Percorso educativo/didattico di alfabetizzazione emozionale per bambini della scuola dell'infanzia e dell'età scolare
Il presente lavoro è frutto di anni di studio e di impegno come formatrice e insegnante nella scuola primaria e come catechista e formatrice nella catechesi dell’iniziazione cristiana e nell’oratorio. Non ha la pretesa di rivolgersi a un pubblico di studiosi né di aggiungere qualcosa di nuovo a quanto scoperto e presente in letteratura, ma vuole essere una sintesi il più possibile semplice, per sostenere il lavoro di colleghe ed educatori. Per questo alle note teoriche segue la proposta di un percorso di tipo laboratoriale, che può essere attuato, con le opportune modifiche, sia nella scuola dell’infanzia e primaria, sia all’oratorio con i ragazzi dell’età scolare. Alcune parti del percorso si sono dimostrate particolarmente utili ai bambini con disabilità cognitiva o autismo, quando gli stessi presentavano difficoltà nel riconoscimento e nella gestione delle emozioni proprie e altrui. Allegate al file si trovano delle slide adatte ad attività di formazione per insegnanti, che riportano sinteticamente il discorso.
Premessa: giustificazione del discorso
Perché è importante educare i bambini a gestire le proprie emozioni? Essenzialmente per tre motivi:
- l’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di gestire le emozioni proprie e altrui;
- la carenza di empatia, cioè della capacità di riconoscere e comprendere le emozioni altrui, è all’origine di molti comportamenti problematici (vedi a questo proposito, Grant, Lonergan, Goleman, Augère Bouchard, Bissi …);
- il controllo emotivo è essenziale per lo sviluppo dell’attenzione, della concentrazione e della creatività (un bambino agitato, in ansia o addolorato è un bambino distratto e svogliato).
Incominciamo da Darwin
Che cosa sono le emozioni? Secondo Darwin, sono attività relazionali, che consistono nello stabilire, conservare o interrompere un’interazione con l’esterno o con degli oggetti significativi per il soggetto. Con una felice espressione, le chiama “veicolo pubblico di attività private”, in quanto provocano negli altri un processo di decodifica, di riconoscimento e di comportamento empatico di ciò che il soggetto prova; comunicano inoltre richieste ed intenzioni, influenzando il comportamento altrui. Sono “abitudini utili” per l’essere umano grazie al loro valore comunicativo. [1]
Le espressioni emozionali vengono considerate dal teorico evoluzionista innate e universali. Numerose ricerche da lui condotte in tutto il mondo confermano la teoria dell’universalità, almeno riguardo le emozioni fondamentali: dovunque nel mondo gli uomini si arrabbiano, gioiscono, provano dolore e disgusto, si spaventano. Alcuni autori portano in seguito molti esempi a sostegno del fatto che le emozioni sono innate. E. Eibesfeldt , in particolare, offre come testimonianza l’esperienza dei bambini ciechi dalla nascita, i quali, pur non avendo mai visto un’espressione di disgusto o di gioia sul volto di altre persone, si accigliano e sorridono esattamente come i bambini vedenti. Da ultimo, si deve a Darwin il merito di aver intuito quanto sia importante e utile osservare e interpretare le espressioni facciali per un corretto riconoscimento delle emozioni.
Una definizione più completa di emozione
Secondo il Reisenzen un’emozione è una sindrome reattiva multidimensionale nella quale è possibile rilevare alcuni elementi costitutivi e una componente esperienziale soggettiva di vissuto cosciente, componente quest’ultima intenzionale e attenta, perché le emozioni mobilitano sempre l’attenzione sulle informazioni. Gli elementi costitutivi di un’emozione sono alcune risposte fisiologiche (rossore, pallore, tremore, ecc …), tonico/posturali (rilassamento o tensione del corpo), motorie espressive (mimica facciale, gesti, vocalizzazioni) e motorie strumentali (mordere, colpire, scappare…). Esse hanno le caratteristiche dell’immediatezza, dell’istintività e dell’incontrollabilità immediata.
