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Catechisti, è arrivato il Direttorio!


Il nuovo Direttorio per la catechesi letto da una catechista

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Ricordo molto bene quando, nel 1971, uscì il primo Direttorio per la catechesi, che faceva seguito al Documento di base edito nel '70. Ero ancora minorenne, ma già ero catechista: avevo un gruppetto di sette bambine e nessun catechismo tra le mani, perché “il Pio X” ormai non si usava più e i catechismi nuovi non erano ancora usciti. Così presi una sacra Scrittura e mi lanciai nella narrazione, che immediatamente affascinò le mie piccole ascoltatrici. Poi ricordo che negli anni seguenti costruimmo un quaderno su cui incollavamo articoli con problemi religiosi interessanti e uscivamo spesso per la catechesi all’aperto, nei boschi o in oratorio. I parroci di allora si fidavano delle catechiste: le mandavano ai corsi diocesani, le sorvegliavano con discrezione all’inizio e poi lasciavano loro un’autonomia che accendeva sempre di più la passione.
Erano tempi forti quelli. I nostri genitori, i nonni e i loro amici parlavano nei cortili di disoccupazione, di fame, di guerre, di mancanza di libertà e di paura, con la letizia pacata dei sopravvissuti e l’entusiasmo di chi stava ricostruendo il mondo, la libertà e la pace. Erano valori che ci comunicavano così, senza salire in cattedra, con riconoscenza verso il Signore e la vita, facendoci sentire fortunati, anzi invincibili. Il mondo era davvero un bel posto per vivere: la questione ecologica non si era ancora presentata, la scuola si misurava con la bella avventura della democrazia, che stava portando nei licei frotte di ragazzi usciti per la prima volta dai paesi, per affrontare i libri e … la Standa, dove bastavano poche lire per portarsi a casa qualcosa che stupisse e rallegrasse i fratellini. Per chi come me aveva voti alti e niente soldi in famiglia, c’erano le borse di studio, due all’anno, che venivano elargite nel corso di cerimonie civili e portavano dritti dritti sui giornali locali: così in un paese piccolo era facile diventare una leggenda, quasi come i ragazzi che andavano in seminario per diventare preti. I nostri genitori ci guardavano come si guardano i miracolati: davvero i loro figlioli riuscivano a studiare?
La mafia era per noi una realtà lontana, la guerra fredda e il comunismo dell’est abitavano più i racconti che la vita. La fiducia nel progresso era assoluta, la plastica stava risolvendo un sacco di problemi, le invenzioni come l’acqua del rubinetto e la lavatrice rendevano la vita delle donne una specie di passeggiata tra i fiori. Quando incominciò la contestazione giovanile, noi ragazzi fummo ascoltati con venerazione dai nostri genitori: eravamo quelli che studiavano, che sapevano le cose, che avevano ragione. La delusione, la sofferenza, la paura del terrorismo e degli anni di piombo si stavano ormai affacciando, ma per il momento sembravano frutto di coscienze bacate, che presto sarebbero rinsavite. Le cose non potevano che andare sempre meglio e mio papà, democristiano della prima ora, grande ammiratore di De Gasperi e di Sturzo, era orgoglioso e felice di poter consegnare ai figli un'Italia così diversa da quella del Ventennio, un'Italia libera, in cui tutti avevano la casa, la macchina e la possibilità di comperare il giornale.
Il Direttorio (come del resto un anno prima il Documento di base) fu accolto nelle parrocchie con entusiasmo e letto con diligenza: era bello, era la Chiesa che veniva a visitarci e ci parlava, come aveva fatto anni prima con il Concilio, che ancora stava portando aria fresca nelle nostre chiese. Poi arrivarono i catechismi della Conferenza episcopale italiana (CEI) e anche quelli erano molto belli. La catechesi cambiò: i contenuti acquisirono profondità e divennero meno moralistici e meno apologetici, il linguaggio si fece più adatto ai tempi, ma anche allo sviluppo e alle capacità dei bambini.

Nel ’95, quando arrivò il secondo Direttorio, tante cose erano cambiate: la realtà si era fatta più complessa e il mondo guardato con gli occhi della maturità non era più il luogo incantato dell’adolescenza. Erano sopraggiunti problemi e delusioni ed era ormai chiaro che noi, i ragazzi degli anni ’70, avevamo fallito: il mondo non era cambiato in meglio come avevamo pensato e sperato. Eppure il Direttorio un po’ di incanto ce lo portò. Era di nuovo la Chiesa che si ricordava dei suoi catechisti, ci avvolgeva con l’affetto, ci apprezzava e ci ringraziava. Nel frattempo, nel 1991, i catechismi CEI erano stati riconsegnati alla Chiesa italiana, con poche modifiche nei contenuti, ma con la grande riscoperta delle dimensioni della catechesi (vita, Bibbia, liturgia, etica), che venivano illustrate all'inizio di ogni unità didattica. S’incominciò allora a lavorare in maniera integrata ed era come danzare: le note incominciavano con l’esperienza, poi arrivava l’annuncio e la musica si alzava e si faceva sublime; si affondava quindi negli incontri di preghiera e nelle celebrazioni, dove si scopriva la potenza raccolta e rasserenante degli adagi, e s’imparava dolcemente come vivere da cristiani. Così la musica non si spegneva a contatto con la quotidianità, ma continuava in sordina e ci accompagnava in ogni attività, dando gusto alla vita. 

E ora? Ora i tempi sono ancora più problematici: i poveri sono aumentati, tante famiglie non riescono ad arrivare a fine mese, le barche ci portano affamati di pane e di libertà, la terra si ribella allo sfruttamento dell’uomo, interi capitoli di morale sono scomparsi, le chiese sono sempre più vuote, il rapporto con Dio sembra diventato irrilevante. In questi giorni poi è arrivato il coronavirus a ricordarci una fragilità che credevamo di aver dimenticato.
Eppure la Chiesa è tornata e viene a noi con i passi decisi e il volto buono di un grande Papa, proprio il Papa di cui il mondo ha bisogno. Ha scelto un nome che immediatamente evoca due realtà: la terra e i poveri. Sono due coordinate che cingono le parole del Direttorio e lo orientano, ma altre non meno importanti punteggiano costantemente il discorso che ha firmato: lettura dei segni dei tempi, uscita, missione, kerygma, catecumenato, inculturazione, sinodalità, misericordia, dialogo, catechesi con, catechesi intergenerazionale, dimensioni della catechesi e della formazione, metodi laboratoriali, situazioni marginali … sono parole che ci portano nel tempo fecondo della Chiesa, dissetano il cuore e tracciano cammini.


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Scelgo ora alcune espressioni con le quali cerco di dipingere nelle sue linee essenziali il panorama offerto dal Direttorio, soffermandomi soprattutto sugli elementi di novità e su qualche nodo problematico. Scrivo in nero le parole del documento, in blu le mie, così chi non vuole commenti li può omettere. Con il grassetto invece evidenzio qualche passaggio che mi piace e condivido in maniera particolare. 
Troverete in calce un link per accedere a una sintesi dello stesso Direttorio. Naturalmente ogni sintesi opera delle scelte, per cui è sempre bene ritornare al testo originale, quando ci sono dei dubbi o si devono affrontare dei problemi specifici che trovano spiegazione nel documento.

La catechesi deve ripensarsi in uscita missionaria. 

Questa è una delle prime enunciazioni del Direttorio e ha la forza eversiva dei punti di non ritorno: s’intuisce che niente sarà più come prima, che la catechesi sarà rinnovata dalle fondamenta.  Anche perché lo stato di missione della catechesi non è occasionale, ma costante: siamo missionari e lo siamo sempre; lo siamo nella carne e nel sangue, non in un tatuaggio che rimane solo sulla pelle. E la catechesi è "catechesi con", non "catechesi per": mentre evangelizzo sono evangelizzata, in virtù della comune missionarietà di tutti i cristiani.

La stessa  finalità della formazione è rendere i catechisti consapevoli di essere veri discepoli missionari. Di conseguenza, la parrocchia sarà una comunità di missionari, che vivono relazioni nuove, in grado di diventare il primo e naturale annuncio della fede. La parrocchia è chiamata a  decentrarsi, mettendosi in ascolto e in uscita verso la vita delle persone. Una forma concreta per questa nuova evangelizzazione è la pratica sinodale, che si realizza a livello universale e locale, nei  sinodi e nei consigli. Bello, vero?

