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Disabilità e catechesi

"Sei tu, Gesù?"
Appunti e suggestioni sulla disabilità in catechesi

Premessa 

Quali scelte fondanti, quali punti fermi, quali opzioni pedagogiche e didattiche possiamo individuare e mettere in atto nel momento in cui nel gruppo della catechesi arriva un bambino con disabilità, aprendo così per noi un mondo affascinante e un impegno ricco di soddisfazioni, ma anche carico di apprensioni e di timori? Senza nessuna pretesa, non solo di esaurire l'argomento, ma nemmeno di affrontarlo in maniera organica e completa, cerco di offrire qualche spunto di riflessione e un primo aiuto per attuare scelte motivate e collaudate.
Incominciamo leggendo il raccontino che segue.

racconto: La chiocciola e la farfalla

C’era una volta una chiocciola che si era stancata di camminare piano piano: voleva correre come le lepri o, meglio ancora, volare come le farfalle. Era molto arrabbiata con il suo guscio, perché era lenta per colpa sua. Era così scontenta di se stessa che pensava di essere brutta e non riusciva a vedere le sue buone qualità. Tutto il mondo ormai le sembrava grigio e non le piacevano più nemmeno i petali delle margherite che erano sempre state il suo piatto preferito.
Un giorno, mentre come sempre era immersa nei suoi tristi pensieri, sentì arrivare da lontano il tuono che annunciava il temporale. Subito si rannicchiò nel suo guscio e aspettò che giungesse la pioggia. Mentre sonnecchiava attendendo il tamburellare dell’acqua, sentì una vocina fievole che chiedeva aiuto. Guardò attentamente e vide una farfallina rossa e lilla che si era riparata sotto una foglia di castagno, ma temeva di essere raggiunta dall’acquazzone: se se si fosse bagnata le ali, non avrebbe più potuto volare. “Presto!” gridò la chiocciola “Vieni da me, farfalla, vieni nella mia casa! Staremo un po’ strette, ma ti salverai!”.
Senza farselo ripetere, la farfalla corse a rifugiarsi nel guscio della chiocciola e parlò a lungo con l’ospite mentre il temporale poco per volta si allontanava brontolando nel cielo. “Si sta bene qui da te” disse la farfallina. “Sei così bella e colorata” rispose la lumaca. “Davvero?” rispose la farfalla sorpresa: “Io invece ho sempre ammirato i disegni screziati del tuo guscio! Sono bellissimi!”. Parlando parlando, la chiocciolina imparò grandi cose dall’amica, che vedeva tutto dall’alto e poteva scegliere i fiori più belli, ma con suo grande stupore scoprì che anche lei poteva darle delle bellissime informazioni: ad esempio conosceva i giochi delle cavallette e delle formiche tra le radici degli alberi e il punto in cui l’erba spuntava dalla terra morbida; sapeva dove rifugiarsi a pensare nella pace e com’era bello contemplare le strisce di luce che il sole disegnava sul muschio del sottobosco. Essere lenta in fondo non era completamente brutto!

Quando la pioggia cessò, le due amiche uscirono a vedere l’arcobaleno e salutarono il sole, che finalmente era ritornato a splendere. “Come ti chiami?” chiese la chiocciola. “Leggera” rispose la farfalla: “E tu?” la lumaca ci pensò un po’ e poi disse fieramente: “Lenta!” e aggiunse: “Il mio guscio mi rende lenta, ma può servire a te quando c’è il temporale e anche di notte, se vuoi ripararti dall’umidità”. “Ci puoi contare” disse l’amica “Ma io che cosa posso fare per te?”. “Potresti volare e cercare i prati di margherite, ma anche vedere dall’alto i pericoli e avvisarmi” rispose la lumaca. “Benissimo” disse la farfalla e da quel giorno le due amiche non si lasciarono mai più: si erano accorte infatti che la loro vita era diventata molto più bella, colorata e luminosa!

