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La bella storia della lettera H


Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera H

Un tempo, quando non esistevano né la lettura né la scrittura e nemmeno il telefono, bisognava imparare tutto a memoria e questo fatto provocava un’infinità di pasticci, poiché c’era sempre qualcuno che non imparava tanto bene o dimenticava qualcosa. La mamma di un certo Pierino, ad esempio, mandava il figlio a fare la spesa: sei etti di pane, trenta grammi di carote, un sacco di patate e un etto di prosciutto... “Vai Pierino e ricorda tutto per benino.” Pierino andava, ma non ricordava tutto per benino, così capitava che comperasse un etto di pane, trenta sacchi di carote e un etto di patate. A cena la famiglia s’ingozzava di carote e dava un sacco di botte al povero Pierino.
Visto come andavano le cose, il Signore del fiume inventò gli alfabeti,diede vita alle letterine e le mandò in giro per le strade del mondo, perché si facessero onore lavorando per gli uomini. Purtroppo, nella fretta di creare, dimenticò di dare la voce alla lettera ACCA, che rimase muta. Ognuna delle sue compagne rappresentava un suono e tutte si davano un gran da fare a comporre parole e frasi. Lei sola era disoccupata e le amiche, pur volendole bene, a poco a poco la dimenticarono. Anzi, quando volevano dire a qualcuno che non sapeva proprio fare niente, dicevano:
Non vali neanche un’ACCA
Nacquero le parole scritte, ma nessuna di esse conteneva i suoni chi che ghi ghe.

Questa situazione durò fino a un mercoledì,

giorno di mercato, quando tutte le letterine andavano a fare la spesa. Purtroppo in quell’occasione giravano tra le bancarelle anche alcune ladruncole che tentavano di rubare il portafoglio alla gente per bene. Le letterine stavano molto attente e, quando vedevano arrivare le ladre, gridavano a più non posso, così la gente accorreva e le malviventi scappavano a gambe levate. Quel giorno però le ladruncole assalirono proprio la povera ACCA, che, non potendo gridare, venne derubata e picchiata selvaggiamente. Verso sera, quando il cielo incominciava ad imbrunire e il sole si ritirava nelle sue stanze per far posto alle stelle, quattro amiche tornavano chiacchierando dalla spesa. Erano la C, la G, la E e la I. Camminavano piano piano, quando videro la povera ACCA pesta e piangente, rannicchiata sul marciapiede della strada. Subito le si fecero intorno e le chiesero che cosa le fosse successo. A gesti l’ACCA si spiegò; dapprima le amiche s’indignarono, poi si commossero e infine decisero che non avrebbero mai più lasciata sola la loro compagna. Da quel giorno, infatti, quando l’ACCA usciva di casa, le si mettevano accanto come guardie del corpo, schierandosi così: CI ACCA E, oppure CI ACCA I, oppure GI ACCA E, o GI ACCA I.

A forza di uscire con lei,

impararono a capire i suoi gesti e le si affezionarono moltissimo… Ma la sorpresa più bella venne quando si accorsero che insieme riuscivano a comporre quattro suoni nuovi: CHE – CHI – GHE - GHI. Nacquero allora parole bellissime:
chicche e cacche,
mucche e vacche,
streghe e righe,
maghe e spighe,
ghiri e maghi,
ghisa e vaghi,
chiese e chicchi,
chili e ricchi...
e altre trovatele voi!

Dopo qualche anno di fatica,

le letterine decisero di incontrarsi, per vedere insieme come stava andando il lavoro, così si riunirono in un piccolo hotel sulla costa Smeralda. 


LA FORMA DI QUESTO HOTEL NON TI FA PENSARE A UNA LETTERA PARTICOLARE?

Dalla finestra della loro camera, potevano vedere il mare che si muoveva senza fermarsi mai. Le onde si precipitavano contro gli scogli e li abbracciavano con forza, per poi rompersi in mille spruzzi e goccioline. L’acqua cambiava continuamente colore: da bianca diventava azzurra, poi verde, poi blu, poi grigia, poi ancora bianca. Al tramonto si colorò di rosa e si vide il sole abbassarsi e sciogliersi tra le onde diventando acqua lui stesso e dipingendosi di arancione, di rosso, di viola. Infine i colori si spensero e un mantello scuro si stese sul mare, mentre le stelle cominciavano a pungere il cielo di luce. Le letterine andarono a letto, dormirono saporitamente e il giorno dopo si riunirono di buon’ora nel salone dell’hotel.

