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Come lo Spirito trasfigura il malato e il ministro


Invito alla riflessione per scoprire le virtù che rendono bella la persona del MISCE. 
Premessa 
Parliamo della dimensione personale del ministro straordinario dell’Eucaristia, ponendo l’accento sul suo vissuto spirituale, vissuto che si traduce in una vita moralmente connotata, sul cui percorso fioriscono le virtù cristiane. Il taglio di questa conversazione è quindi di tipo esperienziale; in particolare vorrei parlare di come lo Spirito, attraverso l’esercizio delle virtù, trasfigura l’umano del MISCE e anche dei poveri (poveri di salute, ricchi di anni) a cui porta l’Eucaristia. E questa trasfigurazione altro non è che la conformazione a Cristo.
In altre parole, ci troviamo nell’ambito della spiritualità di un cristiano il quale, poiché comprende e gioisce per il dono dell’Eucaristia, si fa tramite, a nome della comunità, della visita di Dio ai suoi poveri: porta Dio ai poveri e i poveri nella Chiesa della quale continuano a far parte. [1] Anche se non dimentichiamo che lo Spirito arriva prima di noi e meglio di noi, sappiamo tuttavia che la verità del mandato è garantita e custodita dall’autenticità dell’esperienza spirituale del ministro: ecco perché è opportuno parlare della sua vita spirituale e quindi delle virtù.
Afferma Romano Guardini che la virtù è il filo che ci lega a Dio in un movimento duplice: discendente, cioè da Dio verso di noi, e ascendente, da noi verso Dio; essa percorre l’intera esistenza umana come un accordo che la stringe in unità ed è inoltre una modalità particolare di vivere nel mondo secondo Dio. [2] Questa unità di vita, di cui parla Guardini, è in realtà una trasfigurazione: in Gesù non c’era che l’unità, tutta concentrata nel compiere la volontà del Padre, mentre in noi spesso abita la frammentazione, indotta da una vita frettolosa e complessa, sottoposta a pressioni forti, a richieste di prestazioni elevate.
Ma quali sono le virtù cristiane, o per meglio dire, gli atteggiamenti più fecondi per un ministro straordinario dell’Eucaristia, il quale non è un ministro ordinato, spesso non è nemmeno un consacrato, eppure ha tra le mani i tesori più grandi della Chiesa, cioè il Pane della vita e i poveri? La risposta non può non muoversi dentro l’orizzonte disegnato dalle virtù teologali, perché, come leggiamo nel Catechismo universale, esse ci dispongono a vivere in relazione con la Trinità ed è in esse che si radicano le virtù umane.[3] Senza le virtù teologali non avremmo nemmeno le altre virtù. Per questo oggi ci limiteremo alla fede, alla speranza e alla carità … e aggiungeremo un’altra virtù fondamentale, ma per il momento non dico di quale si tratta.

Le virtù teologali

“Senza la fede, in noi non c’è nulla di divino” scrive il Cardinal Martini in una catechesi quaresimale del ’93 [4] e in effetti la mancanza di fede, lo sappiamo, spalanca nella nostra vita l’abisso spaventoso del non senso. Dal canto suo, il teologo don Giovanni Moioli afferma, in “Temi cristiani maggiori”, che la fede informa tutta l’esistenza del cristiano e quindi non è mai disgiunta dalla vita.[5] Dentro il tessuto dell’esistenza umana fede e vita convivono e si compenetrano. Quanto alla speranza, il cardinal Martini afferma che essa riguarda innanzitutto il momento di non ritorno della morte,[6] momento che molte delle persone a cui portiamo l’Eucaristia si preparano ad affrontare.
Per far crescere queste virtù in noi e nella vita delle persone alle quali portiamo la Comunione eucaristica, occorre ancorarci e ancorare i nostri anziani alla Parola. Naturalmente anche i famigliari degli anziani devono entrare in questa circolarità di Grazia: bisogna gridare anche per loro parole di speranza e di fede, che tocchino il loro cuore, che li stringano al Signore. Con delicatezza chiediamo che partecipino al rito, magari preparando la preghiera dei fedeli, aiutandoci in qualche lettura e così via. (A questo proposito, ci vuole anche un po’ di sano realismo: se la figlia della signora a cui portiamo la comunione è indaffarata ai fornelli, aspetteremo che finisca ciò che sta facendo, oppure la inviteremo con dolcezza a recitare insieme a noi il “Padre nostro”, anche se sta ancora “spadellando”).