***

Tutti i catechisti ospitano nei loro gruppi chioccioline e farfalline: bambini che camminano nella vita trascinando ferite pesanti, palesi o invisibili, e bambini a cui non manca nulla, e quindi procedono più leggeri, ma sono comunque portatori di una fragilità naturale, da tutelare e sostenere. Uno dei segreti per favorire la loro crescita armoniosa e serena sta nel guidarli verso la scoperta della bellezza dell’imparare insieme e dell’aiutarsi, unendo pregi e debolezze, nel rispetto dei ritmi di ciascuno. Si tratta di creare delle alleanze e delle complicità vantaggiose per entrambi: i bambini normodotati possono aiutare i compagni in difficoltà diventando per loro movimento, sensorialità e cognitività; i piccoli disabili dal canto loro possono insegnare agli amici una salutare lentezza, capace di incoraggiare la riflessione e la creatività, suggerendo contemporaneamente attitudini a uscire da se stessi, per accorgersi dei bisogni degli altri e attivare aiuti gioiosi; molte insegnanti hanno potuto a questo proposito sperimentare quanto l'occuparsi dei compagni disabili abbia agevolato negli amici tutor lo sviluppo dello spirito d'iniziativa.
Il terreno d’incontro, a volte scosso dal temporale a volte rallegrato dall’arcobaleno, è il gruppo, ma perché splenda il sole ci vuole la regia sapiente del catechista, il quale proprio per questo è chiamato a conoscere le scelte fondanti e i punti di non ritorno intorno a cui lavorare, ad attrezzarsi con un pensiero pedagogico e didattico adeguato e ad imparare alcune tra le tecniche più adatte a favorire inclusione e apprendimento.

1. Due scelte irrinunciabili

Insieme agli obiettivi della catechesi dell’Iniziazione cristiana, declinati in maniera puntuale e precisa dai percorsi proposti a partire dal 2014 dal Servizio per la catechesi della diocesi di Milano, e validi per tutti i bambini senza esclusioni di sorta, individuiamo due scelte di fondo importanti, attraverso due raccontini molto semplici, che ho trovato nel web e ho opportunamente modificati, validi soprattutto per l’avventura meravigliosa che vive chi ospita un bambino disabile nel proprio gruppo di catechesi.

racconto: Il mendicante e la catechista

Era il ventuno di dicembre di un anno qualunque e nell’aria veleggiavano ormai da ore grossi fiocchi di neve. I tetti delle case avevano indossato cappucci puliti e le strade imbiancate offrivano uno scorcio gioioso, un candore scintillante e scanzonato. La nevicata aveva a poco a poco cancellato tutto il grigio della città e nell’aria danzava un’allegria nuova, che si faceva strada nel silenzio appena rotto da qualche rumore ovattato o dalla risata eccitata di un bambino. Un uomo macilento stava seduto sui gradini della chiesa: davanti a sé aveva un cappello per raccogliere le offerte e un cartello con la scritta “sordocieco”.
Una mamma catechista, che aveva portato il suo bambino a scuola e stava tornando a casa, si fermò e notò che nel cappello del povero c’erano pochi centesimi. Allora si chinò, mise tra le monete una banconota e poi, senza chiedere il permesso, prese il cartello e con un pennarello aggiunse qualche parola alla scritta.
Nel pomeriggio la mamma ritornò a prendere il figlio e passando notò che il cappello del mendicante era colmo di denaro. L’anziano disabile riconobbe dalle vibrazioni sul manto nevoso il passo della signora e a cenni non finiva più di ringraziarla. Egli non seppe mai che nel suo cartello c’era scritto: “Sono sordo cieco. Mi hanno detto che oggi c’è la neve, ma io sento solo tanto freddo.”