Quando si furono accomodate, 

prese la parola la lettera A: essendo la prima dell’alfabeto, si sentiva anche la più responsabile. Dopo aver espresso grande soddisfazione per il lavoro svolto da tutte e aver illustrato i benefici che la scrittura aveva portato agli uomini, disse: “Colleghe, purtroppo oggi dobbiamo affrontare un grosso problema. Parlo a nome mio e della O, della I e della ENNE. Voi sapete che le azioni, cioè i verbi, sostengono le frasi e perciò le letterine che li compongono faticano più delle altre e devono essere robuste, altrimenti tutta la frase cade, non sta in piedi”. Le letterine assentirono: tutte loro avevano provato a lavorare in qualche verbo e sapevano quanto fosse faticoso. “Ecco” continuò la A “voi sapete che noi formiamo le voci del verbo avere. Non ci lamenteremmo se non dovessimo anche lavorare in altre parole e soprattutto se non fossimo impegnate (parlo per me, la O e la I ) a fare i funzionali. A volte, credeteci, il compito è così difficile che temiamo di non riuscirci. Ci vorrebbe una lettera di buona volontà che ci desse una mano, affiancandosi a noi quando lavoriamo per il verbo avere. Questo permetterebbe anche agli uomini di distinguere le voci del verbo avere dai funzionali “o a ai” e dal nome “anno”. Terminato il discorso, sull’assemblea cadde un silenzio imbarazzato. Le letterine guardavano per terra e tossicchiavano nervosamente: ognuna di loro aveva tanto da fare, il lavoro era pesante, non finiva mai, come avrebbero potuto assumersi altre fatiche? La A stava incominciando a perdere la speranza, quando vide alzarsi una manina esile ma decisa. Guardò meglio: era la mano della lettera ACCA. -Vuoi aiutarci tu?- le chiese incredula. L’ACCA fece di sì con la testa. La A, la O, la ENNE e le altre lettere erano perplesse: sarebbe riuscita l’ACCA a sopportare un lavoro così pesante? Era tanto magrolina, ma soprattutto era... era... muta! In quel momento si alzò la CI e, con la sua solita foga, gridò: “Signorine, amiche, sorelle! L’ACCA ha lavorato duramente, è stata sempre puntuale, è riuscita addirittura a formare con noi suoni nuovi! Se adesso pensa di potersi assumere questo lavoro, vuol dire che ci riuscirà. Diamole fiducia!” Anche la GI, la E e la I si dichiararono d’accordo, così l’assemblea decise all’unanimità di dare il nuovo lavoro all’ACCA. Anzi, per festeggiare la decisione, le letterine organizzarono una bella festa alla quale invitarono i colori, le note musicali e i numeri. I primi prepararono uno straordinario spettacolo pirotecnico sul mare, le note suonarono musiche dolcissime e scatenate, i numeri ballarono tutta la notte con le letterine. La più contenta di tutte era l’ACCA, che non si sentiva più impacciata e buona a nulla. Ora era una vera lettera, capace di lavorare con le altre formando suoni e sostenendo frasi. Il primo lavoro le aveva ridato fiducia in se stessa, il secondo rendeva più bella e interessante la sua vita.
Ecco perché, da quel giorno, in quattro voci del verbo avere (io ho, tu hai, egli ha, essi hanno) si usa l’ACCA. Dicono che il Signore del fiume, quando venne a sapere i fatti che ora vi ho raccontato, abbia sorriso lungamente nella sua bella barba bianca.

Quanto a voi, ragazzi, fate attenzione a usare l’ACCA nel modo giusto, altrimenti si offende da morire. Come fare a riconoscerla? Semplicissimo! Basta seguire le indicazioni della filastrocca che segue. Se volete impararla a memoria, ci riuscirete in un attimo e non sbaglierete mai più.

Vuoi una bella tazza,
o vuoi una ragazza?
Qui o vuol dire oppure,
è un funzionale solo
e l’acca che lo sa
è scappata e ha preso il volo!

Io ho una grossa palla
e ho una gonna gialla.
Ho vuol dir “possiedo”,
perciò è verbo avere:
presto, usa l’ACCA,
le farai un gran piacere!

Io vado ai monti e al mare,
tu vai sempre a giocare.
In questo caso ai
è una preposizione;
non puoi usare l’acca,
sta giocando al pallone!

Tu hai tante ciambelle
e hai cento caramelle.
Hai vuol dire avere,
vuol dire possedere:
l’ACCA ti sta aspettando,
non darle un dispiacere!

Se non vuoi questo bignè,
dallo pure a me!
Preposizione semplice,
neppure articolata,
a non vuole l’acca,
sarebbe cosa errata!

Gianna ha un bel vestito
con l’orlo lungo un dito.
Qui l’ACCA vuol restare
e nessuno può sbagliare:
se ha vuol dire avere
l’Acca vuol rimanere!

Tutti hanno sete,
tutti hanno fame,
tutti hanno
un bel pezzo di pane
Se hanno è verbo avere,
usa l’ACCA, lo devi sapere...
Ma se l’anno dei mesi hai in mente,
l’acca dorme e nemmeno ti sente!

E se ancor dei dubbi avrai,
a parlare così proverai:
Io avere guardato
tu avere sentito
egli avere mangiato
essi avere dormito
Se puoi usare avere
e lo puoi anche coniugare
l’acca ha da rimanere
non puoi proprio sbagliare...
Ormai l’hai ben capito...
e io con te ho finito!


Mariarosa Tettamant

Immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust