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Ninnolo e la nigella


Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera N

L’ottavo nano si chiamava Mignolo, anzi no… Ninnolo... o Nannolo, non ricordo bene. Comunque, dato che ai fini della storia il nome non importa, lo chiameremo Ninnolo, che tra l’altro mi sembra più carino. Ninnolo, dunque, era nato sei anni prima che iniziasse la vicenda che c’interessa, portato, come tutti i bambini dei racconti, da una grossa cicogna un po’ stanca. “Per fortuna questa è l’ultima consegna della notte“ aveva sospirato la cicogna e, prima di partire, aveva scritto il nome del neonato al centro del bavaglino di cotone, intingendo il lungo becco nell’inchiostro di china blu. Forse per la stanchezza, o forse perché ormai non era più tanto giovane neanche lei, aveva fatto uno scarabocchio proprio sulla i ed è per questo che ora io non ricordo bene il nome.

Un’ora dopo 

il piccolo era stato deposto nel cavolo più bello dell’orto dei nani. Dormiva profondamente, così non si accorse di nulla, nemmeno del baluginare del nuovo giorno, che si affacciava come lui alla soglia del mondo. Puntualmente come ogni mattina, la porta della capanna si aprì e i sette nani uscirono cantando, come ormai si sa, “Andiam-andiam-andiamo a lavorar”. Nessuno di loro pensò di guardare nell’orto e il povero Ninnolo rimase lì, solo e abbandonato. Si svegliò neanche mezz’ora dopo e immediatamente capì quattro cose: aveva fame, aveva sete, si era sporcato il pannolino e puzzava. Fece allora l’unica cosa che sapeva fare: pianse, gridò e si agitò con tutte le forze di cui disponeva. Tanto dispendio di energie fu però completamente inutile: nessuno si affacciò per vedere cosa stesse succedendo. Per consolarsi, il nostro Ninnolo si ficcò un pollice in bocca e si sentì decisamente meglio. Trovò la forza di aprire gli occhi e si guardò intorno. Vide un gruppo di alberi dai fusti sottili e dalle chiome leggere, mosse irregolarmente da un filo di vento. Vide un pezzo di cielo chiaro ritagliato tra due tetti appuntiti che quasi si toccavano (la capanna e la stalla dei nani) e sullo sfondo il disegno lieve di una montagna. Decise che il mondo era bello e che di conseguenza anche la vita era bella. Lui perciò sarebbe vissuto più a lungo possibile.
Alle undici tornò Brontolo per preparare il desinare ai fratelli. Pensò di cucinare una buona zuppa di cavoli e andò nell’orto, dove ebbe la sorpresa più grossa della sua vita. Si dimenticò immediatamente di brontolare e corse a perdifiato ad avvisare i famigliari. Dieci minuti dopo erano tutti intorno al cavolo grosso e gridavano a gran voce, accusandosi a vicenda di aver ordinato un bambino alla cicogna senza dirlo agli altri. L’unico a non urlare era Cucciolo; guardava affascinato il piccolo e ad un certo punto, tirando la giacca a Dotto, chiese: “Perché puzza?” Finalmente tutti tacquero e dodici mani si protesero a cercare di prendere il bambino. Ci riuscì per primo Eolo, lo raccolse senza badare all’odore e si precipitò in casa per cambiarlo. Tutti lo seguirono correndo e dimenticando di litigare. Da quel momento scoppiò un parapiglia che avrebbe per sempre cambiato la loro vita.

I nani non seppero mai

chi aveva richiesto il bambino alla cicogna, ma in verità non sarebbe stato difficile indovinarlo: la colpevole era Biancaneve, che non poteva rassegnarsi a restarsene nel castello col principe, sapendo che i suoi amici erano tristi per la sua partenza… E quella fu davvero un’ottima idea: tra pannolini e biberon, nella casa dei nani non ci fu più spazio per la tristezza. Forse per questo il piccolo crebbe ottimista: anche quando il cielo era sconvolto dalle nuvole, diceva che dietro ad esse il sole non smetteva d’annunciarsi. Finché non fu in grado di camminare, venne affidato alle cure di Pisolo, che restava a casa con lui, mentre gli altri andavano a lavorare. Di solito il nano metteva il piccolo sotto un grosso geranio e poi si addormentava beato. Ninnolo guardava le foglie del fiore, che non riuscivano a contenere i raggi del sole, guardava la luce che saltava tra una foglia e l’altra e rideva contento.

Un giorno,

mentre come sempre il suo distratto baby sitter dormiva accanto a lui, il piccolo nano scoprì di essere capace di gattonare. Era una giornata incerta, dipinta da nuvole, cielo e sciabolate di sole. La valle sembrava addormentata e i monti la difendevano calmi. Ninnolo si allontanò da Pisolo e si avviò verso il bosco, senza accorgersi che il cielo cambiava colore. Poco dopo cumuli di nuvole sparse si contendevano i pochi spazi ancora aperti e batuffoli bianchi si staccavano esitanti e lentamente migravano dall’una all’altra massa nuvolosa. A volte si arrestavano come intimoriti e aspettavano fermi l’immancabile abbraccio delle sorelle più grandi. In breve, il nero prevalse sul bianco e cancellò quasi completamente l’azzurro. Il temporale scoppiò mentre il bambino guardava perplesso un grosso fiore lucente e per fortuna svegliò Pisolo, che corse a cercarlo allarmato. Lo trovò bagnato fradicio, mentre ridendo tentava di mettersi in bocca un enorme lombrico scivoloso. Lo portò correndo nella capanna e lo asciugò bene prima di metterlo a dormire. Da quel giorno Pisolo cercò con poco successo di stare più sveglio.

A due anni esatti dalla nascita,

a Ninnolo fu imposto il cappello a punta di colore verde. Questo copricapo era considerato l’elemento più importante dell’abbigliamento nanesco e, benché il piccolo lo tenesse un po' sbilenco,  solo dopo la cerimonia della sua consegna fu ritenuto un vero nano. A quell’età aveva ormai incominciato a camminare e ogni giorno andava con i fratelli alla miniera. Mentre gli altri lavoravano, uno di loro restava con lui, lo sorvegliava e qualche volta lo faceva giocare. A Ninnolo piaceva guardare i rami dei pini che si cercavano attraversando l’azzurro del cielo. Dietro vedeva i monti, verdi in basso e blu in alto, e sopra le cime si alzava il bianco abbagliante delle nuvole. In quei giorni, i suoi fratelli gli mostravano frequentemente la cima di una montagna particolare, dove, contro l’azzurro dell’aria tersa, si stagliava il profilo grigio di una costruzione lunga, quasi una fortezza. A volte, sopra alla costruzione, oltre una striscia chiara di cielo, si stendevano grosse nuvole nere, che invadevano la parte restante della volta celeste. Altre volte il profilo stesso della grande casa scompariva, cancellato completamente dalle nuvole. I fratelli dicevano che quello era il castello dove Biancaneve viveva felice con il suo principe.

Qualche anno dopo

Dotto incominciò ad occuparsi dell’educazione di Ninnolo, ma spesso il piccino, invece di ascoltarlo, si perdeva a guardare il cielo, che si ritagliava finestre tra le nuvole bianche e si affacciava carico di promesse. A volte le nuvole si arricciavano compatte e si sovrapponevano le une alla altre, altre volte si dipanavano come matasse di lana e poi si ricomponevano inesauste. Anche quando sembravano minacciose, l’azzurro finiva per dilagare e fare spazio al sole. E quando la luce proprio non c’era, si poteva sempre indovinarla dietro le nubi, dov’erano più trasparenti e luminose.