Uscita, misericordia e dialogo 

Uscita, misericordia e dialogo sono le parole chiave di questa nuova catechesi: Francesco, il Papa, ci ha abituati a queste parole da anni, sul suo esempio abbiamo provato a praticarle, ora si tratta di generarle nella catechesi. Vuol dire che non ci accontenteremo più di tenerci i bambini che ci vengono abitualmente affidati: andremo a cercare quelli che non vengono, li accosteremo in maniere diverse, creeremo percorsi nuovi, li avvicineremo andando nelle loro case o nei parchi … Non ci permetteremo mai di giudicare i loro genitori, non li criticheremo più (catechiste, amiche, basta criticare i genitori, non ci porta da nessuna parte questa abitudine), ma li gratificheremo con il nostro amore e la nostra stima, faremo cioè come ha fatto Gesù con l’adultera, con la samaritana, con la Maddalena, con il suo amico Pietro, il quale, detto tra noi, ogni tanto era un po’ deludente. Anzi non smetteremo di chiamarli, di interpellarli, soprattutto di ascoltarli, con l’umiltà  e la gratitudine di chi ritiene la confidenza altrui come uno dei più grandi doni della vita.

Tra kerygma, catechesi e inculturazione

Tra kerygma e catechesi esiste un’intima relazione: fonte d’ispirazione della catechesi è il catecumenato. Catechesi e catecumenato non sono la stessa cosa, ma si richiamano, e in questi tempi smemorati di fede l’annuncio del kerigma, teso a risvegliarla, è quanto mai necessario. Per questo la forma del catecumenato, che si fa carico del primo annuncio, opportunamente adeguata ai diversi cammini, è la più adatta alla catechesi attuale. 

Un’altra espressione  che percorre il Direttorio dall’inizio alla fine è inculturazione della fede: la fede per fiorire deve radicarsi profondamente nel terreno delle diverse culture, fino ad arrivare ad una sintesi con il Vangelo e dar vita ad un’altra cultura, la quale, pur non perdendo le caratteristiche della prima, sarà informata ai valori cristiani.

La catechesi, a questo proposito, ha un’intrinseca dimensione culturale e sociale, afferma il Direttorio e continua: All’interno degli scenari culturali contemporanei, essa si fa segno di promozione e di vita piena per tutti. Non è un compito facile, perché la cultura contemporanea è una realtà plurale molto complessa. A motivo della globalizzazione e dell’uso massivo dei mezzi di comunicazione, infatti, sono aumentate le connessioni tra questioni e settori che un tempo erano distinti e questo ha favorito la nascita di un pluralismo religioso in cui crescono forme di indifferenza, di relativismo, di sincretismo e di superficialità morale. Per questo, la catechesi è chiamata a una nuova inculturazione della fede, formando nei cristiani un’identità sicura e capace di dare ragione della speranza, offrendo nel contempo percorsi di maturazione nei valori.

Gli itinerari catechistici e i Catechismi locali 


Gli itinerari catechistici e i catechismi diocesani rappresentano un segno di questa inculturazione. Questi ultimi sono chiamati dal Direttorio strumenti inestimabili, perché in essi la Chiesa comunica il Vangelo in maniera accessibile alla persona, dato che la incontra là dove vive, nella sua cultura. Per questo è bene che ogni Chiesa locale pubblichi il proprio catechismo. Essi possono essere diocesani, regionali o nazionali e si caratterizzano per due tratti principali: hanno un carattere ufficiale (cioè sono espressione del Magistero episcopale) e sono una sintesi organica e basica della fede, che si riferisce, quanto ai contenuti, al CCC, ma si struttura in modi diversi, evocando tutte le dimensioni della catechesi, misurandosi con le problematiche e le esperienze di vita, di celebrazione e di pensiero, presentando suggerimenti per gli itinerari catechistici e mantenendo l’attenzione pedagogica coerente con la mentalità, l’età e la crescita dei soggetti. Mi sembra che i sussidi, le guide e il materiale online dei nuovi percorsi di Iniziazione cristiana (IC) della diocesi di Milano rispondano pienamente a questi criteri!!