racconto: Il catechista e la bambina

L’aeroporto era piccolo, ma brulicante di gente. Lungo le pareti si accatastavano i miseri banchetti dei venditori locali. Tra i passeggeri alcuni catechisti correvano verso l’imbarco: tornavano da un convegno internazionale, ma lungo la strada avevano avuto dei contrattempi e rischiavano di perdere l’aereo.
Senza volerlo, uno di loro travolse un banchetto che esponeva della frutta esotica, che cadde e si sparse a terra. Senza fermarsi, i viaggiatori continuarono a correre e riuscirono a salire sull’aereo.
Tutti meno uno. Costui si fermò, pensò rapidamente a ciò che era successo e poi disse ai suoi amici di continuare senza di lui; quindi tornò al terminal, dove c’era il banco della frutta rovesciato. Una bambina stava tentando di raccogliere dei manghi e alcune piccole banane, ma li cercava a tentoni, allungando le mani e tastando più volte il pavimento: era cieca! La bimba piangeva piano, cercando di trattenere i singhiozzi, mentre le lacrime le bagnavano il visetto addolorato. Intorno, il fiume delle persone scorreva senza fermarsi.
L’uomo rimise in piedi il banco e poi s’inginocchiò vicino a lei e l’aiutò a rimettere i frutti nelle ceste. Molti però si erano ammaccati, così il catechista mise tra le mani della bimba cinquanta euro e le disse con dolcezza: “Perdonaci e compra altra frutta”. Poi le allungò una carezza: la bambina sorrise e annuì. L’uomo le strinse la manina e si allontanò.
Dopo pochi passi, sentì la vocina esitante della piccola: “Signore!”. “Che c’è?” disse l’uomo girandosi e incontrò due occhioni brillanti ma vuoti che lo cercavano senza vederlo: “Sei tu … sei tu Gesù?” disse la bambina e poiché l’uomo non rispondeva aggiunse: “Vero?”. Aveva l’espressione del viso trasfigurata dalla speranza e un sorriso appena accennato che aspettava una conferma per esplodere in una risata.
L’uomo s’immobilizzò, poi sentì il cuore che si colmava di lacrime e allora si riavvicinò alla piccola, la strinse in un abbraccio premuroso, delicato, senza fretta e se ne andò piano piano. La bambina era felice e rideva come se cantasse: aveva avuto la sua conferma!

***

Abbiamo letto due favolette diverse, ma con protagonisti simili: ambedue presentano persone con disabilità che s’incontrano con due passanti capaci di chinarsi sulla diversità in modo intelligente e pieno di cuore. La prima storiella presenta l’atteggiamento perspicace di una donna che ha scoperto il segreto per parlare della disabilità a chi non la conosce: soltanto immedesimandosi nei problemi e nella vita delle persone disabili è possibile cogliere il riverbero di certe sofferenze e anche di alcune intense gioie. A livello pratico, questo ci dirà ad esempio l’importanza di preparare con dei giochi di simulazione i futuri compagni del bambino disabile che verrà accolto nel nostro gruppo. La seconda storiella è proprio la nostra storia: noi siamo chiamati a prestare le mani e la voce al Signore e solo quando qualcuno scorgerà Gesù in noi avremo assolto la nostra missione.
Quando in catechesi siamo chiamati ad accogliere un bambino disabile non dimentichiamo dunque mai queste due scelte fondanti:
  1. il nostro sguardo deve sempre abbracciare tutto il gruppo, ma a partire dal bimbo disabile;
  2. noi siamo immersi in questa missione, in quanto prestati a Gesù, ai suoi gesti, alle sue Parole, al suo cuore.
Per il resto, incominciamo con lo "studiare a memoria” i punti che seguono.

2. Pro memoria essenziale per chi incontra i bambini disabili in parrocchia

a) La persona disabile mentale e sensoriale è limitata nelle capacità di ragionamento e nell’autonomia, ma non nel cuore[1]: per questo può rispondere all’amore di Dio e per questo deve avere la possibilità di crescere nella fede e diventare testimone e annunciatrice del Regno.

b) L’inclusione è un diritto fondamentale di ogni persona ed è in relazione con il concetto di appartenenza[2]: non è quindi possibile sentire di appartenere alla Chiesa se non si è inclusi nei gruppi che fanno capo alla comunità cristiana locale. Ogni persona disabile ha pertanto il diritto di inserirsi nella vita della comunità “come soggetto attivo, per condividere doni e pesi, per mangiare lo stesso Pane, formare lo stesso Corpo in un solo Spirito e annunciare il regno di Dio”[3], per scoprire e vivere la sua vocazione alla santità.

c) Le persone con o senza disabilità possono interagire alla pari.[4]

d) Per vivere la carità di Gesù, occorre andare molto al di là dell’atteggiamento tollerante o assistenzialistico nei confronti delle persone disabili: di esse ci si deve far carico nella globalità dei loro bisogni umani e religiosi, con la convinzione che la comunità cristiana senza di loro non può dirsi completa.[5]

e) Le diversità costituiscono un arricchimento per tutti e l’inclusione dei bambini disabili nella catechesi è una stimolante occasione di crescita anche per i ragazzi normodotati, perché incoraggia in essi l’assunzione di comportamenti sociali positivi, finalizzati al benessere altrui.