La mappa mostra che cosa sono le emozioni (sindromi reattive), da che cosa sono scatenate (situazioni attivanti, percepite e valutate intuitivamente), da che cosa sono costituite (da una componente esperienziale intenzionale e attenta e da alcune risposte fisiologiche, tonico posturali, motorie strumentali ed espressive). La valutazione intuitiva è direttamente collegata alla disposizione all’azione, che si esplica nelle risposte strumentali. A livello di queste risposte, come vedremo, potrà situarsi l’apprendimento a gestire in maniera efficace alcune emozioni.
Emozioni primarie ed emozioni complesse
Tutti gli studiosi riconoscono la distinzione tra emozioni primarie o fondamentali ed emozioni complesse o miste. Si dicono emozioni primarie quelle che si esprimono attraverso una mimica facciale universale (cioè, come abbiamo visto, identica in diverse culture e tempi), spontanea (cioè non controllata coscientemente dall’individuo) e innata, mentre le emozioni complesse sono in realtà delle configurazioni emotive, cioè dei miscugli, delle combinazioni, formate da due o più emozioni primarie: l’ansia, ad esempio, ha in sé la paura come emozione primaria e la tristezza, la collera, la vergogna o il senso di colpa come variabili.[2]
Tutti gli autori sono inoltre d’accordo nel definire emozioni primarie o fondamentali la paura, la collera, la gioia e la tristezza e vi è un’alta concordanza tra i ricercatori nell’aggiungere all’elenco la sorpresa, il disgusto e l’interesse.
Vediamo ad una ad una, precedute da un esempio, le prime quattro emozioni primarie.
- La paura.
Salvatore e Rosaria sono dai nonni quando si scatena un furioso temporale. I due bambini hanno paura, ma, mentre Salvatore corre gridando a rifugiarsi tra le braccia della zia, Rosaria si blocca in salotto: non riesce più a muoversi, sembra paralizzata, è pallida e sudata, trema, ha gli occhi e la bocca spalancati ma non riesce a dire nulla...
La paura è una sindrome reattiva alla percezione di un pericolo. Le risposte fisiologiche più comuni a questa percezione possono essere rossore, pallore, sudorazione intensa, tremito, batticuore; la risposta posturale è in genere la tensione; le risposte motorie strumentali sono la fuga o la paralisi; le risposte espressive sono infine la mimica facciale (bocca e occhi spalancati), le grida e i gesti di allontanamento.
- La collera.
A scuola Rino inavvertitamente dà uno spintone a Mirko e subito scoppia la rissa. I due bambini se le danno di santa ragione e sono molto arrabbiati. Rino è paonazzo, Mirko è pallido; entrambi digrignano i denti e tremano visibilmente...
La collera reagisce alla frustrazione causata da un attacco vero o presunto. La risposta posturale è la tensione; le risposte espressive sono il rossore, il pallore e la mimica facciale; le risposte fisiologiche sono il batticuore e il tremito; le risposte motorie strumentali comprendono una gestualità violenta e il combattimento. - La tristezza.
Oggi Maria ha avuto un brutto voto ed è molto addolorata. Sta raggomitolata nel banco, con lo sguardo triste e lacrimoso e le labbra tremanti.
La tristezza reagisce alle esperienze dolorose, vissute come dolore specifico o malinconia diffusa. Le risposte espressive nella mimica facciale sono lo sguardo mesto e gli angoli della bocca piegati all’in giù; la risposta posturale è il ripiegamento; a volte la tristezza è accompagnata dal pianto. - La felicità.
I gemelli Remo e Romolo hanno ricevuto in regalo la bicicletta che desideravano tanto. Ora ridono e saltano per la felicità, si abbracciano, abbracciano i genitori e non finiscono più di ringraziarli.
La felicità è una reazione alle esperienze positive vissute come appagamento e fonte di benessere. Le più comuni risposte sono il sorriso, il riso e il rilassamento motorio.
All’interno delle strutture emotive complesse, ogni emozione primaria rimane riconoscibile, pur perdendo la propria identità: ad esempio, in certe forme d’ansia la paura è riconoscibile anche se assume coloriture diverse.