I soggetti della catechesi


Il Direttorio presenta e valorizza tutti i soggetti della catechesi: i vescovi (a loro compete ad esempio la decisione della successione dei sacramenti dell'IC, per i quali il Direttorio chiede di valutare la successione Battesimo, Cresima, Eucaristia, essendo quest'ultima il culmine della vita cristiana), il parroco e i presbiteri, chiamati ad organizzare e guidare la catechesi parrocchiale, a curare la formazione dei catechisti e ad assicurare il collegamento con il programma pastorale diocesano; i diaconi e i consacrati, per i quali la catechesi è terreno privilegiato di apostolato; i laici, che devono essere presenti anche in diocesi, stabilmente dediti alla catechesi, riconosciuti pubblicamente; i genitori, primi catechisti per i figli; il padrino e la madrina, che dovrebbero essere preparati attraverso percorsi di catechesi; i nonni , il cui apporto è importante nella catechesi per il maggior tempo che possono dedicare, per la loro carica affettiva e per la saggezza. Essenziale e indispensabile il contributo delle donne: esse incarnano l’immagine della maternità, testimoniando la tenerezza della Chiesa. Lasciate che mi fermi un attimo sui nonni, cioè sugli anziani: forse per la prima volta si riconosce anche a loro la possibilità di essere a pieno titolo catechisti, non nonostante gli anni, ma proprio in virtù dell’età, che regala tempo e conferisce affettività e sapienza. Non posso che ringraziare gli autori del Direttorio, a nome mio e delle tante catechiste che incontro durante le attività di formazione, la grande maggioranza delle quali ha una certa età. A volte abbiamo l’impressione di essere lì solo perché non si trovano dei giovani disposti a questo servizio: ora invece veniamo valorizzati per ciò che ancora siamo, anzi veniamo legittimati, liberati dal sospetto, riconosciuti nelle nostre capacità. Grazie, Papa Francesco. Quanto alle donne, il discorso sarebbe lungo: sappiamo anche noi che il nostro contributo è essenziale e indispensabile, ma spesso siamo costrette a chiederci perché non ci viene riconosciuta nessuna possibilità di decidere, per non dire addirittura nessuna autonomia. Eppure siamo la grandissima maggioranza tra i catechisti, forse il 99% (e questa secondo me è la rivincita dello Spirito: è Lui che sceglie i suoi collaboratori).

Ma noi chi siamo? Chi è il catechista? 


La questione non è di poco conto: trovare le definizioni a ciò che si è è fondamentale. Secondo il Direttorio la nostra identità ha tre dimensioni:
il catechista è testimone della fede e custode della memoria di Dio, è maestro e mistagogo, accompagnatore ed educatore. C’è da morire di Bellezza. Noi, con le nostre rughe fisiche e spirituali e con la valigia piena di peccati, siamo chiamati a testimoniare Gesù e ad accompagnare ed educare i suoi figli … e fino a qui va anche bene, lo sapevamo già, ma il resto … o toglie il respiro o lo allarga all’infinito: siamo spinti a custodire la memoria di Dio e ad essere mistagoghi del suo mistero. Ci avevamo mai pensato? La memoria di Dio è affidata alla nostra piccola umanità e le nostre spoglie parole devono aprirsi a presentare ciò che nessun uomo è in grado di capire. Sembra impossibile, ma in fondo basta aprire il Vangelo. Credendoci ovviamente.

La formazione dei catechisti


Quanto alla formazione dei catechisti, la comunità è il luogo per eccellenza in cui essa avviene e il gruppo è il contesto in cui ciascuno di noi è continuamente evangelizzato e formato. Sei sono i criteri ispiratori della formazione: spiritualità missionaria, formazione integrale, stile dell’accompagnamento personale, coerenza tra gli stili formativi, formazione permanente e autoformazione, pratica formativa del laboratorio (a partire da una base di taglio teologico e antropologico). Ovviamente sono molto d’accordo su questi criteri: sono più o meno quelli che sottostanno alla formazione che portiamo avanti da anni nella diocesi di Milano.

La formazione con gli adulti


La forma di riferimento per ogni catechesi è la catechesi per gli adulti e su questo il Direttorio insiste molto, prevedendo le seguenti azioni catechistiche (le riporto tutte, perché mi sembra che ci siano delle novità, almeno per alcune realtà):