f) I nuclei familiari delle persone disabili sono per tutti punti di riferimento importantissimi: devono quindi essere coinvolti nella vita della Chiesa locale, dove troveranno condivisione dei vissuti emotivi e aiuto concreto nelle difficoltà quotidiane.[6]

[1] Bissionier, in Mathieu, La persona handicappata mentale e il suo Dio.
[2] A. Canevaro (a cura di), Trent’anni di inclusione nella scuola italiana, Erickson, Trento 2007.
[3] S. Soreca, L’IC alle persone disabili. Orientamenti e proposte. Ricezione e attualizzazione in una pastorale inclusiva, intervento tenuto in occasione di una giornata di studio promossa dall’UCN, Roma, 24 marzo 2012.
[4] A. Canevaro, op. cit
[5] Vedi UCN, L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte, EDB Bologna 2004.
[6] Per approfondire il discorso relativo all’inclusione dei bambini disabili nella catechesi e nell’oratorio, vedi M. Tettamanti, Crescere insieme nella comunione, in Arcidiocesi di Milano, Servizio per la catechesi, Rimanete in me e io in voi, Centro Ambrosiano, Milano 2016.

3. Il rispetto dei tempi e la pedagogia della lumaca

Quale pedagogia è più adatta a costruire l’humus, il clima educativo capace di agevolare la gestione di un gruppo che ospita il prezioso fardello della disabilità?
Siamo nell’epoca del tempo senza attesa, in cui si vuole tutto e subito. La nostra società è centrata sul mito della velocità, dell’accelerazione e della competizione, realtà che chiedono investimenti cognitivi ed emotivi molto alti. Abbiamo costruito un mondo in cui non c’è spazio per le chioccioline, cioè per i bambini che presentano difficoltà di ogni genere, di apprendimento e di comunicazione ad esempio, oppure disabilità sensoriali, o ancora impedimenti motori, come la chiocciola protagonista del raccontino che ha introdotto questo lavoro. Essi hanno bisogno di riflettere e operare in maniera lenta e semplice, cioè devono disporre di tempi buoni, quindi distesi. È questo il suggerimento proveniente dalla pedagogia della lumaca, presentata in Italia dal maestro Gianfranco Zavalloni, il quale nell’elaborazione del suo pensiero tiene giustamente conto di tutti i bambini, anche delle farfalline, che pur sapendo volare (cioè, fuori dalla metafora, pur avendo normali capacità cognitive, sensoriali e motorie) possono soccombere nei temporali della vita se non trovano educatori capaci di accogliere e accompagnare la loro debolezza infantile.
È la riscoperta della lentezza come valore, a sostegno della fragilità. È l’invito rivolto a tutti a riappropriarsi dei propri spazi e a usare il tempo in maniera leggera, per se stessi e per le proprie relazioni, per sviluppare i propri veri interessi. Festìna lente, dicevano gli antichi (“Affrettati lentamente”) e Christof Baker, nella prefazione al libro di Zavalloni “La pedagogia della lumaca”, scrive: "Quando si parla di lentezza, bisogna parlare anche di leggerezza e di fragilità. Questi concetti sovversivi per la nostra società trionfante nel suo materialismo pesante e devastatore, sono la misura di un reale cambiamento antropologico di cui l’umanità ha urgente bisogno".[1]

È bello e giusto, negli incontri di catechesi, comunicare il gusto e il piacere di dare tempo alla lettura dei dettagli, ma soprattutto al volersi e al volere bene, per sciogliersi dall’ansia e dagli affanni con leggerezza, staccandosi dalle pretese esagerate di un io gonfiato e mai contento e liberandosi dal desiderio di essere perfetti, di apparire, di emergere, di acquisire visibilità. E tutto ciò nella logica evangelica del seme che lentamente si dissolve e si trasforma, chiedendo solo di poter dare il proprio frutto a tempo debito. Se il discorso è urgente per tutti gli uomini e per tutti i bambini, lo è a maggior ragione per i bimbi portatori di disabilità, che hanno il diritto di essere incontrati in un contesto in grado di accogliere le loro difficoltà e di trasformarle in risorse per sé e per tutti.