Come si rilevano le emozioni
Per rilevare le emozioni il metodo tradizionale si basa soprattutto sui segnali non verbali, dato che gli stati emotivi si manifestano nel comportamento anche inconsapevolmente: si tratta quindi di studiare le espressioni mimiche, vocali, gestuali e posturali, che risultano più immediate e rapide della parola che tenta di descrivere gli stati d’animo vissuti. A questo proposito, il volto, nelle sue due aree (inferiore e superiore, rispettivamente comprendenti bocca/naso e occhi/sopracciglia/fronte), è considerato l’elemento principale, ossia il più specializzato, per individuare una specifica emozione, mentre i gesti, i movimenti del corpo e la postura forniscono soprattutto informazioni sull’intensità dell’emozione stessa. Ad esempio, come afferma Bull, le spalle cascanti indicano afflizione, la postura accasciata tristezza e la postura eretta euforia.
Un ruolo privilegiato è assunto dalla voce e da vari tipi di gesti, tra cui quelli illustratori, che accompagnano l’espressione verbale, e quelli indicatori dello stato emotivo, che esprimono le reazioni emozionali. Inutile dire che per gli educatori è di fondamentale importanza comprendere le emozioni che vivono i bambini a loro affidati.
Funzioni delle emozioni
Lo studioso Scherer[3] (1984) afferma che la natura delle emozioni è funzionale, cioè ha ruoli e compiti precisi. Molteplici sono le funzioni delle emozioni individuate dagli studiosi.
Plutchik ad esempio ne ha individuate otto di natura adattiva, mentre la concezione evoluzionistica, la psicanalisi e il cognitivismo, alla funzione adattiva, che serve a riequilibrare una determinata situazione (ad esempio la manifestazione della collera può ripristinare l’equilibrio rotto da un torto subito), aggiungono la funzione informativa/comunicativa, intra o inter soggettiva, che segnala lo stato emotivo a se stesso e agli altri (ad esempio la tensione muscolare segnala la collera, il rossore la vergogna e il sudore il disagio) e prima ancora la funzione rappresentativa, che connota un’esperienza come vissuto emotivo. Un’altra funzione delle emozioni è quella valutativa, che permette di leggere e valutare gli stimoli provenienti dall’esterno o dall’interno del proprio essere, dichiarando gli eventi come desiderabili o, al contrario, indesiderabili.
Un esempio.
Devo sostenere un esame e questo fatto mi emoziona, mi fa sentire in ansia, mi mette nell’incertezza: mi rendo conto quindi di non essere di fronte a un vissuto meramente fattuale, che mi lascia indifferente, ma a un vissuto emotivo (funzione rappresentativa); l’emozione che provo mi dice che ciò che devo affrontare non è piacevole (funzione valutativa) e che non sono preparata a sufficienza (funzione informativa); decido quindi di rimandare la prova, oppure di prepararmi meglio, o ancora di superare l’ansia e presentarmi all’esame (funzione adattiva).
Quindi i passaggi sono quattro: grazie ad un’emozione, capisco che questo fatto mi riguarda, capisco se mi è gradito o sgradito, capisco perché mi riguarda, capisco infine che devo fare qualcosa e lo faccio.
A proposito di funzioni delle emozioni, Plutchik mostra degli esempi in una tabella; ne riprendo alcuni:

La funzione relazionale delle emozioni
Discorso a parte merita la funzione relazionale delle emozioni, presa in considerazione ad esempio da Frijda. Secondo questo studioso, le emozioni sono modalità di disposizione all’azione di relazione, sia sotto forma di tendenze a stabilire, mantenere o rompere una relazione con l’ambiente sociale, sia sotto forma di modalità di preparazione relazionale in quanto tale. Il fatto che parli di “disposizione” significa che non sempre l’emozione si traduce in azione. Frijda arriva a dire che anche l’apprendimento è guidato dalle emozioni con cui gli insegnanti e gli educatori colorano azioni e messaggi.
Necessaria per l’avvio e la crescita delle competenze relazionali è l’empatia. La comprensione empatica è infatti la risonanza emotiva grazie alla quale un bambino è in grado di provare ciò che provano gli altri, mettendo in relazione identità e alterità: è, potremmo dire in sintesi, la capacità di intercettare gli stati d’animo e le emozioni altrui.