Quando usciamo

dalla Celebrazione eucaristica per dirigerci verso le case in cui siamo attesi dai nostri ammalati, noi siamo rivestiti di fede e di speranza: esse sono il Dono che nessuno ci toglierà mai, ricevuto nel giorno del nostro Battesimo, e le abbiamo rinnovate come acqua viva alla fonte dell’Eucaristia appena vissuta, culmine della vita battesimale e quindi teologale.

E ci vorrà l’umiltà, sempre. (Ecco qual era la virtù da accostare alle teologali!) A questo proposito …

Correva l’anno

1984 ed era un tempo difficile per molte parrocchie, perché venivano ritirate le suore, che per lunghissimi tempi avevano servito con fedeltà le comunità parrocchiali. Questo fatto creava sgomento, sconcerto, alcuni rimpianti e perfino un po’ di ansia e di paura. Ebbene, in quell’anno un parroco autorevole, di quelli di una volta, che sapevano sempre che cosa fare (e che cosa far fare), chiamò una ragazza qualunque, le mise in mano un libretto, una teca con due ostie consacrate e le disse “Vai dal Giuan e da sua moglie a portare la comunione. Le preghiere sono sul libretto, ma vedi di impararle in fretta a memoria, perché poi il libretto serve anche a me”. Questa ragazza non aveva nessuna intenzione d’intraprendere questo servizio, non ci aveva mai pensato, non rientrava nei suoi desideri, però non voleva dire di no al suo parroco, anche perché la cosa avrebbe sollevato qualche problema, e così è uscita dalla chiesa un po’ in trance. A un certo punto si è fermata, ha guardato la teca che teneva tra le mani e ha cominciato a tremare, letteralmente, a tremare. E diceva: “Ma che cosa sto facendo?” e avvertiva acutissima una sensazione d’indegnità che la spaventava e nel contempo la riempiva di dolcezza, perché vedeva bene fino a che punto il Signore si stava fidando di lei. Ma davvero Gesù accettava di stare nelle sue mani? Aveva un insopprimibile bisogno di mettersi in ginocchio, ma non poteva, perché stava camminando lungo la strada … Ebbene, questo sentimento la ragazza, che ormai ha un’altra età, lo prova ancora ed è diventato la base su cui il Signore ha costruito la sua umiltà.

Nemica del narcisismo e della superbia, l’umiltà è sorella della carità. Cartesio dice che i più generosi di solito sono anche i più umili, ma prima di lui Sant’Agostino aveva già detto: "Dove c’è umiltà c’è anche carità." 

Mentre camminiamo

 sulle strade che ci conducono nelle case dei nostri ammalati, prepariamoci all’incontro con la sofferenza, chiedendo forza al Signore, manteniamo il raccoglimento, pensiamo alla grandezza di ciò che stiamo facendo e rinnoviamoci nell’umiltà.

La fede e la speranza sfociano in una conoscenza del Signore trasfigurante: l’Eucaristia mi trasfigura, i poveri mi trasfigurano, nella misura in cui io divento come Gesù capace di scendere nelle profondità della sofferenza del malato e dei suoi famigliari, per vivere con loro la Parola. Questo è il principio della pratica della carità cristiana nel nostro ministero: imitare Gesù nel capire la sofferenza dei fratelli e nel metterla a contatto con la Parola che guarisce e salva. E troveremo la giusta gradazione per un ascolto rispettoso, paziente e discreto, che non forzerà la confidenza, ma sarà pronto ad accettarla quando questa verrà offerta come il dono più bello.

Quando arriviamo

a destinazione, attiviamo la carità e tutte le virtù che la corteggiano: la gratuità (fatta di dialogo sincero, di generosità, di pazienza, di purezza, di disponibilità), la tenerezza, la cortesia, il rispetto, la comprensione e la gratitudine.