  • una formazione remota, una prossima e una immediata alla celebrazione del sacramento, con i giovani che si preparano al matrimonio;
  • una catechesi in forma mistagogica con le giovani coppie di sposi;
  • la catechesi con i genitori che chiedono il Battesimo per i figli;
  • la catechesi con i genitori dei bambini dell’IC;
  • una catechesi intergenerazionale (cioè un’esperienza formativa condivisa tra diverse generazioni all’interno di una famiglia o di una comunità, nel solco tracciato dall’anno liturgico);
  • la catechesi con i gruppi di sposi e con i gruppi di famiglie;
  • una catechesi che accompagni i figli segnati dall’amore ferito, cioè dalle situazioni irregolari, per incoraggiarli a compiere il bene, a prendersi cura l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità;
  • un’azione pastorale e catechistica che sostenga i giovani adulti, cioè quelle persone, che pur avendo tutti i requisiti per condurre una vita adulta (età, titolo di studio, volontà) non possono formare una famiglia, poiché non godono di una condizione lavorativa ed economica stabile;
  • una catechesi della speranza per gli anziani, che contempli la possibilità di chiedere loro l’assunzione di ruoli catechistici con i piccoli, i giovani e gli adulti, condividendo il loro patrimonio di saggezza e di fede (“La comunità sia grata per la loro presenza e favorisca il dialogo intergenerazionale tra anziani e giovani”);
  • l’inclusione delle persone  con disabilità nei percorsi di catechesi, con l’ammissione ai sacramenti; per loro i catechisti dovranno ricevere una formazione specifica, finalizzata all’acquisizione di nuovi canali comunicativi e di metodi idonei, di dinamiche e di percorsi narrativi, di linguaggi esperienziali, che utilizzino i sensi; essi avranno una duplice attenzione: la consapevolezza dell’educabilità alla fede delle persone con disabilità anche cognitive e il riconoscimento della capacità di essere a loro volta evangelizzatrici;
  • una catechesi con i migranti, che  tenga conto dei modi di praticare la fede nei paesi d’origine, utilizzando se possibile la loro lingua materna e aprendo il dialogo con la Chiesa di provenienza (nel tempo della prima accoglienza, si cercherà di sostenere la loro fiducia nell’amore del Padre; in seguito essi, vivendo la fede, potranno  diventare annunciatori del Vangelo nei paesi d’accoglienza, arricchendo il tessuto spirituale della Chiesa locale);
  • una catechesi con le persone marginali (profughi, nomadi, senza fissa dimora, malati cronici, tossico-dipendenti,  carcerati, schiave della prostituzione, ecc …), che avverrà in contesti e ambienti informali e con modalità occasionali; in tutti questi casi, la parrocchia è tenuta ad offrire percorsi integrali (cioè che tocchino tutte le dimensioni della catechesi), nei quali sia possibile accogliere e approfondire esistenzialmente il kerygma;
  • quanto ai candidati all'ordine sacro,  è necessaria  anche per loro una specifica istruzione e formazione sull’annuncio e la catechesi; siamo molto contenti per questa proposta: se la responsabilità della catechesi rimane ai presbiteri, è necessario che siano adeguatamente formati.

C’è tanta strada da percorrere!

Le associazioni e i movimenti ecclesiali


Le associazioni e i movimenti ecclesiali rispetteranno il principio di ecclesialità, visibile nella sintonia con i piani pastorali diocesani; dal canto suo la parrocchia apprezzerà la catechesi delle aggregazioni. Anche la scuola cattolica è soggetto ecclesiale, che ha come punto di riferimento la Chiesa particolare.

