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Il racconto dell'adultera


-Sì, lo confesso, sono stata debole e ho peccato, ho peccato contro la legge di Mosè e dei nostri padri. Ho sbagliato come sbagliano le donne dopo anni e anni di maltrattamenti, di obbedienza senza fiatare, di duro lavoro senza mai una soddisfazione, senza un piccolo grazie, senza un gesto di bontà. Ho sbagliato come sbagliano le donne come me, quando nella loro misera vita irrompe un uomo giovane e gentile, bello come il messia che deve arrivare, intraprendente e deciso, ma soprattutto capace di farsi credere innamorato. Ho pensato che finalmente Adonai si fosse ricordato anche di me e mi avesse mandato uno dei suoi angeli o forse lo stesso messia, a riscattarmi da anni e anni di sofferenza.

Invece sono finita 

nel cortile del tempio, tra le mani di uomini bramosi di sangue e desiderosi di condannarmi alla lapidazione. Ho visto chinarsi nella vergogna il viso avvizzito di mio padre, ho visto le lacrime e udito i lamenti di mia madre … Ho pensato ai miei bambini: che ne sarebbe stato di loro, marchiati per sempre come i figli dell’adultera?

Per prima cosa ho visto il mucchio di pietre:

erano lì per me, erano grosse e aguzze, scelte bene dai carnefici. Ho sentito un brivido scuotermi dalla testa ai piedi e ho avvertito la soddisfazione di coloro che mi stavano trascinando per le braccia. Ho pregato in quel momento: ho chiesto ad Adonai che la prima pietra fosse così grossa e scagliata con tanta violenza da uccidermi subito.

Ho chiuso gli occhi 

per un momento e quando li ho riaperti ho visto davanti a me un uomo. Non chiedetemi come fosse, non lo ricordo, o forse è meglio dire che non lo so descrivere: era indiscutibilmente un uomo, ma era anche molto di più; mi guardava e mi amava, non so come né perché, ma mi amava. In quel momento mi amava come non aveva mai amato nessuno, come se fossi l’unica donna della sua vita. Tutto è sparito allora: eravamo soli, il mio sguardo nel suo, il suo sguardo nel mio, e ciò che mi è arrivato chiaro, senza fraintendimenti, è stato un messaggio sorprendente, un messaggio di perdono.

Ho sentito che i miei carnefici lo chiamavano maestro e poi gli hanno chiesto qualcosa che non sono riuscita ad afferrare. Lui si è seduto e si è messo a scrivere con il dito per terra. “Non lasciarmi” l’ho supplicato mentalmente “Guardami ancora! Se mi guardi, posso morire senza paura”. Poi l’ho sentito dire: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. “Ecco, ci siamo, ora incominciano” ho pensato e mi sono rattrappita in attesa del primo colpo.

Invece

ho sentito degli scalpiccii frettolosi e dei brontolii imbarazzati, finché una voce che veniva dai tempi e dalle profondità della creazione mi ha detto: “Donna, dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. E c’era perfino del divertimento in quella voce, come la risata chiara di un bambino o il frullo d’ali di un passero che vola via dalla gabbia che lo imprigionava. Ho guardato: non c’era più nessuno nel cortile del tempio, così ho detto: “Nessuno … Adonai”. L’ho chiamato così, perché ormai sapevo chi fosse. “Neanch’io ti condanno, va’ in pace e non peccare più” mi ha detto e mi ha lasciata lì, con una gioia indicibile nel cuore: sapevo che ora mi aspettava finalmente la mia vera vita.

Mariarosa Tettamanti

E' suggestiva questa  interpretazione del mosaicista Rupnik, che mostra la mano sinistra di Gesù appoggiata sulle pietre, quasi a fermarle, e gli occhi della donna resi grandi come quelli del Maestro perché ormai consapevoli di contemplare la misericordia di Dio; sul suo viso si mescolano il dispiacere per ciò che ha commesso e un'attonita dolcezza per ciò che ha ricevuto, mentre manifesta con la posizione delle mani la sua disposizione al cambiamento: "Dimmi ciò che devo fare e lo farò."
 immagini tratte dai mosaici di Rupnik