Questo tipo di abilità è già presente nel bambino molto piccolo, come hanno confermato gli studi, condotti verso la metà degli anni ’90, dallo scienziato Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma e dai suoi collaboratori: essi hanno scoperto l’esistenza dei cosiddetti neuroni a specchio (o mirror neurons), che si attivano sia quando il soggetto compie un’azione, sia quando la vede compiere da un altro, permettendogli pertanto di riconoscerla in un certo qual modo come propria e anche di imitarla. Il legame empatico quindi ha la sua origine a livello neurofisiologico: è un sistema di scambi tra neuroni che costituisce il presupposto biologico del comportamento altruistico.[1] Connessa con la comprensione empatica c'è infatti la capacità di consolare e proteggere chi soffre, presente nei bambini già prima dei 18 mesi.
[1] Vedi F.F.
Kannheiser, Dimensione psico pedagogica della
religiosità del bambino, in AA. VV. Iniziazione
cristiana per i nativi digitali, Ed. Paoline 2012, pp. 74-75.
Le emozioni si danno la mano
Plutchik ha evidenziato la diversa intensità presente in alcune emozioni. Ad esempio l’apprensione può diventare paura e la paura terrore, la serenità può diventare gioia e la gioia estasi, la preoccupazione tristezza e la tristezza angoscia …
Egli ha inoltre studiato il rapporto fra le emozioni primarie e la formazione degli stati emotivi complessi. Famoso è il suo “fiore”, nel quale ha inserito, tra un petalo e l’altro, le diadi primarie: ad esempio la gioia unita alla fiducia crea l’amore, la fiducia insieme alla paura porta alla sottomissione e così via.
La conoscenza delle situazioni attivanti
Anche la conoscenza delle situazioni attivanti conosce un processo graduale di apprendimento esperienziale. Sintetizzo e inserisco in una tabella questo percorso di conoscenza riferito ai bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria.
Controllabilità, regolabilità e socializzazione delle emozioni
Come abbiamo detto, le emozioni sono evocate da eventi che il soggetto ritiene desiderabili, aversivi o eccitanti, ma non bisogna dimenticare, come ricorda Mary Klennert, che il comportamento infantile è guidato dall’emozione manifestata dall’adulto nei confronti di oggetti o circostanze. L’emozione dell’adulto è infatti un indicatore informativo indispensabile per decodificare e interpretare eventi e oggetti sconosciuti, per regolare interazioni, per comunicare e commentare intenzioni ed esperienze emozionali: le espressioni emotive positive dell’adulto favoriscono l’esplorazione dell’ambiente da parte del bambino e la sua autonomia, a differenza delle espressioni emotive negative.
Vale la pena di ricordare a questo punto la teoria neuro – culturale delle espressioni facciali elaborata da Ekman, in cui il termine “neuro” si riferisce alla relazione innata tra particolari emozioni e l’attivazione di determinati muscoli facciali, a cui lo studioso attribuisce il nome di “programma facciale delle emozioni”; il termine “culturale” fa riferimento invece alle circostanze attivanti l’emozione, alle regole che ne controllano la manifestazione (le “regole di esibizione”: intensificazione, deintensificazione, neutralizzazione e mascheramento) e alle conseguenze che ne derivano, tutti elementi appresi.
Proprio in quanto parzialmente appresa, l’esperienza emozionale non è un processo incontrollabile, come invece lo sono gli istinti e i riflessi, che sono attivati in modo immediato e involontario e regolati da uno svolgimento fisso e determinato. Le emozioni umane sono invece regolabili lungo tre direzioni:
*è talvolta possibile attivare o allontanare lo stimolo attivante l’emozione;
*è possibile regolare le risposte espressive e motorie, modulandole in relazione con l’altro e sulla base della situazione sociale di riferimento, per mantenere una buona immagine di sé di fronte a se stessi e agli altri;
*è possibile individuare le condizioni o gli eventi idonei ad attivare, porre fine o modificare intenzionalmente lo stato emotivo di altre persone.
*è talvolta possibile attivare o allontanare lo stimolo attivante l’emozione;
*è possibile regolare le risposte espressive e motorie, modulandole in relazione con l’altro e sulla base della situazione sociale di riferimento, per mantenere una buona immagine di sé di fronte a se stessi e agli altri;
*è possibile individuare le condizioni o gli eventi idonei ad attivare, porre fine o modificare intenzionalmente lo stato emotivo di altre persone.
L’apprendimento a regolare le emozioni avviene attraverso un processo di socializzazione, mediante il quale il bambino impara e assimila interiormente le regole e gli standard espressivi dei membri del proprio gruppo di appartenenza. Egli apprende in questo modo una condotta emotiva socialmente appropriata, acquisendo delle vere e proprie competenze emozionali.
Scopo dell’alfabetizzazione emotiva è pertanto fornire al bambino delle modalità per affrontare gli stimoli e le situazioni ambientali che attivano le emozioni e insegnargli nel contempo a manipolare e modulare i suoi stati emozionali, misurandoli con la propria rete di relazioni e con la realtà sociale. La regolazione delle condotte emotive, influenzata dalle pratiche di socializzazione e di allevamento, che associano esperienze emozionali e aspettative sociali, conduce a un buon funzionamento personale, al benessere psichico e ad un alto e soddisfacente livello di appartenenza sociale. Viceversa, l’incapacità a mantenere il controllo dell’emotività può provocare comportamenti non accettabili nella società di appartenenza. Per questo le emozioni devono essere soggette a regolazione anche nelle situazioni più comuni della vita familiare quotidiana e nei gruppi amicali.
Daniel Goleman: l’intelligenza emotiva
Lo psicologo americano Daniel Goleman, a partire dalla teoria dell’intelligenza multipla di Howard Gardner, amplia gli studi di quest’ultimo sulle abilità interpersonali e intrapsichiche, approfondendo l’aspetto dell’intelligenza emotiva, della quale avevano già scritto, nel 1990, Peter Salovev e John D. Mayer. Per Goleman, l’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere e gestire le emozioni proprie e altrui e di saperle indirizzare nella direzione più favorevole e vantaggiosa.
Questa capacità è composta, secondo Salovey e Goleman, da cinque abilità: la consapevolezza emotiva (cioè la capacità di riconoscere e denominare le emozioni);
il controllo emotivo (cioè la capacità di manipolare e modulare gli stati emotivi in base al contesto di riferimento);
la motivazione (cioè la capacità di scoprire il vero e profondo motivo delle proprie azioni);
l’empatia (cioè la capacità di sentire gli altri entrando con loro in un flusso di contatto);
le competenze sociali (cioè l'acquisizione di una condotta emotiva socialmente appropriata e degli standard culturali a cui attenersi.)
Lavorare su queste abilità, favorendone lo sviluppo, vuol dire migliorare l’intelligenza emotiva delle persone e di conseguenza favorire il benessere personale.
Alcune strategie per la gestione delle emozioni
Esistono persone che più di altre, per temperamento o tipo di educazione ricevuta, faticano a controllare le loro espressioni emotive. Il discorso vale soprattutto per i bambini, che devono imparare, a casa e a scuola, a gestire le loro emozioni.
Dopo aver affermato che la rimozione delle emozioni non funziona e che occorre evitare anche le risposte di attacco e di lotta, Daniel Goleman, integrando gli studi di altri esperti come Ekman e Plutchik, propone alcune strategie per affrontare e gestire le emozioni. Ne vediamo alcune: *l’anticipazione (cioè la raffigurazione anticipata della situazione emotigena nelle sue varie fasi);
*la soppressione momentanea (cioè l’allontanamento temporaneo e coscientemente voluto di un pensiero doloroso o di una paura per dedicarsi ad altro);
*il rimando della gratificazione (cioè la capacità di aspettare i risultati delle proprie azioni, superando il desiderio del “tutto e subito”);
*l’attivazione di comportamenti atti a procurare una situazione emotigena piacevole e la ricerca di soddisfazioni parziali.
Vediamo qualche esempio.
1. L’anticipazione. Un bambino deve essere interrogato e, pur essendo preparato, è molto in ansia. Per aiutarlo, la mamma la sera prima precorre con lui ciò che succederà l’indomani: “Arriverai a scuola e incontrerai i tuoi compagni. Tutti saranno in ansia come te e quindi vi farete coraggio a vicenda come fate sempre. Poi arriva la maestra e ti chiama: tu vai alla cattedra e aspetti con calma la domanda. Non hai paura perché ti sei preparato. Arriva la domanda: che cosa potrebbe succedere a questo punto? Magari non capisci bene ciò che ti viene chiesto, ma in questo caso niente paura: la tua maestra è molto gentile e carina, tu le dici che non hai capito bene e lei ti ripete la domanda spiegandotela meglio. Forse a questo punto ti sembra di non conoscere la risposta, ma anche in questo caso non succede niente di male: lo dici alla maestra e lei ti fa un’altra domanda. Se poi prendi un voto non tanto bello, non importa per questa volta: ti preparerai meglio e potrai rimediare.”