La metodologia


Quanto alla metodologia, innanzitutto si parla di memoria, esaminata dal Direttorio come dimensione costitutiva della storia della salvezza ed elemento della dinamica stessa della catechesi (traditio, receptio, redditio),  quindi necessariamente anche in quanto memorizzazione, cioè capacità cognitiva che costituisce una chiave importante per la trasmissione della Rivelazione. Su un recupero di questa abilità, importantissima per l’apprendimento, siamo tutti d’accordo, purché non si tratti di tornare alle modalità del catechismo di Pio X, che non è pensabile oggi, nel tempo in cui i bambini passano da un’acquisizione all’altra saltabeccando nella rete e hanno bisogno di argomentazioni e di affettività più che di imparare le cose a memoria. L’apprendimento mnemonico, a quanto pare riproposto anche in Italia da un catechismo uscito recentemente, rischia di far acquisire delle nozioni superficiali, senza radicamenti, e quindi poco incisive nel processo della fede: qualunque insegnante e soprattutto qualunque catechista di lunga esperienza potrebbe sottoscrivere queste parole. Il Direttorio stesso a questo proposito denuncia la possibilità di una memorizzazione sterile e fine a se stessa, introducendo la necessità di mettere in atto tre importanti attenzioni:
 a) è essenziale che i testi memorizzati (della sacra Scrittura, della liturgia e della pietà popolare) siano anche interiorizzati, per diventare contenuti immediati e sorgenti di vita cristiana; 
b) è bene che la memoria sia considerata in rapporto agli altri elementi del processo catechistico, come la relazione, il dialogo, la riflessione, il silenzio, l’accompagnamento;
c) il momento della memorizzazione deve arrivare dopo un percorso in cui si renda evidente il valore e la spiegazione dei testi.
E' insomma necessario mantenere ben vivi e operanti tutti i linguaggi, da quello verbale, soprattutto narrativo e autobiografico, a quello dell’arte nelle sue varie forme, a quello affettivo, fondamentale con i bambini; bisogna inoltre mantenere sempre l’azione catechistica nel quadrato delle dimensioni della catechesi (e della persona), attraverso le quali s’introduce l’esperienza e poi si arriva all’Annuncio, alla partecipazione alla liturgia, alla preghiera e alla vita della comunità, dove si apprende il linguaggio dell’amore. Non bisogna inoltre dimenticare ciò che ci diceva qualche anno fa il Papa a san Siro: nella catechesi occorre coinvolgere la mente, il cuore e le mani (pensare, sentire, fare), interpellando quindi l’intelligenza multipla attraverso l’utilizzo dei mediatori didattici (attivo, iconico, analogico e simbolico) e il coinvolgimento dei sensi. 
Le catechiste accorte saranno inoltre capaci di organizzare incontri giocosi ad alto valore emozionale per aiutare i bambini a memorizzare in modo facile e divertente. A questo proposito, presento in questo stesso blog una proposta di attività ludica, con un esempio in ppx finalizzato alla memorizzazione di un percorso catechistico: il post è intitolato Il CateMemo!
A queste condizioni, ben venga l'uso delle capacità mnemoniche, magari inserito nell’ambito della meta cognizione, soprattutto per ciò che riguarda le formule delle preghiere della Tradizione: le esperienze dell’ascolto della Parola, del contatto senza mediazioni con Gesù nella celebrazione, delle dinamiche relazionali vissute nel gruppo e nella Chiesa, insieme a un metodo che metta in campo le capacità cognitive insieme a quelle affettive, operative e ludiche, fecondano e motivano la memoria, così che ciò che viene memorizzato avrà radici e capacità generative. È ciò che avviene nei  percorsi della diocesi ambrosiana.

I vari ambiti della catechesi


Il Direttorio presenta i vari ambiti in cui la catechesi viene attuata, a cominciare dal contesto urbano, per il quale servono spazi di preghiera e di comunione innovativi, che restituiscano il senso di appartenenza alla comunità e rivelino la maternità della Chiesa. Via con la fantasia allora, amici e amiche! Quanto ai contesti rurali, si ricorda la necessità di una tutela rispetto alle nuove culture, che rischiano di spegnerne i valori.

Vi sono poi i contesti ecumenici e di pluralismo religioso, nei quali occorre soprattutto esporre con chiarezza la dottrina cattolica. L’incontro con le altre religioni, favorito dai flussi migratori degli ultimi decenni, mostra con urgenza la necessità di approfondire e rafforzare l’identità dei credenti, aiutandoli a crescere nel discernimento, e di incoraggiarli nello slancio missionario.

I nuovi movimenti religiosi 


Un capitolo per molti di noi dolorosissimo è rappresentato dal fenomeno dei nuovi movimenti religiosi, di fronte al quale sentiamo tutta la drammaticità di una sfida che ci mette in questione e qualche volta ci regala dei rimorsi. Innanzitutto, dice il Direttorio, la Chiesa particolare è chiamata a interrogarsi per capire che cosa spinge i cristiani ad avvicinarsi a questi movimenti. Forse è capitato anche a voi il grande dolore di vedere amiche e amici allontanarsi dalla Chiesa per aderire a movimenti formati da persone che pregano intorno a un palo, pensando di riempirsi di energia, di armonia e di benessere, oppure che si dicono abitate da entità particolari, fino ad arrivare a rifiutare le cure mediche in caso di malattie anche gravi. Avete chiesto che cosa le ha spinte ad andarsene dalla Chiesa? Io l’ho fatto e mi sono sentita dire: “Nella mia comunità litigavano troppo” oppure: “Non credo più nei preti, non vedi che cosa fanno? Sono anche troppo ricchi” o ancora: “Nessuno mi ha aiutata quando ero nel bisogno”. Da rabbrividire e coprirsi il capo di cenere. “E che cosa ora ti tiene legata a loro?” ho chiesto ancora. “Con loro mi trovo bene, siamo davvero sorelle. Se ho bisogno mi aiutano, nelle celebrazioni possiamo parlare tutti, ognuno può dire la sua. Quando vengono a trovarmi, mi parlano del Signore, non dei soliti pettegolezzi”. Doppio brivido. I recuperi non servono, amici, bisogna arrivare prima. Ha ragione il Papa: bisogna aprire gli occhi sui bisogni, bisogna uscire, uscire, uscire. La catechesi, per prevenire queste fughe, secondo il Direttorio, dovrà tendere ad alcuni importanti obiettivi: annunciare il kerygma come proposta di senso per l’uomo che cerca benessere e armonia; adoperarsi perché la Chiesa sia comunità di accoglienza e prossimità, attenta alle persone sofferenti, povere e sole, e disponibile a valorizzare l’apporto di tutti; garantire una conoscenza biblica e dottrinale di base; porre attenzione ai simboli, ai gesti e ai riti della liturgia e della pietà popolare, non sminuendone la carica affettiva. Abbiamo capito? Accoglienza, prossimità, attenzione, solida preparazione, carica affettiva.