4. La pluralità del linguaggi: dalla teoria dell’intelligenza multipla alla didattica dei mediatori e il loro ruolo nel coinvolgimento sensoriale

Una volta chiarito l’orizzonte pedagogico entro cui collocare i nostri interventi, quale tipo di mediazione didattica assumeremo per rendere gli apprendimenti il più possibile accessibili a tutti i bambini, soprattutto a quelli tra loro che si presentano più lenti nell’apprendere?
Ci aiuta nella scelta il pensiero dello statunitense Howard Gardner, psicologo americano della Harvard School, che rivide la concezione classica d’intelligenza, tutta fondata sulle capacità logico / matematiche e verbali, e ne mise in luce i limiti. Nel 1983 uscì con Formae mentis, un libro nel quale sosteneva l’esistenza di un’ampia gamma d’intelligenze.
In una prima fase dei suoi studi, egli ne individua sette varietà fondamentali: oltre all’intelligenza verbale e logico-matematica, che chiama intelligenze di tipo scolastico, perché normalmente coltivate a scuola, vi sono secondo lui le capacità spaziali (possedute ad esempio da artisti ed architetti), il genio cinestesico o intelligenza corporea, il talento musicale e l’intelligenza personale, che ha due facce: le capacità sociali o interpersonali e le capacità intrapsichiche o introspettive o intrapersonali. L’espressione chiave usata da Gardner è “intelligenza multipla”, espressione con la quale egli definisce un concetto d’intelligenza di tipo poliedrico e non più a senso unico. Gardner tuttavia riconosce da subito che il numero sette è una cifra arbitraria per descrivere la varietà delle intelligenze, poiché non esiste un numero in grado di dire la molteplicità dei talenti dell’uomo. Più avanti egli stesso, con i suoi collaboratori, ne individua venti tipi (tra cui l’intelligenza pratica, quella naturalistica, l’etica, la filosofico-esistenziale, la spirituale) fino ad ammettere che la gamma delle intelligenze umane è vastissima. Secondo Gardner, tutte le principali forme d’intelligenza vanno educate e sviluppate.

La teoria di Gardner trova applicazione nella didattica per mediatori di Elio Damiano[2], secondo il quale, nell’organizzare e animare il dialogo educativo, l’adulto sceglie segni e strumenti (i mediatori didattici appunto), attraverso i quali facilita la ricostruzione dell’esperienza culturale dei ragazzi, rendendo la realtà accessibile ai vari livelli della loro conoscenza. In ordine alla distanza dalla realtà, i mediatori didattici sono i seguenti:
  • i mediatori attivi, condensati nell’esperienza diretta;
  • i mediatori iconici, cioè le immagini fisse e in movimento;
  • i mediatori analogici, cioè i giochi di simulazione;
  • i mediatori simbolici, cioè i concetti e le teorie.
Elenco ora alcune attività divise per mediatori e utilizzabili in catechesi.
  • Mediatori attivi: esplorazioni ambientali (visite, gite, uscite sul territorio); realizzazione di oggetti; esperimenti.
  • Mediatori iconici: disegno spontaneo; disegno preordinato secondo piani contenutistici e / o particolari tecniche; analisi e interpretazioni di immagini selezionate; schematizzazione di esperienze, conoscenze, mappe, percorsi, eventi ….
  • Mediatori analogici: drammatizzazione; giochi di simulazione con canovaccio; esecuzione di copioni; giochi imitativi individuali e di squadra.
  • Mediatori simbolici: narrazione del catechista o dei bambini; discussioni finalizzate a sintetizzare od omologare le informazioni raccolte; riflessioni sulle procedure; applicazione e controllo di regole apprese; definizione di semplici concetti; formulazione di giudizi.
Specifico che i mediatori attivi creano occasioni di esperienza diretta e attivano la conoscenza corporea, cinestesica ed eventualmente musicale; i mediatori iconici si avvalgono del linguaggio grafico; i mediatori analogici si rifanno alle modalità del gioco simulativo e impegnano soprattutto l’intelligenza emotiva; i mediatori simbolici utilizzano lettere, cifre, simboli e parlano in modo particolare all’intelligenza linguistica e logica.
I mediatori attivi e analogici sono a forte implicazione emotiva, mentre quelli iconici e simbolici sono considerati più “freddi”, ma ciascuno di essi è portatore di una dimensione formativa specifica. I mediatori aiutano a trovare sentieri diversi per spiegare lo stesso concetto in modi differenti, avvicinando in maniera olistica ogni bambino.
Se la pedagogia della lumaca rispetta i tempi di ogni ragazzo, l’uso dei mediatori didattici rispetta i loro stili di apprendimento. È chiaro che per un bambino che presenta difficoltà cognitive il mediatore attivo, quello iconico e spesso anche quello analogico veicolano il sapere in maniera più puntuale e proficua che non il mediatore simbolico, al quale tuttavia conducono: quest’ultimo infatti è più astratto e quindi meno accessibile alla mentalità concreta del bambino. Per questo, a livello di comunicazione verbale, è meglio narrare che spiegare.

