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Fede, speranza e resilienza



Esiste una resilienza per fede? Questo articolo cerca di rispondere a questa domanda, partendo dall'esperienza dal ministero della Comunione eucaristica agli ammalati.

Oggi si parla molto di resilienza, la famosa “strategia pedagogica anti crisi”. Il pedagogista Canevaro[1] a questo proposito afferma che la resilienza è la capacità di ripristinare le proprie condizioni integrali in tempi di crisi, costruendo uno spazio al di là delle invasioni procurate dalla malattia, dalla solitudine, dalla precarietà della vita, dalle delusioni, dal sentimento di finitudine … e scoprendo una dimensione che renda possibile il mantenimento armonico della propria struttura e psicologia. Di fronte alla sofferenza, aggiunge, è diverso sopravvivere indurendosi o diventando insensibili e reagire invece mantenendo intatte le propria sensibilità e la propria umanità. 

Quanti anziani, 

soprattutto tra quelli che incontriamo nelle case di riposo, sono diventati aridi, duri, scostanti? Sono forse persone malvagie o impenitenti peccatori? No, in realtà probabilmente questa è l’unica scappatoia che conoscono per la loro sofferenza, l’unico modo per tradurre e manifestare la frustrazione. Molti resistono nelle avversità, ma con costi notevoli per la vita di relazione. Una delle caratteristiche più importanti della resilienza è invece la capacità di trasformare un’esperienza dolorosa nell’organizzazione di un percorso soddisfacente, usando la debolezza come motore di un cambiamento positivo. Anche se le ferite non si rimargineranno mai completamente, perché resteranno sempre delle cicatrici di vulnerabilità, è possibile trasformare i punti deboli in punti di forza, che permettono di vivere uno stato nuovo di realizzazione personale. La resilienza sembra proprio necessaria in una società come la nostra, in cui tutto è liquido, perfino gli affetti che danno valore all’esistenza, come afferma ad esempio il sociologo Taylor. Per diventare resilienti, insegnano gli studiosi, occorre disporre di un “tutor“, che insegni tra l’altro ad attribuire un significato alle cose e quindi alla vita.

Ma spostiamo il discorso sul piano della nostra esperienza. 

Tanti anziani, dicevo, vivono in piena crisi: soffrono perché la vecchiaia da sola è già malattia; sono costretti, volenti o nolenti, a guardare in faccia alla fine, a fare i conti con la morte vicina; non potranno procrastinare a lungo l’incontro temibile con questa oscura e deprecabile sorella della vita. Anche quando stanno bene, si rendono conto di perdere giorno per giorno un po’ di memoria, un po’ di autonomia, un po’ di salute … se sono in una casa di riposo, sanno che non usciranno più di lì …

Eppure io ho in mente percorsi sorprendenti

di anziani che arrivano in casa di riposo in piena negazione (“Io non sono come questi qui, sono qui soltanto per rimettermi in forze, i miei figli non mi lasceranno qui “) e vengono poi travolti dalla consapevolezza disperante che non usciranno più. Molti assistono alla progressiva scomparsa dei famigliari, vivono il ricovero come una prigione, si sentono di peso, perdono la libertà persino di decidere a che ora alzarsi … e allora rifiutano la Comunione eucaristica, perché sono arrabbiati con il Signore; non si confessano, invocano e nel contempo temono la morte. Poi incominciano a venire alla celebrazione del rito della Comunione, magari per curiosità o per passare il tempo o perché trascinati da qualcuno … E lì odono parole di speranza, che interpellano in maniera quasi violenta la fede assopita, e allora poco per volta tutto cambia: si ritorna a Gesù e si scopre che è bello guardarsi con lo sguardo di Dio, perché per questi occhi non contano le rughe né gli anni, anzi sono occhi che rinnovano la giovinezza …

Allora anche il ministro

si ritrova colmo di stupore e pensa: “Com’è bello che Dio li avvicini a Lui; hanno vagato più o meno lontani da Lui a lungo e ora se li riprende e comincia a colorare il loro tempo di eternità, a dare loro un assaggio di paradiso”. Così può succedere che qualcuno dica “Sto passando un bel periodo, uno dei più belli della mia vita, non mi manca niente perché con me c’è Gesù, ho il tempo per pregare …” E magari nasce il gruppo del rosario e comincia a circolare una carità visibile, tangibile, e perfino la fede del ministro è rafforzata e diventa più ardente e più umile.

Questa è certamente resilienza,

ma è anche molto di più. È una resilienza accesa dalla fede e dalla speranza, cioè dalla consapevolezza che il dono di Dio sostiene l’attesa e il coraggio di resistere. Non solo dà significato alle cose e alla vita, ma apre alla Bellezza di un’esperienza futura che si sa meravigliosa e priva di ogni male.

Possiamo allora parlare

di una resilienza spirituale, o meglio, guidata dallo Spirito? Credo proprio di sì.
Non possiamo a questo proposito non pensare al concetto di resistenza e resa del teologo martire, il tedesco Bonhoeffer: “I limiti tra resistenza e resa al destino non si possono declinare sul piano dei principi… La fede richiede un agire mobile e vivo …” [2] Come dire che talvolta la resa è un grande passo in avanti … se si tratta di arrendersi alla misericordia di Dio. Dalla visione unitaria di questi due concetti è possibile trarre il vero significato di resilienza:

resistenza al male in tutte le sue forme 
resa a Dio, e soltanto a Lui e al suo amore che tutto trasforma, 
resilienza cristiana, resilienza per fede.

Lotta e consegna: due predicati diversi con due destinatari antitetici.
Allora quel percorso di realizzazione personale auspicato dalla resilienza diventa un cammino spirituale di accettazione della volontà di Dio. 

Ed ecco affacciarsi proprio qui,

in questo punto, il felice paradosso cristiano: la nostra realizzazione personale passa attraverso la dimenticanza di noi stessi, che ci libera e ci dà radici e ali, come fa ogni buon Padre con i propri figlioli, ci annega in Cristo e da Lui ci fa nascere completamente nuovi. E noi possiamo a buona ragione diventare tutor di resilienza dei nostri anziani, o meglio aiutanti di Gesù nel portare a termine i progetti di vita da Lui voluti: purché non dimentichiamo mai che il vero Tutor, il nostro e il loro, è Lui, lo Spirito.


[1] A. Canevaro, A. Malaguti, A. Miozzo, C. Venier (a cura di), Bambini che sopravvivono alla guerra, Erickson, 2001
[2] D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, pag. 39 – 40.