La mentalità scientifica e tecnica


La tecnica, soprattutto la ricerca sull’intelligenza artificiale e le neuroscienze, solleva spesso problemi etici. Il catechista dovrà quindi tenere conto dell’influsso che la mentalità scientifica ha sulle persone e la catechesi dovrà mantenere le seguenti attenzioni: suscitare domande e introdurre a temi come la creazione e il fine dell’uomo e del cosmo; affrontare alcuni nodi storici, il cui influsso è ancora presente; valorizzare la testimonianza degli scienziati cristiani, che mostrano la sintesi tra fede e ragione; far conoscere ai catechisti i principali documenti del Magistero che affrontano il rapporto tra teologia e scienze. Non si può scappare. Perfino i bambini oggi chiedono: “Ma se la maestra di scienze mi ha detto che il mondo l’ha creato il big bang e invece tu mi dici che l’ha creato Dio, chi ha ragione? Allora Dio è il big bang?”. In terza primaria il programma di insegnamento della religione cattolica (IRC) prevede la spiegazione dei due campi di competenze diversi tra scienza e Bibbia, e anche un lettura corretta del libro della Genesi, ma non tutti i docenti lo fanno e spesso i bambini dimenticano la spiegazione e l’accantonano, come fanno con tante altre acquisizioni. Tocca a noi. Al proposito, in questo stesso blog c'è un post intitolato Le cartegenesi  che mostra come presentare ai bambini il racconto biblico delle origini  e il suo rapporto con la scienza. Il discorso è rivolto primariamente ai docenti IRC, ma anche ai catechisti desiderosi di avere le idee chiare per se stessi e per i loro bambini.

La giungla della cultura digitale


E ora siamo invitati a entrare nella giungla sconfinata della
cultura digitale, che plasma la mentalità e rielabora le gerarchie dei valori su scala globale, operando una trasformazione antropologica. La cultura digitale è anche un fenomeno religioso: esiste infatti un atteggiamento fideistico nei confronti del digitale, al quale si chiedono risposte sulla vita privata; si va insomma creando una sorta di pseudo-religione universale che legittima una nuova fonte di autorità. Spaventoso. L’utilizzo del digitale pone questioni educative importanti, soprattutto perché i media digitali offrono la possibilità di accedere in modo immediato ad ogni tipo di contenuto, svincolato da qualsiasi gerarchia d’importanza, creando così una cultura segnata dalla mancanza di un quadro d’insieme e fornendo versioni selettive del mondo; inoltre l’intersoggettività sembra essere sempre più vissuta nei social e sempre meno in spazi sociali tradizionali. Le nuove generazioni non sempre sono culturalmente attrezzate per affrontare le sfide provenienti da questo mondo ed è quindi urgente un’educazione ai media.

L’antidoto della catechesi a questa situazione è duplice: 

  • a) conoscere il mezzo e usarne tutte le potenzialità;
  • b) condurre dall’informazione religiosa all’esperienza di Dio e della Chiesa, creando un nuovo senso di appartenenza comunitario, che includa la rete ma non si esaurisca in essa. 
Un’esperienza comunitaria bella, appagante, forte e serena è la risposta più sicura alla mentalità digitale, insieme all’utilizzo del mezzo per mostrarne i vantaggi, certo, ma anche i limiti, gli errori, i rischi … e soprattutto per far sperimentare che la Verità, la Vita e la Via sono oltre il mezzo digitale e tu le trovi nel tuo gruppo di amici, ma soprattutto in chiesa, davanti al tabernacolo, e non dentro il tuo pc.

