Sul monte è sceso il silenzio. I lamenti delle donne si sono spenti, bloccati sulle labbra da un dolore troppo forte per essere in qualche modo commentato. Anche i soldati hanno chiuso con gli insulti e le sguaiataggini: il loro sensi grezzi sono stati colpiti da qualcosa di sconosciuto, come un’emozione arrivata direttamente dall’infanzia e dalla filastrocca triste di una madre, e così le loro parole si sono fermate. Gli amici guardano da lontano: sono disperati e disorientati e hanno paura, non capiscono e non sanno che cosa fare; uno di loro ha tradito e non l’hanno più visto e poco prima tutti, mentre lui soffriva nell’agonia, si sono addormentati.
Eppure Lui li aveva pregati di restare svegli.
Qualche tentativo per salvarlo l’hanno fatto: gli avevano detto di non scendere in città dove si ammassavano i suoi nemici e Pietro per difenderlo ha perfino tagliato un orecchio a uno di quelli che lo stavano arrestando … Ma lui non ha voluto e si è consegnato nelle mani del potere pur sapendo che l’avrebbero ucciso. Perché?
E perché ora non chiama
una legione di angeli a staccarlo dalla croce? Le domande suonano nel silenzio assordante del cuore e precipitano nel vuoto; il sapore del rimorso è acre e distruttivo, i pensieri pesano e si confondono, conficcati nel legno con gli stessi chiodi che bucano le mani e i piedi del crocifisso … Eppure in fondo all’uragano dell’anima spaventata, un barlume di speranza resiste contro l’evidenza: e se ora, proprio ora, in questo momento, il Padre si decidesse a scendere dal cielo e liberarlo?
Aguzzando lo sguardo, possono vedere che il morente parla con uno dei ladri crocifisso con Lui e poi con la madre e con Giovanni, ma sono troppo lontani per comprendere ciò che dice … Finché improvvisamente un urlo alto e disperato agghiaccia ogni emozione; è una specie di soffio faticoso in cui a malapena si distingue la voce amata del Maestro: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lunghi brividi di paura e di compassione corrono tra i presenti. Gli amici vorrebbero spegnere i sensi, cancellare e dimenticare ciò che hanno appena udito, chiudere gli occhi e ritornare nel cenacolo con Lui, tra i profumi buoni della cena ...
Invece devono ancora guardare e vedere la sua sete
e il piegarsi leggero del volto per rifiutare la spugna imbevuta d’aceto, che un soldato gli porge con poca grazia. Poi un altro grido, diverso dal primo, perché carico di una specie di trionfo: Tutto è compiuto! Un’altra frase incomprensibile (chiederanno a Giovanni di riferire che cosa ha detto) e finalmente, desiderato e temuto, urlato e alto, intriso d’insopportabile sofferenza, inarrestabile, ecco l’ultimo respiro. “È andato” pensano gli amici “nessuno è venuto a liberarlo” e senza una parola scendono lentamente verso la città. Riescono solo a dire come in una cantilena disperante: “È finita, è finita, è davvero tutto finito”.
E nemmeno si fermano
a considerare la meraviglia del centurione e l’intelligenza della fede che in lui sta nascendo e che gli fa dire:
Veramente quest’uomo era il figlio di Dio.
Per loro in questo momento il Cristo non è altro che uno dei tanti crocifissi della storia e l’oscurità che scende sulla Terra è percepita come un’eco della penombra che rinserra il cuore e non fa passare la luce: la sofferenza di Gesù è terminata, ma continua nella loro ed è straziante e senza consolazione.
...Fino al mattino delle risurrezione, quando la croce sarà ombra e salvezza.
N.B. Questo testo, riportato qui con l'autorizzazione dell'editore e scritto dalla stessa autrice del blog, compare nella relazione Per una teologia del dolore. Il dolore dell'uomo è il dolore di Dio? pubblicata in Arcidiocesi di Milano, Servizio per la pastorale liturgica, A servizio dell'Eucaristia, Centro ambrosiano 2019, p. 155 - 157.
Immagine di copertina tratta da Emerging di Cristina Ortiz Cátedra
