insostituibile. Se fossimo tutti uguali invece… Le differenze sono belle e necessarie.

4.4 La bellezza dell’intercultura

a) *La storia della doccia continua con una seconda puntata. 
“La festa fu bellissima. Oltre agli abitanti della città rossa c’erano anche i cittadini gialli, che erano stati invitati dai genitori del bambino verde. Tutti avevano portato, attraversando il mare e caricandoli sulle barche, torte, caramelle, cioccolatini, bevande e tanti altri doni di tutti i tipi. Nel paesaggio azzurro si vedevano persone gialle, rosse e blu che passeggiavano, danzavano, ridevano, cantavano e mangiavano. Dovunque si sentiva una musica allegra e dolcissima, nell’aria si intrecciavano saluti e risate. Così i giovani si conobbero, fecero amicizia e molti si fidanzarono.
Quando la festa finì, tutti tornarono alle loro case, portando con sé i doni che si erano regalati, dopo essersi scambiati indirizzi e numeri di telefono. Il viaggio di ritorno fu lungo come quello dell’andata: gli ospiti dovettero scendere dal monte Azzurro, salire sulle barche, attraversare il mare e infine inerpicarsi sul loro monte per raggiungere la loro città. Nonostante la fatica, i cittadini gialli, blu e rossi si rividero spesso e l’amicizia tra loro divenne più profonda. Il mare era sempre più invaso dalle barche, cariche di doni sia durante l’andata sia durante il ritorno.
Dopo qualche tempo incominciarono i matrimoni e le nascite: i rossi si sposarono con i gialli ed ebbero figli arancioni, i blu si sposarono con i rossi e i gialli ed ebbero figli viola e verdi. Fu così che gli abitanti delle tre città conobbero i colori: ogni volta in cui scoprivano un colore nuovo organizzavano una festa che durava un mese. Anni dopo nelle tre città abitavano bambine e bambini, giovanotti e ragazze di tutti i colori.”
b) *Giochi con i colori. Nell’atelier di pittura i bambini mescolano i tre colori fondamentali fino ad ottenere il maggior numero possibile di tinte. Su un cartellone intrecciano pennellate di colori diversi e poi riflettono insieme sulla ricchezza cromatica ottenuta: ogni colore ha dato la propria tonalità, ma solo insieme sono riusciti a creare tonalità nuove e molto belle. Così succede tra le persone che sanno (e sanno fare) cose diverse. Ad esempio Elisa colora molto bene con i pennarelli, mentre Giuseppe è molto bravo a disegnare, ma poi colora male: proviamo a metterli insieme e vediamo che cosa succede? Marina scrive delle belle poesie, ma poi non le sa illustrare molto bene, mentre Lucia sa usare matita e colori, ma non le piace scrivere… Elia è bravissimo con il computer e Gianni sa inventare barzellette divertenti…
c) *Organizziamo gruppi di lavoro per costruire oggetti complessi (ad esempio un libro, un calendario, un cartellone, un mosaico...) e chiediamo che ognuno s’impegni in ciò che sa fare meglio (disegnare, colorare, scrivere, assemblare...). Al termine organizziamo una conversazione: saremmo riusciti a realizzare un oggetto così bello e completo da soli, senza valorizzare le competenze di tutti?
d) *Se abbiamo dei bambini migranti in classe, prepariamo un vocabolario plurilinguistico con l’aiuto dei genitori stranieri. I bambini si divertiranno moltissimo ad imparare parole nuove, scoprendo le eventuali assonanze con l’italiano. 



e) *Organizziamo il salotto di lettura, con cuscini e musica leggera di sottofondo. Daremo ai bambini libri con favole, fiabe e poesie provenienti da tutto il mondo; stabiliremo poi momenti di confronto, di letture dialogate, di drammatizzazione… su ciò che abbiamo letto; possiamo anche invitare i genitori dei bambini migranti che ci racconteranno le loro favole e le loro filastrocche.
f) Nel laboratorio di motoria i bambini apprenderanno danze etniche, incominciando con quelle che conoscono i compagni migranti o i loro genitori.
g) Nel laboratorio di musica impareranno canti che vengono dal mondo, a cominciare da quelli conosciuti dai compagni migranti o dai loro genitori.

4.5 Scoperta della transcultura e della mondialità

a) *Continuiamo con la terza parte del racconto della doccia.
“Le cose andavano bene, ma ogni volta in cui i nonni o gli zii volevano andare a trovare i nipotini che abitavano nelle altre città dovevano scendere e salire le montagne e attraversare il mare. Per non parlare dei fidanzati, che spendevano milioni di euro per telefonarsi tutti i giorni.
Allora i tre sindaci indissero un’assemblea durante la quale decisero di costruire dei ponti. Ne costruirono due e poi tre, ma non bastavano, perché la strada da percorrere era sempre troppo lunga.
Così decisero di costruire un’unica grande città e si misero al lavoro. Partirono degli esploratori e al di là delle tre montagne scoprirono una grande pianura adatta alla loro città: la costruirono bianca e poi la dipinsero, usando tutti i colori. Fecero il sole, la luna e le stelle gialli, come le banane e i limoni; l’erba e tutte le altre piante verdi; il cielo e l’acqua azzurri; le ciliegie, le fragole, i pomodori, l’interno delle angurie, i tetti delle case e il sangue delle persone rossi. Dipinsero le case e i fiori con tutti i colori.
Da ultimo fecero l’arcobaleno: era rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, blu e viola. Lo stesero nel cielo, tra le nuvole e il sole, sopra le case della città.
E la doccia? La portarono nella città dell’arcobaleno e la misero nella nuova scuola, dove funzionò benissimo… e sta funzionando ancora!”
b) *Su un grande cartellone disegniamo la città dell’arcobaleno e chiediamo ai bambini di colorarla insieme: sarà il simbolo, o il logo, della transcultura.
c) *Nel laboratorio geografico osserveremo un mappamondo e poi individueremo e coloreremo i continenti su un planisfero fotocopiato.
d) *Organizziamo la festa della macedonia. Ogni bambino sarà invitato a portare a scuola un frutto e insieme prepareremo una gigantesca macedonia. Durante la festa, alla quale inviteremo i genitori, presenteremo le danze e i canti imparati e mostreremo i lavori preparati. Il giorno dopo a scuola rifletteremo sul significato della macedonia: tutti i frutti sono diversi e buoni, ma messi insieme nella macedonia, pur rimanendo gli stessi (noi sentiamo il sapore di ognuno di loro), diventano molto più buoni e dolci. Così è per il mondo: se i popoli si aiutano e si scambiano ciò che sanno e sanno fare, il mondo sarà più bello, più buono e perfino più dolce… proprio come succede con la macedonia.
e) *Possiamo terminare la festa recitando insieme la poesia della maestra Angela, che invece di chiudere l'itinerario lo apre al futuro (al verso 2, ricordarsi di cambiare il numero inserendo quello dei bambini partecipanti al pluripercorso).
Veleggiavano
Veleggiavano
centosessantasette barche
nella calma di una mattina.
Navigavano 
tenendosi ben strette e
la loro scia bianca
disegnava giochi di luce.
in un mare di azzurre speranze.
Veleggiavano
con la prua verso il futuro
(Angela Mantovani)

immagine di copertina tratta da "Bambini Multicolori" di Sharon McCutcheon