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Cose nuove e cose vecchie... ma poco usate

La disabilità nel nuovo Direttorio per la catechesi: un commento metaforico, intrecciato con i documenti precedenti e tanti esempi. Da questo contributo è stato tratto un articolo pubblicato nel sito per la disabilità della diocesi di Milano.

 Mi è sempre piaciuta l’immagine suggestiva (pur se surreale, per il tempo dell’usa e getta) del padre di famiglia che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie (Mt 13,52). Da piccola mi chiedevo dove avesse trovato il tesoro quel papà e che cosa avrebbe fatto delle cose che tirava fuori: le teneva tutte o ne scartava qualcuna? Forse buttava via quelle vecchie e teneva quelle nuove? La parabola non lo dice. Immaginavo un padre chino su un sacco colmo, un po’ come Babbo Natale, intento a pescare oggetti preziosi e a distribuirli ai suoi bambini: otto bambini come i miei fratelli. Anche mio papà ogni tanto (alla mattina presto perché lavorava di notte) portava a casa un sacco di plastica: dentro c’erano vestiti e giocattoli usati donati dai suoi colleghi, ma per noi erano tesori inestimabili. Quando arrivava il sacco venivamo svegliati presto ed era subito festa; dentro trovavamo oggetti in buono stato ma segnati dall’uso, oppure addirittura rotti e inservibili, ma c’erano anche cose così poco usate da sembrare nuove e perfino qualche capo di abbigliamento ancora impacchettato nel cellophan e quindi mai utilizzato. Mi scuso per questo ricordo personale, ma non riesco a scollegarlo dai regali che ci fa la Chiesa, quando arriva a noi con le sue encicliche, i decreti, le lettere… i direttori. Ecco, appunto, i direttori per la catechesi: 1971, 1995 e 2020, l’anno del maledetto covid, il tempo in cui più del solito sentivamo il bisogno di belle novità. E la bella novità è arrivata, soprattutto per i catechisti, ma anche per i genitori, e a pioggia sui bambini e su tutti i fedeli, grandi e piccoli. Leggere il nuovo direttorio è un po’ come passeggiare in una giornata di sole, o ricevere sul viso la carezza del vento, oppure trovare un sacco colmo di oggetti vecchi o nuovi, ma tutti utilizzabili. È qualcosa del genere insomma, qualcosa di bello. 

Apriamo dunque il sacco del tesoro.

Rovista rovista, che cosa ci capita tra le mani? Ecco quattro numeri, dal 269 al 272, che immediatamente ci chiamano, regalano sobbalzi al cuore e sorrisi all’anima. Anche qui, cose vecchie e cose nuove. Un vecchio abbigliato di novità e un nuovo con vesti antiche. Ma andiamo per gradi. 

Numero 269

"La sollecitudine della Chiesa verso le persone con disabilità scaturisce dall’agire di Dio." Certamente. Questo lo si sa almeno dai tempi di Gesù, quando si era vista la sua tenerezza chinarsi sulle persone cieche, sorde, paralitiche: uomini e donne a cui Lui donava la fede, che guariva e poi lanciava in un’esistenza nuova. Il Maestro vedeva il tesoro che aveva davanti a sé quando una persona con disabilità lo interpellava e si aspettava che i suoi lo imitassero. Ancora oggi Dio si aspetta che la pensiamo come Lui ed è con questo intento che ci manda in missione.
Non solo: il Direttorio sottolinea che tutte le comunità sono chiamate, oltre che a prendersi cura dei più fragili, a riconoscere la presenza di Gesù che si manifesta in loro in modo speciale. Lapalissiano per dei cristiani: dove la presenza di Dio si mostra a noi in modo stolto ma sapiente, sconcertante eppure assolutamente razionale se inserito nel ragionamento d’amore, l’unica vera logica che ci è data? Nel crocifisso: e non c’è bisogno di aggiungere altro. La sollecitudine e la cura che dobbiamo a questi nostri fratelli, quindi, come la consapevolezza che in essi la presenza di Colui che amiamo splende di luce insuperabile, è paragonabile all’usato nuovo, indistruttibile, l’usato da Gesù che si deve sempre riutilizzare. 
Approfondendo il discorso, il nuovo Direttorio al n. 270 afferma che la comunità cristiana, attraverso la presenza delle persone disabili, "si rende più consapevole del mistero salvifico della croce di Cristo e, vivendo relazioni reciproche di accoglienza e solidarietà, diventa generatrice di vita buona e richiamo per il mondo". Da questo concetto non nuovo (già presentato ad esempio con altre parole ma con grande incisività dalla Salvifici doloris del 1984) deriva per la catechesi un compito irrinunciabile: essa aiuterà i battezzati a leggere il mistero del dolore umano alla luce della morte e resurrezione di Cristo. Questi sono effettivamente i primi regali che ci vengono offerti dai nostri fratelli disabili: la rilettura del dolore umano in chiave cristiana e la possibilità di generare vita nuova mediante l’accoglienza e la solidarietà. Ed è bello che il Direttorio lo ribadisca.

