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Mondo maestro


Cinque anni di scuola tra estasi e difficoltà 
Esperienze di una maestra dell'Italia centrale.

Gennaio. Il freddo stringe le mascelle intorno alle colline che circondano il paese e anche più giù, fino alla spiaggia, dove il mare "urla e biancheggia" per dirla con Carducci. Come sempre vado a scuola a piedi: ci tengo a questa passeggiata mattutina, che mi permette di catturare gli "esuli pensieri" e schiarirmi le idee dopo il sonno della notte e la stanchezza del giorno prima. Momenti preziosi per restare sola e circoscrivere le emozioni, gustando la dolcezza della nuova giornata. Da qualche tempo però non è così: i pensieri non se ne vanno e non c'è bisogno di catturarli, perché se ne stanno lì sul cuore, pesanti come il macigno che chiudeva la tomba di nostro Signore. Il paragone mi viene spontaneo, anche se ne vedo naturalmente l'esagerazione. 
Quest’anno insegno in una seconda: area antropologica più quasi tutta la linguistica, ereditata da un’insegnante arrivata da poco. Siamo in attesa della visita ispettiva, chiesta dalla direttrice didattica.
I genitori si sono appena calmati: in novembre hanno sferrato l’attacco più duro della mia carriera scolastica. Per fortuna abbiamo avuto il sostegno della dirigente. 
Rimpiango il giorno in cui ho dovuto, per problemi familiari, decidere d’insegnare nel paese in cui abito. Ci sono vantaggi impensabili nei rapporti con gli alunni, ma i genitori con i quali ho legami extra-scolastici particolarmente forti mi creano a volte problemi pesanti, forse perché si aspettano trattamenti confidenziali e privilegiati. Quest’anno ci sono state persino chiamate al provveditorato e al telefono azzurro. La direttrice ha compiuto le sue indagini e rilevato l’inconsistenza delle accuse (qualche bambino che non ha scritto i compiti sul diario, errori di ortografia sfuggiti alla correzione delle insegnanti). La polemica si è spenta durante l’ultima assemblea per l’intervento della direttrice e dei papà, che non si sono lasciati trascinare dal clima di caccia alle streghe provocato da qualche moglie particolarmente agitata. 
I bambini sono trentadue, divisi in due classi. Sette sono arrivati quest’anno dalla scuola elementare privata di un paese poco lontano,  istituita per protesta (insieme a picchetti, blocchi stradali, comparse in televisione e petizioni a tutte le autorità scolastiche ed ecclesiastiche) contro la decisione del Ministero di sopprimere il plesso esistente fino a due anni fa. I bambini si sono inseriti con facilità, ma tre di loro (uno in particolare) hanno problemi di apprendimento e di comportamento. 
Più di loro, tuttavia, preoccupa Mariella, arrivata quest’anno dalla vicina città: oltre a leggere solo lo stampato maiuscolo non sa assolutamente stare in classe. Corre qua e là, apre tutti gli armadi, grida, disturba. Eppure è intelligente, vorrebbe venire a scuola anche alla domenica e si è affezionata a velocità supersonica alle maestre: ci dev’essere qualcosa che non va, forse in famiglia. La conferma arriva puntuale. Un giorno la bambina è segnata dalle botte: la mamma ammette di averla picchiata, ma poi, durante una riunione di genitori, dice che sono state le maestre (da qui le chiamate al telefono azzurro). Un altro bambino, Thomas, ha manifestazioni simili. La mamma è la signora, fino a poco fa amica di famiglia, che ha organizzato la rivolta dei genitori. Dice che suo figlio ha paura di me. Lui invece arriva a rifiutarsi di lavorare se io non ci sono e mi abbraccia strettissimo ogni volta in cui mi vede. Mi sembra di non capire più niente, sono disorientata. Se non avessi la solidarietà della mia collega di sempre, con la quale m’intendo con lo sguardo, e l’appoggio della direttrice, chiederei il trasferimento. Già ora mi capita di pensare che non sono più capace d’insegnare, nonostante una lettera di sostegno e complimenti mandataci da un genitore particolarmente competente. È dura perfino andare a scuola al mattino. 
Per fortuna il lavoro mi appassiona ancora. Costruisco i miei percorsi ideando esperienze, inventando giochi simulativi e manipolatori, proponendo trasposizioni grafiche e simboliche a vari livelli. 
In marzo arriva l’ispettore. C’interroga separatamente, controlla i registri, ci chiede di scrivere una relazione davanti a lui e poi decide per il licenziamento della nuova collega. Quest’ultima va in crisi e anch’io sto molto male: la primavera perde i suoi colori.
Finalmente ecco le vacanze pasquali. Vado a casa sollevata, in una bella giornata di sole (tra l’altro devo preparare la discussione della tesi alla Facoltà di filosofia): ancora non so che per molto tempo non tornerò più a scuola. Mi aspettano mesi e mesi in ospedale. Anche la mia collega resterà a casa in maternità. Quanto alla signora delle sommosse troverà il modo di accusare le supplenti di sevizie psicologiche nei confronti del suo bambino. 