L’utilizzo dei mediatori e la chiamata in causa dell’intelligenza multipla favoriscono inoltre il coinvolgimento sensoriale dei bambini. Come sappiamo, infatti, i cinque sensi sono “finestre” corporee che permettono alla realtà di penetrare attraverso la percezione e arrivare alla coscienza. Coinvolgerli costantemente significa pertanto facilitare e arricchire l’apprendimento.
A questo proposito, il senso della vista è sollecitato soprattutto dal mediatore iconico e l’udito è coinvolto in modo particolare nell’intelligenza musicale. L’esperienza e la simulazione, dal canto loro, possono attivare tutti i sensi, compresi l’olfatto, il tatto e il gusto: un’escursione nei boschi per scoprire la bellezza della creazione mostra luci e colori, fa sentire la carezza del sole sulla pelle, il profumo delle erbe e dei fiori e il cinguettio musicale degli uccelli, mentre la condivisione del pane solletica piacevolmente il gusto.[3] La liturgia della messa dal canto suo non rinuncia a parlare a tutto l’universo sensoriale di ragazzi e adulti.
Per questo i sussidi e tutto il materiale presentato lungo le tappe del nuovo percorso della diocesi di Milano sono ricchi di illustrazioni, invitano spesso i bambini all’immedesimazione e propongono molte esperienze dirette. Essendo però rivolti a tutti i bambini richiedono talvolta di essere resi maggiormente fruibili dai bambini raggiunti da problemi di disabilità. 
La situazione di apprendimento che realizza in modo privilegiato, in una dimensione operativa e progettuale, l’intreccio tra più mediatori didattici è il laboratorio.
Non bisogna tuttavia dimenticare che nell’uso dei mediatori è possibile incorrere in alcuni rischi. Essi infatti possono finire per svolgere il ruolo di distrattori: questo succede quando conducono i bambini a concentrarsi troppo su determinati particolari, a scapito degli aspetti concettuali che dovrebbero veicolare. Il secondo rischio, collegato al precedente, può consistere nel mantenimento di un contatto eccessivamente prolungato con il mediatore, che finirebbe col trasformarsi in uno stereotipo.

Conclusione

“Sei tu Gesù?” Tutto ciò che facciamo in catechesi con i nostri bambini diventa per loro specchio di ciò che fa Gesù: è una grande responsabilità e una grande gioia, è la missione di chi è chiamato a svelare primavere di felicità anche là dove sembrano essere di casa il freddo e il buio della disabilità. Buon cammino catechisti!

Mariarosa Tettamanti

[1] G. Zavalloni, La pedagogia della lumaca, Emi, 2015.
[2] E. Damiano, I mediatori didattici. Un sistema d’analisi dell’insegnamento, IRRSAE Lombardia, Milano 1989. Vedi anche: www.unirsm.sm (Università degli Studi di San Marino, 2008).
[3] Ricordiamo che si parla di didattica sensoriale in modo approfondito nel laboratorio sulle disabilità dei sensi, che è possibile chiedere al Servizio per la catechesi della diocesi di Milano.

Immagine di copertina tratta da "Skitterphoto"