Torniamo ora al n. 269

"La Chiesa riconosce nelle persone con disabilità la chiamata alla fede e ad una vita buona e piena di significato." Anche qui, ovvio e ribadito. Nel 2004, ad esempio, in occasione dell’Anno Europeo delle persone disabili proclamato dalla CE, l’UCN, nel fascicolo L’Iniziazione Cristiana alle persone disabili, recitava:
La comunità cristiana non può non avvertire l’urgenza di offrire la proposta di fede, nella sua pienezza, anche a tutte le persone disabili (…) perché possano ascoltare Dio che parla (…) come un Padre amorevole, lo accolgano, trovino in Lui le risposte più significative per la loro vita…[1].
È come dire che a una persona disabile non manca proprio niente per essere pienamente gioiosa, realizzata ed estremamente utile alla Chiesa e all’umanità, come esplicitamente afferma il nuovo Direttorio: "la vulnerabilità non impedisce di essere felici e di realizzare se stessi." 

Nel 1999

la Seconda nota del Consiglio Episcopale Permanente della CEI sull’iniziazione cristiana (nn. 58 e 59), chiedeva alle comunità di predisporre itinerari per l’inclusione. Questa proposta è precisata nel nostro Direttorio al n. 271 in questi termini: "è compito delle Chiese locali aprirsi alla presenza ordinaria delle persone con disabilità, all’interno dei percorsi di catechesi, attivandosi per una cultura dell’inclusione contro la logica dello scarto." Si sente in queste parole tutta la passione del Papa per il nostro tema e mi piace l’espressione “presenza ordinaria”. Non stiamo parlando di beneficenza e nemmeno di benevolenza, ma di normalità: è normale che le persone disabili vengano incluse nei nostri percorsi, non è normale invece la loro esclusione. Continuando nella nostra metafora, potremmo dire che qui siamo in presenza di un usato rinnovato, ma non come nel caso di quei vestitini un po’ retrò che diventano “di tendenza” con qualche ritocco (un bottone in più, una ruche tolta da una manica, un colletto ridotto nelle dimensioni, un orlo accorciato…), ma come qualcosa che si deve plasmare nella pratica in modo nuovo. Mi spiego meglio con un esempio. Noi non dovremmo aver bisogno di essere richiamati all’accoglienza nei confronti delle persone con disabilità, ma tutto dovrebbe svolgersi all’insegna di una pratica comune e abituale: abbiamo in comunità gruppi di catechisti e animatori liturgici? Ebbene, analogamente cerchiamo di formare un gruppetto di bravi cristiani, provenienti dalle varie associazioni parrocchiali, decanali o anche territoriali in genere (Caritas, CSI, gruppo catechisti, gruppo liturgico, animatori dell’oratorio estivo…), che si occupino costantemente delle persone con disabilità: le cerchino, le contattino, trovino modalità di inserimento efficaci. Questa indicazione non è presente nel Direttorio, ma è prassi avviata in alcuni decanati della diocesi di Milano e raccomandata a tutti dalla Commissione disabilità della stessa diocesi.

È necessario accompagnare nella fede 

i nostri fratelli e le nostre sorelle con disabilità, dice ancora il Direttorio, "in maniera personale e significativa, attraverso nuovi canali di comunicazione e metodi didattici adatti a favorire l’incontro con Gesù, secondo le loro esigenze." A questo scopo sono utili il linguaggio dell’esperienza e dei sensi, come pure una modalità linguistica di tipo narrativo. La questione era già stata affrontata dal documento emanato dall’UCN nel 2004, il quale offriva anche alcuni criteri di base per la catechesi alle persone disabili, come l’essenzialità del Messaggio da comunicare e la necessità di elaborare percorsi differenziati, ma sempre all’interno del gruppo dei pari. Giustamente il Direttorio non cita i percorsi differenziati, perché oggi si preferisce parlare di itinerari comuni a tutti i bambini, ma programmati a partire dalle esigenze dei piccoli con disabilità. Qui l’usato è in parte superato: qualcosa infatti è stato scartato.[2]

Per il servizio di catechesi alle persone disabili,

aggiunge il Direttorio, è bene che alcuni catechisti ricevano una formazione specifica: si tratta di una sottolineatura già presente nel Documento di base e ripresa ventinove anni dopo dalla nota CEI del ’99, che chiedeva tra l’altro di formare catechisti ed educatori anche dal punto di vista delle competenze psico-pedagogiche. Molto è stato fatto a questo proposito dalla diocesi ambrosiana, ma molto resta da fare, perché non in tutti i decanati è presente una sensibilità di sguardo che rende auspicabile e richiesta la formazione dei catechisti al riguardo. Si tratta dunque di qualcosa di metaforicamente vecchio e sempre valido, che chiede di essere maggiormente (o finalmente) usato.