L'anno dopo

Nel tempo delle "rossastre nubi" riprendo la scuola insieme a Mariam: non vedevamo l’ora di tornare. Troviamo l’organico di plesso parzialmente cambiato, provo un po’ di disagio. 
I bambini che abbiamo lasciato in seconda ora sono in quarta, in condizioni paurose. Eppure le colleghe che ci hanno sostituito erano bravissime. Bisognerebbe studiare questo fenomeno: perché gli scolari piccoli ad ogni cambio d’insegnante abbassano le tapparelle su tante delle loro acquisizioni? In compenso il loro entusiasmo è alle stelle e il mio anche. È il ritorno alla normalità, alla vita. 
Purtroppo quest’anno la nostra classe non ha rappresentanti di genitori in Consiglio d’interclasse. Protesta? Rappresaglia? Pigrizia? Non lo sapremo mai. 
In novembre, quando il bosco di fronte alla scuola fiammeggia e ingiallisce, devo assentarmi ancora quindici giorni; i miei dolcissimi alunni fanno cose turche alla supplente: mettono puntine sulla sua sedia, falsificano la sua firma e inventano altre piacevoli sorpresine. Quando li rimprovero, al mio ritorno, mi dicono senza mezzi termini che faranno così con ogni altra eventuale maestra, perché non vogliono più supplenti. Che cosa dovrei dire? Non trovo le parole giuste: i troppi cambiamenti li hanno resi “brutali”. Prego il cielo di non dovermi più assentare e questa volta vengo esaudita. Mariam è preoccupatissima per le condizioni in cui versa la classe, io invece sono più fiduciosa, anche perché non mi sento responsabile della situazione e quindi per una volta tanto nella mia vita non mi metto severamente in discussione e non mi lascio prendere dal senso di colpa: farò ciò che potrò, come potrò, con tutte le mie forze. 
A dicembre la neve scende a spruzzate leggere, imbianca brevemente le strade e i tetti e poi si ritira veloce, come se avesse fretta di andarsene.   In questi giorni devo affrontare un’altra grana. Un papà vorrebbe che la figlia lasciasse a casa i quaderni; noi, forti del nostro diritto a lavorare su percorsi, insistiamo perché li lasci a scuola. Un giorno la bambina dimentica a casa il quaderno d’italiano. Il giorno dopo il papà mi manda una lettera di “diffida”, alla quale seguono insulti durante un colloquio e una lettera di denuncia alla direttrice. Di nuovo indagini scrupolose da parte della capo d’istituto e poi, appurata la verità, convocazione in direzione. Qui riusciamo a scoprire il vero motivo dell’attacco: la seconda figlia di questi signori è stata rifiutata dalla scuola materna privata del mio paese. La colpa sarebbe mia, perché faccio parte del Consiglio amministrativo. Io non ne sapevo niente, ma è già un grande sollievo aver capito la motivazione di tanta rabbia nei miei confronti. Immediatamente mi dimetto dal consiglio della materna. Più tardi leggo la lettera mandata dai due alla direttrice: il padre chiede che vengano presi provvedimenti contro di me, perché mantengo verso di lui un “comportamento esotermico”. Ridiamo fino alle lacrime, pur sentendoci solidali con il disorientamento, anche se immotivato, del povero padre. 
Intanto i bambini stentano a recuperare e anche la mia fiducia comincia a calare. Mi preoccupa soprattutto l’ortografia e questo in quarta non è problema da poco. Anche la sintassi è disastrosa. Arrivo a lanciare i bambini nell’analisi del periodo, per cercare una strada che permetta loro di capire la struttura del periodo. È l’idea vincente: attraverso giochi, esperienze, uso dei colori e schematizzazioni varie la frase principale comincia ad emergere dal caos delle parole e poco per volta le si dispongono intorno, in maniera corretta, subordinate e coordinate. Ora, prima di proporre la scrittura autonoma di un testo, non dimentico di raccomandare ai bambini di usare periodi formati esclusivamente da una principale e una subordinata o coordinata. Finalmente ottengo degli elaborati accettabili. Posso guidare i bambini ad esprimere il loro vissuto, connotando emozioni e sentimenti. 
A fine anno il caldo si fa sentire e la stanchezza anche, il sole rovente invita alla spiaggia.  I bambini sciamano via con gli occhi pieni di mare e di vacanze, mentre noi partecipiamo a un corso d’aggiornamento, durante il quale ci vengono proposte didattiche nuove. La cosa mi attira moltissimo: tanti anni di pedagogia per obiettivi cominciano a pesare. Lavorando in gruppo, prepariamo la programmazione generale prima/quinta per i genitori. Tentiamo di stendere il programma di religione in modo diverso, costruendo una mappa che dia ragione delle relazioni esistenti tra i diversi concetti e argomenti. Il lavoro appassiona e riesce bene. 

Quinta!  

Quinta. È una brutta classe: si sente sul collo il respiro della scuola media e i genitori sono più nervosi del solito. Invece no, quest’anno va proprio bene. Abbiamo come tutti i nostri rappresentanti; riceviamo solo complimenti e raccogliamo soddisfazioni. La rivoltosa della seconda è isolata; gli altri genitori hanno fatto da tempo la processione dei pentiti e dei dissociati. Che cosa sia successo non lo capiremo mai: forse la nostra assenza ci ha fatte desiderare, ma sta di fatto che la vita riprende le sue attrattive e la scuola il suo fascino. L'autunno scivola lentamente nell'inverno lasciandosi alle spalle foglie morte e crisantemi.
Modifico in parte le modalità con cui costruisco i percorsi, seguendo in modo più appropriato i mediatori didattici. Ricomincio anche ad assumere qualche incarico: sono collaboratrice della direttrice e conduco il gruppo di programmazione per aree (italiano e religione), durante il quale stendiamo un percorso-tipo di grammatica. In classe mi accorgo di proporre ai bambini percorsi di religione troppo elevati . Devo abbassare le pretese. 
Un giorno una delle nostre bambine (famiglia agiata, molto seguita, piuttosto brava a scuola) si accovaccia sul pavimento e scoppia a piangere disperata. Non ci vuole molto per farla parlare; tra singhiozzi e parole spezzate emerge una verità inaspettata: i genitori si stanno separando. L'aiutiamo come possiamo e per questo avremo la riconoscenza di tutta la famiglia. 
Mariella se ne va, prima in comunità e poi in affido presso una famiglia di Cinisello Balsamo, nel milanese. Me lo dice lei stessa, più sorpresa che addolorata: -Sono venuti a prendermi e mi hanno portata in comunità-. Temiamo la mamma: altre volte mi ha minacciata perché, secondo lei, sarei stata io a denunciarla. Invece ora non prende nessuna iniziativa: le hanno detto che, se lo facesse, peggiorerebbe la sua situazione. Quando ci salutiamo, è la bambina a consolare me. Mi mette un braccio sulle spalle, protettiva, e mi dice saggiamente: - Forse è meglio così. Andiamo in palestra, dai, che così ti passa un po’- Mi telefonerà diverse volte, finché non la sentirò più: ora è stata adottata con le sue sorelline. A volte questo è un mestiere triste: le lacrime si depositano sul cuore, lo incrostano e non se ne vanno.
Anche Thomas va male e siamo costrette a chiamare più volte i genitori. Viene sempre il padre, che ha l’aria di uno che vuole prenderci in giro e continua a ripetere: "Bocciatelo". Sono da sempre contraria alle bocciature nella scuola dell'obbligo e lui lo sa. 
In qualche modo arriviamo alla fine dell’anno, ma il caldo tarda a venire e la pioggia la fa da padrona. Gli esami vanno bene, compresi quelli di Thomas; salutiamo i bambini con una pizza. Tutto sommato, non ci dispiace lasciare una classe che ci ha procurato tanti guai. Salutiamo anche la nostra direttrice che va in pensione. Questo è per me un grosso dispiacere: tredici anni di lavoro insieme mi hanno insegnato ad apprezzarla moltissimo. Ho anche un po' di paura: troverò ancora comprensione e aiuto quando ne avrò bisogno? 

Una nuova classe 

Classe prima: curiosità di conoscere i bambini, voglia di novità. A settembre veniamo a sapere che le nostre due classi sono state accorpate; alcuni bambini vengono mandati in altri plessi, ventinove restano con noi: occorrerà una deroga del collegio docenti per poterli tenere tutti. Insegneremo in due classi, la prima e la seconda, ventotto e ventisette scolari. 
Come sono belli i bambini piccoli, così capaci di sorprendersi di tutto. Insegnare a leggere e scrivere è un’avventura faticosa e affascinante. Invento una storia per ogni letterina; la giochiamo nel bosco, nel prato, nel parco-giochi. Prendo alcuni suggerimenti da Steiner, ma li elaboro a modo mio. I bambini mi ascoltano incantati, ricordano le lettere, leggono le prime sillabe, poi le parole: è un miracolo, ogni volta. Finché c’è un po’ di sole, le uscite sono quotidiane: cerchiamo ragni e api, ci rotoliamo nell’erba, raccogliamo le castagne, facciamo le capriole. 
Con noi c’è Gertrud, che viene dal Senegal: tante treccine nere e una vivacità incontenibile. Del resto i bambini di origine straniera sono ormai parecchi: hanno genitori provenienti dal Marocco, dall’Egitto, dal Venezuela, dalla Repubblica Ceca, dalla Spagna. La nostra scuola diventa pluri-etnica, pluri-linguistica, pluri-religiosa, pluri-culturale, pluri-tutto. Così chiediamo un’insegnante in più, presentando al Provveditorato un progetto, che viene accettato, per l’integrazione degli alunni stranieri e la prevenzione della dispersione scolastica. 
I momenti in cui le due classi non sono divise (tre giorni alla settimana) sono duretti, ma si va. Il mercoledì è giorno di laboratori: musica, motoria, immagine, linguistica, gioco relazionale. Si parte da una storia, la si rielabora nei diversi linguaggi, la si riespone creativamente attraverso la forma del teatro. Nel frattempo si fanno crescere i bambini dal punto di vista della relazione: scoperta dell’amicizia, della diversità positiva, del conflitto, della solidarietà, dell’inclusione e dell’esclusione. Il clima relazionale delle due classi migliora sensibilmente. Partecipiamo a una mostra indetta dall’Unicef con la provincia; portiamo i bambini in città: si divertono un mondo. Per la verità, ci divertiamo molto anche noi. Prima di tornare a scuola, andiamo con i bambini al lago: la magia che increspa le onde stende mantelli di seta, l'azzurro imprigiona gli occhi.
Un bel problema ci viene regalato da Mara. Non è riuscita a frequentare la materna e anche venire alle elementari per lei è un trauma: piange, piange e piange; a momenti piangiamo anche noi. Non sappiamo più che cosa fare: se la coccoliamo singhiozza disperata, se le parliamo con decisione singhiozza ancora di più. Fa moltissime assenze: è davvero sempre ammalata? E veramente si ammala in coppia, con il fratello di seconda? Intanto impara a leggere molto tardi, verso la fine dell’anno scolastico. 
A giugno il bilancio: è stato un anno buono, a parte i disagi per il cambio di direzione. In particolare, ho trovato difficile il mestiere della collaboratrice. Ho l’impressione di aver deluso le aspettative di alcune colleghe. 

Una bella seconda 

Seconda. Bella classe: i bambini sanno leggere e scrivere, ci si può immergere in tante esperienze avventurose e scoppia la creatività. I boschi non smettono di invitarci e noi ogni tanto accettiamo le loro proposte.
Sono in Consiglio di circolo e nello Staff di direzione. Ho avuto molti voti alle elezioni: se delusione c’è stata, le colleghe l’hanno perdonata. Presiedo anche l’Interclasse, ma questo si rivela, contrariamente alle aspettative, un incarico pesante: se non avessi l'aiuto di Mariam, sarebbe un disastro. 
Partecipo a due corsi di aggiornamento: informatica (imparo poco, per fortuna ho un istruttore privato) e didattica per concetti. Durante il secondo conduco un gruppo di lavoro: non è un’esperienza entusiasmante, ma c’è da imparare. Da gennaio abbiamo una reggente; mi sembra di trovarmi bene: è preparatissima e ha buon senso. 
Mara non piange più; viene a scuola volentieri, impara. Ha ancora problemi in matematica e storia, ma in italiano va benino. 
In novembre vengo aggredita dal marito della possente signora delle sommosse sulla piazza della chiesa: mi accusa, anzi ci accusa, di aver parlato male di suo figlio con i professori delle scuole medie e di averlo perseguitato durante le elementari. Non si è mai sentito dire che una maestra parli male di un suo scolaro, così vado alla scuola media per vedere che cosa stia succedendo e vengo a sapere che la signora continua a fomentare rivolte: evidentemente si tratta una sua personale vocazione. 
Gertrud se ne va, in una triste mattina di sabato. Altra separazione, altre lacrime. La piccola fa di tutto per restare, vorrebbe perfino lasciare i genitori che si trasferiscono. Da Lecce, dove è andata ad abitare, scrive e mi telefona, ma la classe senza di lei non è più la stessa. Nel frattempo Francesca deve affrontare la fuga del papà: è dura per lei e per noi. Per fortuna la piccola ha scoperto la passione per la poesia e versa lacrime nelle parole.
Intanto continuano i laboratori: scoperta di sé, scoperta dell’altro, scoperta del “noi”. Le attività vanno bene per la bravura delle mie colleghe. Partecipiamo a percorsi sensoriali nel bosco, costruiamo libri di filastrocche, facciamo teatro e andiamo a teatro. 
Come sono dolci i nomi dei bambini: Renato, Marino, Edoardo, Felicita, Belinda, Romana... per non parlare dei loro volti e dei loro sorrisi. L’anno finisce e un po’ mi dispiace.

Ogni riferimento a persone, luoghi e tempi è puramente casuale.
Il disegno di copertina è stato chiesto in prestito alla scuola del Villaggio Gaia.

 Maestra M.