È importante in questo caso l’atteggiamento calmo e conciliante della mamma: se l’interrogazione non andrà bene, visto che il bambino ha studiato, non succederà niente di male e lei non sarà delusa. Naturalmente, con le opportune modifiche, un comportamento parentale di questo genere è possibile e auspicabile anche per quei bambini che non riescono a dormire la notte prima della prima confessione o dell’amministrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Questo procedimento diventerà importantissimo se il bambino dovrà recarsi ad esempio dal dentista o subire un intervento chirurgico: “Ti siederai sulla poltrona, io sarò lì con te, aprirai la bocca, il dentista incomincerà il suo lavoro e se tu sentirai male ti basterà alzare la manina e lui si fermerà …” oppure: “Io ti accompagnerò fino alla sala operatoria, lì ti addormenterai e non sentirai niente. Io sarò lì ad aspettare che ti svegli. Forse sentirai un po’ di dolore, ma ti daranno una medicina che te lo farà passare.” Ovviamente bisognerà essere pronti a rispondere a tutte le domande che il bambino vorrà esprimere.
2. La soppressione momentanea, con la creazione di una riga spartiacque e di una zona franca in cui le emozioni negative non potranno entrare.
Una bambina ha perso il papà. Alla mattina arriva a scuola (o all’oratorio) abbattuta e la maestra (o la catechista) le parla: “So che tu sei molto triste e ti capisco tanto tanto. Se vuoi piangere, mi fermo qui un po’ con te.” Dopo che la bimba si è sfogata la maestra (o la catechista) avanza una proposta: “Vedi questo nastro adesivo che ho messo sulla soglia della nostra sala? Ora io ti darò la mano, tu penserai al tuo dolore e gli dirai di andarsene per un po’, anzi lo mettiamo nelle mani di Gesù, che lo terrà lì e non gli permetterà di farti male: che cosa ne dici? Poi insieme faremo un saltello e passeremo al di là del nastro, lasciando il dolore da questa parte. Sei pronta?Uno, due, tre… via! ” Questo piccolo rito solitamente funziona e i bambini almeno per un po’ riescono a dedicarsi alle attività proposte. A volte hanno bisogno di uscire e rifare il gesto “propiziatorio”, ma poi tornano un po’ rasserenati.
3. Il rimando della gratificazione, l’attivazione di comportamenti atti a procurare una situazione emotigena piacevole e la ricerca di soddisfazioni parziali. Miriam a scuola ha ricevuto un bel 10 ed è felice. Vorrebbe subito averne un altro e chiede all'insegnante di essere di nuovo interrogata. La maestra però le spiega che ora deve valutare i suoi compagni: Miriam dovrà aspettare almeno una settimana; in compenso potrà studiare ancora di più e cercare di avere la lode. La bambina allora accetta di rimandare l'interrogazione e continua ad essere felice per il suo 10. Anzi, la sua gioia aumenta nell'attesa di un'altra bella esperienza.
Com’è evidente, la caratteristica di queste strategie è l’integrazione dell’emotività con la razionalità. Vediamo ora un percorso di tipo laboratoriale per imparare con i bambini a gestire le emozioni.
Laboratorio
Suggerimenti e materiale per un percorso di tipo laboratoriale di alfabetizzazione emozionale a scuola (o all’oratorio), anche e soprattutto con la presenza di bambini con disabilità.
N.B. Alcune attività sono possibili solo a scuola, altre anche all'oratorio.