Quanto alle famiglie con disabilità,

il Direttorio chiede un accompagnamento che favorisca "il pieno inserimento nella comunità, nel rispetto e nell’ammirazione per la loro testimonianza di apertura alla vita." Ne parlava già il Documento di base, che raccomandava il coinvolgimento delle famiglie, come pure la citata nota CEI del 2004. Anche qui credo di dover dire che il vecchio è rimasto quasi nuovo, perché poco usato: dai convegni diocesani si ricava l’impressione di una lamentela diffusa, proveniente da famiglie con disabilità, deluse dalla comunità cristiana, perché lasciate sole.

Per la catechesi un problema rilevante

sembra dato dalla presenza di persone con disabilità intellettive. È davvero così? Direi di no, almeno secondo il Direttorio. “No anzi” per la precisione. Il Direttorio infatti non presenta la questione in termini di preoccupazione o complicazione, ma come qualcosa di molto positivo da riscoprire: innanzitutto, dice, le persone con disabilità cognitiva "vivono la relazione con Dio nell’immediatezza della loro intuizione." È un’affermazione carica di verità e di bellezza: Dio non si raggiunge solo con la preghiera elaborata, il ragionamento, il comprendere e l’apprendere, la partecipazione attenta e consapevole alle celebrazioni liturgiche, la conoscenza della teologia: è possibile arrivare a Lui mediante atti di fede semplice, in cui amore e preghiera sono la stessa cosa. Si tratta di movimenti dell’anima di cui sono capaci i mistici, ma anche i bambini e le persone con disabilità: questo il Direttorio non lo dice, ma chi scrive ne è convinta. Precisata in questo modo, la questione appare davvero in una luce di novità.

Collegata al discorso precedente

è la problematica che riguarda l’amministrazione dei sacramenti alle persone disabili. Già nel 2004 il problema era stato affrontato e risolto dall’UCN: richiamando le linee del Concilio (anni ’60 prima metà!!), il documento affermava infatti, senza se e senza ma, che i sacramenti dell’Iniziazione cristiana (IC) dovevano essere amministrati anche ai disabili gravi. Più tardi, nel 2007, Benedetto XVI, nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, al n. 58, chiedeva che venisse assicurata la comunione eucaristica anche ai disabili mentali, battezzati e cresimati: "Essi ricevono l’Eucaristia" affermava il Papa "anche nella fede della famiglia o della comunità che li accompagna." Bellissima realizzazione della circolarità dell’amore che si aggira nella Chiesa in cammino in quanto comunione dei santi. Dal canto suo il nuovo Direttorio, al n. 272, afferma:
Le persone con disabilità possono realizzare la dimensione alta della fede, che comprende la vita sacramentale, la preghiera e l’annuncio della Parola. (…) Esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di disturbi gravi. I sacramenti sono doni di Dio e la liturgia, prima ancora di essere compresa razionalmente, chiede di essere vissuta: nessuno quindi può rifiutare i sacramenti alle persone con disabilità. (…) È perciò importante l’inclusione pastorale e il coinvolgimento nell’azione liturgica, specialmente quella domenicale.
Come si vede, il discorso è chiarito con determinazione e riguarda tutti i sacramenti, non soltanto quelli dell’IC. Bella e opportuna la precisazione concernente la liturgia: chi ha a che fare con persone disabili sa quanto questa affermazione sia vera. Tutti abbiamo visto bambini con la sindrome di Down prestare il servizio dei ministranti all’altare: la loro serietà, il raccoglimento che mantengono, la cura estrema dei gesti, l’attenzione a non sbagliare testimoniano una consapevolezza interiore e una fede davvero invidiabili. Ci sono ragazzini affetti da autismo e iperattività che solo in chiesa e a Messa riescono a stare fermi. Ho visto persone cieche guardare costantemente l’altare come se vedessero molto più in là di ciò che vedevo io, persone sorde ascoltare palesemente con il cuore, persone disabili intellettive, sensoriali e motorie ricevere la comunione col viso trasfigurato di chi ha consapevolezza piena di ciò che sta facendo. Ho visto anziani in preda all’Alzhaimer dimenticare tutto tranne le preghiere, che recitano non come litanie mnemoniche e senza senso, ma con la devozione di chi ha conservato la fede. E quando anche le preghiere scompaiono dalla memoria questi stessi vecchi non smettono di dire “Signore, vieni a prendermi, dammi la mano” sapendo bene ciò che dicono. Al termine della sua vita, mia mamma non riconosceva più né i suoi figli né i suoi fratelli, non sapeva più nemmeno chi fosse lei stessa, ma riconosceva ancora il Signore, lo vedeva e lo chiamava. E a Messa non si distraeva un solo momento. Tutto questo non è vivere la dimensione alta della fede? Chi può sapere che cosa succede nel cuore quando s’incontra profondamente con l’Amore? Forse se lo sapessimo diremmo che sono loro i fortunati, non noi. Opportunamente quindi il Direttorio precisa: "La comunità che sa scoprire la bellezza e la gioia della fede di cui sono capaci questi fratelli diventa più ricca." 