Non dimentichiamo, infine,

di mantenerci semplici e sereni per tutta la durata della nostra esperienza… e della nostra vita!

Conclusione

Se da una parte è vero, come abbiamo visto, che la spiritualità del ministro è destinata a imprimere la propria impronta sull’esperienza del ministero, è anche vero il contrario, e cioè che la nostra vita spirituale non può non essere nel tempo plasmata da questo servizio, fino al punto che io non potrò più pensarmi come individuo e come cristiano se non a partire anche e forse soprattutto da quest’esperienza, la quale è sempre penetrante e totalizzante, dato che coinvolge tutta me stessa e tutta la mia vita.
Nella trasfigurazione dell’umano di cui abbiamo parlato, le virtù disegnano una nuova identità: il ministro straordinario dell’Eucaristia sarà un cristiano dalla fede ardente, dalla ferma speranza e dalla profonda carità, una persona consapevole della grandezza della missione che le è affidata e nel contempo umile e desiderosa di agire in pura gratuità.
È un profilo che traccia un percorso di ascesi in vista della costruzione di una personalità di grande levità e Grazia, un profilo alto a cui tendere con la consapevolezza che forse non si sarà mai così, ma con la tenacia di chi ama il volto del Signore e si sta in esso trasfigurando.

Mariarosa Tettamanti[7]

Termino con alcuni consigli di don Romano Martinelli, nota guida spirituale di lunghissimo corso per presbiteri, consacrati e laici: sono suggerimenti preziosi, un decalogo che introduce nell’arte della “trasfigurazione a piccoli passi”.

CONSIGLI PER I MINISTRI STRAORDINARI DELL’EUCARISTIA

Pensati da don Romano Martinelli

1. Coltiva

 la devozione all’Eucaristia, sia pregando la Parola, sia adorandola, nella fede, nella speranza e nella carità: in questo delicato servizio, il cuore deve nutrirsi delle virtù teologali.

2. Ricorda 

che portare Gesù agli infermi è evento trasfigurante anche per colui/colei che lo porta.

3. Parola, gesto, silenzio,

 abito, corporeità, stile … dicono molto di più delle pur necessarie parole che introducono alla Comunione.

4. Suggerisci 

ai famigliari dell’ammalato che la casa, pur nella sua ferialità, sia luogo e clima degno per accogliere il Padrone del mondo.

5. Ogni volta regala

 all’infermo un versetto delle Sacre Scritture su cui pregare … proprio quel versetto che ti ha scaldato il cuore.

6. Il gesto di porgere

 il Corpo e il Sangue di Cristo deve essere “ impastato” nella preghiera, come del resto il rito stesso suggerisce.

7. Talvolta devi

visitare più infermi: individua un tempo disteso e delle giuste condizioni, per loro e per te, affinché il tuo servizio sia dignitoso e accurato.

8. Informa e sensibilizza

i presbiteri competenti sulle condizioni di salute dell’infermo e sulla situazione in famiglia.

9. Vivi

 il sacramento della riconciliazione con frequenza, per avere il cuore puro nel ministero e un’umanità in armonia con Colui che porti.

10. Aiuta

 l’infermo a vivere una vera vita di Chiesa: educalo a offrire, in questa difficile stagione della sua vita di fede, la preghiera e un amore capace di accettare la sofferenza per le intenzioni della Chiesa stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





1] Per questo lavoro, attingo soprattutto a un intervento di don Romano Martinelli (La spiritualità dei ministri straordinari della comunione eucaristica ai malati), tenuto nel 2003 all’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano durante un Convegno sull’Eucaristia.
[2] Romano Guardini, Virtù, Morcelliana, 1972.
[3] Catechismo della Chiesa cattolica n. 1812.
[4] Carlo Maria Martini, Le virtù, Ex libris.
[5] Giovanni Moioli, Temi cristiani maggiori, Gribaudi, 1973.
[6] Carlo Maria Martini, ib. Pag. 41
[7] Questo contributo è tratto da una relazione tenuta dall’autrice ai MISCE della diocesi di Milano nel 2015.


Immagine di copertina tratta da "eukharistia" di Marie Pier Larose