Bioetica e impegno ecologico


Un altro nodo problematico è dato dalla
bioetica e qui il Direttorio rimanda giustamente alla dottrina del Magistero ecclesiale. Quanto all’impegno ecologico, la visione cristiana della creazione offre motivazioni alte per prendersi cura della natura e criteri alternativi per ripensare la relazione tra economia, salvaguardia del creato, giustizia sociale e scelte politiche. La catechesi motiverà quindi e sosterrà nei credenti una spiritualità ecologica. Mi sembra che questo messaggio sia ben chiaro: nelle mie peregrinazioni in diocesi vedo che in tutti gli oratori ci sono i contenitori per la raccolta differenziata e gli spazi naturali esterni sono ben curati, segno che la mentalità della cura del creato è radicata. È bello ogni tanto far catechesi e pregare all’aperto, all’ombra dei tigli o tra i castagni del bosco: questi sono i momenti più adatti per parlare della creazione come dono di Dio e impegno per l’uomo. Nella catechesi per giovani e adulti certamente il discorso prenderà una piega molto più profonda e ampia.

L’opzione per i poveri


L'opzione per i poveri, così cara a Papa Francesco e a tutti i cristiani, chiede che essi siano al centro del cammino della Chiesa. A questo proposito la riflessione catechistica sarà accompagnata da un impegno concreto e diretto verso i poveri e gli emarginati. I sussidi e le iniziative della diocesi di Milano propongono gesti di carità e una conoscenza esperienziale delle iniziative caritative della parrocchia, ma sarà nostra cura creare altre esperienze. La catechesi, dice il Direttorio, è un’opera di carità (insegnare agli ignoranti) e chiede che le opere di carità materiali e spirituali siano parte dei suoi programmi.

L’impegno sociale


L'impegno sociale secondo il Direttorio, è parte integrante del cammino di fede. La catechesi, con l’aiuto della dottrina sociale della Chiesa, rende i fedeli consapevoli dei peccati che hanno un impatto negativo sulla società, li motiva ad agire per il bene comune e offre un sostegno particolare a coloro che hanno maggiori responsabilità in campo sociale, culturale, mediatico, economico e politico. Parole che non chiedono commenti!

La diocesi 


La diocesi è prima di tutto un popolo evangelizzatore in cammino verso Dio. A servizio di questo popolo c’è la Curia diocesana nelle sue diverse articolazioni (uffici, consigli, commissioni …) e al suo interno c’è l’Ufficio Catechistico Diocesano (UCD), guidato da un responsabile, sostenuto da persone competenti , presbiteri, consacrati e laici. In diocesi potrebbe essere opportuno organizzare una commissione IC in cui confluiscano la pastorale del primo annuncio, la catechesi, la pastorale liturgica, la Caritas, le associazioni e i movimenti laicali. Il Progetto diocesano di catechesi di solito viene strutturato secondo le diverse età, ma possono essere considerati anche altri criteri, ad esempio quello delle tappe di crescita nella fede o della situazione esistenziale dei soggetti.

L’UCD avrà una cura particolare per la formazione dei catechisti: valutando le loro esigenze reali e con uno stile adeguato alla sensibilità odierna, l’Ufficio predisporrà un’offerta formativa che risponda alle dimensioni dell’essere, del saper essere con, del sapere e del saper fare, evitando di accentuare una dimensione a scapito delle altre; l’obiettivo è fornire ai catechisti una formazione di base permanente e di provvedere ad una formazione specializzata per i responsabili e i coordinatori. Per questo è importante che l’UCD coltivi un rapporto di fiducia e di collaborazione con i laici e i presbiteri delle comunità parrocchiali. Anche qui, nessun commento:

DOBBIAMO SOLO CONTINUARE SULLA NOSTRA STRADA,

CON RINNOVATO SLANCIO, 

 GRANDISSIMA PASSIONE

E LO SGUARDO A MARIA, LA PIÙ PERFETTA DEI DISCEPOLI.


 La catechesi è eco della Pasqua nel cuore dell’uomo.

 Avete sentito qualcosa di più bello in questi giorni?


Allegato: Sintesi del Direttorio