Continuando il discorso,

il documento attuale richiama le parole di Papa Francesco ai partecipanti al Convegno del 2016. In quell’occasione il Santo Padre dichiarava che "alla Chiesa è richiesta una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime, e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive." Nella stessa occasione affermava: "Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del corpo ecclesiale." Queste parole sono tra l’altro un’eco di ciò che si diceva nel 2004 nel già citato fascicolo dell’UCN: la persona con disabilità non è solo destinataria, ma anche protagonista dell’evangelizzazione e per questo va pienamente coinvolta nei contesti educativi parrocchiali. Si tratta del concetto di missionarietà comune a tutti i cristiani: è una scelta esplicitata più volte nel Direttorio e declinata persino nei titoli, che non dicono più “catechesi per”, ma “catechesi con”; nel nostro caso “Catechesi con le persone con disabilità”. Non è una scelta di poco conto, perché riconosce la corrispondenza biunivoca dell’evangelizzazione, diritto e dovere di ogni cristiano: mentre evangelizzo sono evangelizzata. La persona disabile è evangelizzatrice a tutti gli effetti. Ma se questa indicazione ci è stata data sedici anni fa, perché suona così nuova alle nostre orecchie? La risposta, metaforica e reale, è evidente: questa volta, pescando nel sacco del tesoro, ci siamo trovati tra le mani qualcosa che non è nuovo, ma che è stato usato così poco da sembrare nuovo. Il concetto in sé è chiaro e bello, ma la sua realizzazione è per ora poco diffusa, soprattutto quando si tratta di assegnare alle persone con disabilità dei veri e propri incarichi all’interno della comunità. “E d’altra parte come si fa?” dicono i parroci preoccupati “come si fa a dare dei compiti di responsabilità a questi ragazzi e adulti? Bisognerebbe sorvegliarli e io ho già tanti bambini e pochi aiuti.” Sembra non ci sia nulla da eccepire di fronte a una simile, giustificata preoccupazione... 
Eppure tanti di noi hanno visto fiorire, in non pochi  territori parrocchiali, delle belle esperienze che ci fanno dire: "Si può, è possibile". Ci sono ad esempio ragazzini con autismo o con disabilità sensoriali anche gravi diventati animatori negli oratori estivi, ragazzi con sindrome di down impegnati nel servizio liturgico, persone con disabilità motorie  accolte nel volontariato come sacrestane o aiuto barista... Avevo un cugino disabile intellettivo che veniva a prendermi a scuola e mi portava la cartella, ma soprattutto apriva  chiudeva il portone della chiesa per far uscire ed entrare processioni, funerali e matrimoni; nessuno si sarebbe sognato di portargli via il suo compito e neppure di sposarsi senza di lui; quando venne ricoverato sentii mia nonna dire: "Mi dispiace morire, perché non ci sarà l'Umberto ad aprirmi il portone della chiesa" e lo diceva con serietà e rispetto.   In questo modo il ragazzo si sentiva confermato nel suo ruolo e nell'appartenenza alla comunità e noi imparavamo che si poteva essere diversi senza per questo finire incasellati in improbabili  scale di valori. In questo stesso blog si trova il racconto più attuale di una di queste esperienze: è in un post intitolato Una bella sfida! Queste e altre storie danno ragione anche alle parole del Direttorio e dei documenti magisteriali precedenti: le persone con disabilità sono un’opportunità di crescita per la comunità ecclesiale. E' questione di crederci e di essere creativi. 
Ma perché è così difficile arrivare a questi risultati? Eppure la Chiesa raccomanda l’accoglienza alle persone disabili almeno fin dal Documento di base (ai nn. 125-127), cioè dal 1970. A questo proposito, il Direttorio di quest’anno tenta una spiegazione al n. 70: "La disabilità (…) mette in evidenza la difficoltà ad accogliere la diversità; può suscitare paura (…), perché è un riferimento alla radicale situazione di fragilità di ognuno…" Tutti conosciamo bene queste difficoltà e queste paure: è proprio della natura umana rifuggire da ciò che viene percepito come deficit e dolore; ma è proprio della natura cristiana andare incontro alle situazioni difficili e sofferte per condividere e aiutare. Appassionarsi e spendersi per i bisogni dei fratelli è qualcosa che va contro l’immediato sentire umano, ma si accorda con quel sentire che è proprio dell’umano autentico perché redento. Ecco allora una realtà così vecchia e usurata da dover essere gettata via senza esitazioni: si tratta dei pregiudizi, di cui parlava nel ‘99 la nota CEI che abbiamo citato, e ai quali accenna il documento che stiamo esaminando.