1. Sviluppo dell’autoconsapevolezza emotiva
Procedure
- a) Identificazione e denominazione delle emozioni, a partire dalle situazioni attivanti;
- b) descrizione delle emozioni a livello verbale e non verbale;
- c) conoscenza delle proprie emozioni e dei propri punti di forza e di debolezza emotiva.
a) Riconoscimento e denominazione delle quattro (o sette) emozioni fondamentali (collera, paura, tristezza, felicità, più eventualmente sorpresa, interesse e disgusto) e/o altre complesse (preoccupazione, confusione, vergogna, empatia, ecc …), a seconda del vissuto dei bambini e dei loro bisogni formativi.
- Conversazione clinica sulle situazioni attivanti le emozioni (Io mi sento triste quando … mi sento in collera quando … e così via. Aiutare con domande).
- Giochi di riconoscimento (la maestra o la catechista esprimono le emozioni col viso e con il corpo, i bambini indovinano).
- Mi faccio i selfies (auto fotografie che mostrano determinate emozioni da incollare su un cartellone e/o sul quaderno).
- Gioco delle “belle statuine” gioiose, paurose, o arrabbiate, tristi…
- Costruzione e uso ludico di maschere o palette, con l'utilizzo degli emoticon. (Esempio: L’insegnante dice: “Tutti siamo in collera”: i bambini alzano la maschera della collera …

- Uso delle palette con le storie.
L’educatore racconta una storia in cui si parla di determinate emozioni: i bambini alzano le palette nel momento in cui l’emozione corrispondente viene nominata. - Racconto esemplificativo: Maria sta andando a fare la spesa quando improvvisamente si trova davanti un grosso cane: che paura! … Mentre è lì sola e spaventata sente una risata cattiva: è Gianni, il suo peggior nemico! È lui il padrone del cane e la sta prendendo in giro! Maria non ci vede più dalla rabbia e si scaglia contro Gianni. Vorrebbe picchiarlo, ma Gianni è più forte di lei e riesce a farle male. Poi se ne va ridacchiando. Maria piange ed è molto triste. Per fortuna passa di lì Luca, che consola Maria e rimprovera aspramente Gianni. Ora Maria è felice.
Verifica formativa parziale, per rendersi conto del livello di conoscenza delle emozioni raggiunto da ciascun bambino.
b) Descrizione delle emozioni a livello verbale e non verbale.
- Costruzione di un “vocabolario delle emozioni”, a schede, riportante il disegno dell'espressione del volto, un colore e un simbolo associati all'emozione in esame; una fotografia dei movimenti del corpo in preda all'emozione stessa; la definizione dell'emozione, i suoi sinonimi, contrari e altre precisazioni lessicali. Di seguito, un esempio di scheda fronte retro sulla paura, costruita con i bambini.
N.B. É molto importante l'esercizio sui sinonimi, per far scoprire ai bambini le diverse sfumature contenute nelle emozioni: c'è differenza tra paura e spavento, paura e timore, paura e terrore. É utile far rappresentare queste diverse tonalità di sentimenti attraverso la mimica facciale.
c) Conoscenza delle proprie emozioni e dei propri punti di forza e di debolezza emotiva.
- Appello emozionale (per venti giorni i bambini all’appello rispondono alzando la paletta che corrisponde all’emozione vissuta in quel momento e cercano di spiegare il perché dell’emozione provata; l’insegnante segna le risposte e, al termine dei venti giorni, commenta con ogni bambino gli stati d’animo provati e individua le eventuali situazioni problematiche da trattare con particolare attenzione).
- Costruzione e uso dell’orologio delle emozioni (all’arrivo a scuola il bambino posiziona la lancetta sull’emozione che prova; nel corso della giornata può cambiare la posizione se l’emozione cambia; se un bambino costantemente segnala emozioni negative, come rabbia o tristezza, l’insegnante ne parla con lui cercando di capirne le motivazioni).

2. Controllo emotivo
Strategie immaginative e simulative
- Per la tristezza:- gioco libero con funzione di soppressione momentanea;- apprendimento del gesto dello spartiacque.
- Per la paura: simulazione dell’anticipazione.
- Per la felicità: conversazioni con esempi portati dall’educatore per comprendere l’importanza di saper attendere le gratificazioni al termine di un impegno.
- Per la colleraConsegna “ragionata” delle regole della collera:Arrabbiarsi è naturale, però non si deve…- fare del male agli altri- fare del male a sé stessi
- rovinare le cose.