Buttare i pregiudizi in pattumiera

rende auspicabile anche, sempre secondo il Direttorio, che "le persone disabili diventino catechiste e, con la loro testimonianza, trasmettano la fede in modo efficace." È una strada che si può percorrere: durante i miei incontri in diocesi per la formazione degli educatori ho incontrato catechiste in carrozzina e aiuto catechiste con sindrome di Down. E in effetti, esiste qualcosa che può testimoniare e quindi insegnare per attrazione una fede vera e provata, più della serenità di una persona privata dei beni che la maggioranza di noi ritiene fondamentali per una vita pienamente realizzata?

Concludendo,

il nuovo Direttorio è davvero un tesoro per noi, almeno a quattro livelli: ribadisce i valori offerti al popolo di Dio fin dai tempi del Concilio e continuamente riproposti nel corso degli anni; rinnova con degli approfondimenti e ampliamenti il patrimonio della Chiesa sulla disabilità, scartando ciò che appare superato; indica ancora una volta ciò che deve essere buttato nella spazzatura; offre elementi di novità. Ovviamente il percorso della Chiesa non si ferma qui, ma chiede di continuare con noi.

Oltre a mettere in pratica

ciò che ci viene chiesto, siamo infatti chiamati a scoprire e sperimentare strade nuove: nel campo di una didattica della catechesi sempre più mirata ai bisogni dei bambini disabili, ma nel contempo rivolta a tutti i loro compagni, ad esempio; oppure nello studio di una pedagogia dell’inclusione tendente a costruire personalità resilienti nella fede e capaci di rispettare i tempi di tutti; o ancora nell’impegno a creare percorsi di rete tra le componenti della comunità cristiana e civile, che sosterranno e arricchiranno il lavoro delle catechiste; o da ultimo nel continuare a sensibilizzare coloro che ci stanno intorno, non soltanto per sgretolare gli sguardi pietistici, assistenzialisti e paternalistici, ma anche per plasmare rapporti contemplativi e paritari, liberi e colmi di ammirazione da ambo le parti, rapporti capaci di mostrare le tante disabilità che accompagnano tutti noi, spesso più devastanti delle stesse malattie fisiche e mentali (ad esempio le carenze relazionali, la mancanza di speranza, l’egoismo pago di sé…). Si tratta di punti programmatici già assunti e positivamente sperimentati in alcune diocesi, che chiedono di andare avanti e di essere potenziati.

Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane 

ha detto il Papa durante il convegno del 2016: i nostri amici disabili con la loro fede rendono onore a queste parole; essi sono figli prediletti e testimoni di eccellenza, amati e amanti dell’unico Dio, nostri fratelli a tutti gli effetti. Se la comunità cristiana si dimenticasse di loro, finirebbe col dimenticarsi del Padre e rischierebbe con il tempo di allontanarlo dalla propria storia. 

Mariarosa Tettamanti 



[1]CEI, L’iniziazione Cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte, 2004, n. 3.
[2] Quanto ai metodi didattici e ai riferimenti psico-pedagogici, sembra promettente guardare all’intelligenza multipla dei bambini (Gardner), alla “pedagogia della lumaca”, intrecciata con la pedagogia dell’inclusione e della resilienza, e alla didattica dei mediatori (Damiano) con un forte e continuo coinvolgimento sensoriale: naturalmente il Direttorio non si schiera con nessuna di queste indicazioni, ma i laboratori presentati dalla nostra diocesi vanno in questo senso, oltre ovviamente ad offrire una formazione che tenga conto delle possibilità comunicative legate ad ogni specifica disabilità.