E allora come facciamo? Discussione e attività.- Prima attività: deviazione. Dopo adeguata discussione, gli alunni immaginano di trovarsi di fronte alla causa della propria rabbia, la “mettono” in un pallone e lanciano quest’ultimo, con forza, contro una parete.- Seconda attività: regolamentazione. Lotta regolamentata (i bambini lottano in coppia, in ginocchio su materassini morbidi: perde chi per primo tocca terra con le spalle; naturalmente non sono permessi gesti violenti, come pugni, calci, schiaffi e nemmeno parolacce o gestacci). - Per tutte le emozioni
Gioco del "Quando ... e allora" (Io ho paura quando ... e allora ... Io mi arrabbio quando ... e allora, ecc... Ad esempio: Io ho paura quando mi ammalo e allora prendo tutte le medicine che mi dà la mamma).
3. Scoperta della motivazione
Strategia
- Dialogo individuale su riflessioni guidate: perché? (Perché ho questa paura? Perché mi arrabbio sempre con questa persona? Perché questa situazione mi rende sempre così triste? Perché sono così felice soltanto quando … ? ).
4. Sviluppo dell'empatia
Procedure
- a) Capacità di leggere le espressioni facciali degli altri.
- Ricerca di immagini su riviste illustrate (volti allegri, tristi, arrabbiati, spaventati …), classificazione e cartellone.
- b) Capacità di ascolto.
- Gioco di ascolto e immaginazione
- Personaggi: quattro adulti, di cui un ascoltatore/guida e tre narratori.
- Consegna per i narratori: raccontare con entusiasmo all'ascoltatore/guida un'emozione bella vissuta negli ultimi due mesi.
- Consegna per l'ascoltatore/guida: la prima volta, interrompere continuamente l'interlocutore per rispondere con disprezzo a ciò che dice; la seconda volta interrompere spesso per raccontare una propria esperienza; la terza volta, ascoltare profondamente, mettersi dichiaratamente nei panni del narratore, complimentarsi per la bella emozione vissuta e ringraziare per la confidenza e la fiducia.
- Alla fine, chiedere ai bambini chi ha saputo ascoltare bene e impostare una conversazione sul valore e la necessità dell'ascolto.
5. Acquisizione di competenze sociali a livello emotivo
Procedure
a) Comunicazione efficace dei propri sentimenti e delle proprie richieste. Cassetta dei problemi e circle time. (Trovi la spiegazione in Arcidiocesi di Milano, Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi, Centro ambrosiano, Milano 2017, pp. 144-149).
b) Distinzione tra le azioni degli altri e le proprie reazioni e giudizi. Lavori con le storie (Vedi ad esempio la storia di Lia in Arcidiocesi di Milano, op. cit. pp. 182-184)
c) Resistenza alle influenze negative.
Drammatizzazioni (vedi in questo blog il post intitolato Noi e i grandi)
c) Resistenza alle influenze negative.
Drammatizzazioni (vedi in questo blog il post intitolato Noi e i grandi)
6. Riflessione meta–cognitiva finale attraverso la ripresa dei lavori svolti
Procedure
- a) Che cosa abbiamo fatto
- b) Che cosa abbiamo imparato
Discussione e schema
L’emozione: che cos’è, che cosa provoca, che cosa la mette in moto, come riconoscerla, come affrontarla (modi adeguati, modi inadeguati).
7.Verifica formativa finale, per riflettere e discutere insieme.
Gioco a risposta multipla
[1] L. Anolli, R. Ciceri, La voce delle emozioni, Franco Angeli editore, Milano 1992, p. 157.
[2] L’esempio si trova in V. d’Urso, R. Trentin, Psicologia delle emozioni, Il Mulino, Bologna 1988, p. 126.
[3] G. Petracchi, Affettività e scuola, La Scuola, Brescia 1993, p. 72.
Immagine di copertina di Keith Haring. Immagini nel testo tratte da Dentro al muro. Una storia di paura di Elena T. (per la paura), da Stato d’animo di Erica de Lazzari (per la collera), da Laughing Bloom di Yume Yume (per la felicità), da Faces di Aneed Abu Irshaid (per la tristezza), da Surprise di Michelle Pessoa (per la sorpresa), da BW Portraits di Ennio Lettera (per l'interesse).