Quando Ninnolo ebbe sei anni,

venne anche per lui il momento di salire al castello di Biancaneve. Partì di buon mattino con i suoi fratelli e arrivò a mezzogiorno alla grande cascata. L’acqua colava dai massi in fili di perle trasparenti e cantava a note spiegate, picchiava sui sassi colorati e si apriva in scintille iridescenti. Poco dopo si buttava di sotto con violenza e si lasciava cadere noncurante e rassegnata, finché improvvisamente riprendeva la corsa, scivolando e protestando a voce alta, trascinata via da altra acqua, che sopraggiungeva e correva a sua volta. Ninnolo guardava e rifletteva: l’acqua che stava passando ora era quella che era passata prima o era un’altra? E dove andava l’acqua? Perché correva sempre e non si fermava mai? La strada era lunga e, dopo aver mangiato, i nani ripresero il cammino. Si fermarono soltanto al termine della giornata, quando, a dividere il cielo dalla terra, si stese una lunghissima striscia chiara, delimitata da nuvole rossastre. Da lì sbucarono raggi di luce incredibili, che colorarono di giallo il buio della sera e fecero emergere profili incantevoli di nuvole grigie. Ninnolo non aveva mai visto niente di altrettanto bello. Scese presto la notte e la luna si accese in slarghi di luce quasi azzurra. I nani si cercarono un riparo in una grotta calda e asciutta, mentre il cielo si copriva di nuvoloni neri, simili a indisciplinate pecorelle dell’aria.

Arrivarono al castello del principe Azzurro

nel pomeriggio del giorno dopo e trovarono Biancaneve che li attendeva impaziente. Gli anni l’avevano appesantita, regalandole qualche chilo in più e qualche capello in meno e il suo viso appariva segnato da rughe leggere, ma gli occhi, i mitici occhi verdi di Biancaneve, erano rimasti gli stessi, brillanti e buoni come sempre, e il sorriso era ancora splendido e accattivante. Ninnolo non l’aveva mai vista prima, così gli sembrò bellissima. Si avvicinò esitante e gli sembrò di toccare il cielo con un dito quando lei lo sollevò da terra e se lo mise tra le braccia.

I nani rimasero un po’ di tempo al castello.

Biancaneve era felicissima e lavorava cantando: rifaceva i letti, preparava da mangiare, lavava, stirava e cuciva. Le piaceva moltissimo sbrigare le faccende come una qualsiasi brava massaia e d’altra parte era così noioso fare la principessa e starsene seduta sul trono tutto il giorno! Ninnolo non la lasciava un minuto: gli sarebbe piaciuto che Biancaneve fosse sua mamma, ma sapeva bene che i nani delle storie per bambini non ne hanno una, perciò avrebbe dovuto accontentarsi di considerarla sua sorella. Anche così era molto felice… Ma purtroppo arrivò il momento di tornare a casa.

Per rendere la partenza meno dolorosa,

Biancaneve era solita regalare ad ognuno dei nani un gigantesco lecca lecca da mettere sul cappello come se si trattasse di una piuma: succhiandolo pian piano, si sentiva meno il dispiacere del distacco. Anche quel giorno la principessa diede il dolce ai nani, cominciando da Dotto, il più anziano. Quando arrivò il turno di Cucciolo, Ninnolo cominciò a sentire il cuore che batteva forte forte: fra poco sarebbe toccato a lui. In un attimo fu davanti a Biancaneve: lei si chinò, colse una strana pianta, il cui stelo terminava con una specie di capsula ovale e gliela diede con un sorriso, infilandola nel suo cappello. Ninnolo non capiva e restava lì impalato, aspettando il suo lecca lecca… finché si sentì trascinare via da Gongolo e dovette andarsene.

Fu in quel momento che il sole per Ninnolo si spense.

Egli non vide più niente, né il cielo, né gli alberi, né i fiori, né l’acqua della cascata, né le nuvole bianche. Era consapevole soltanto di un pensiero: lui era il più cattivo e incapace dei nani e per questo Biancaneve non gli aveva dato il lecca lecca! Tornò a casa a testa bassa senza nascondere la sua delusione e andò subito a letto cercando di non pensare.
Il mattino dopo l'umore di Ninnolo era peggiorato e, vedendo la pianta che gli aveva dato Biancaneve, provò l’impulso di schiacciarne la capsula tra le mani: ne uscirono dei granellini neri che il nanetto arrabbiato buttò per terra e poi, per non vederli più, li seppellì con altra terra. Passarono un paio di mesi e Ninnolo era sempre più triste: non aveva voglia di giocare, avrebbe perfino preferito morire.

Un giorno,

mentre guardava tristemente il buco coperto di terra dove aveva seppellito i granellini che aveva trovato nella capsula, vide che erano spuntate alcune piantine con dei bellissimi fiorellini bianchi e azzurri. Li guardò perplesso chiedendosi da dove venissero, quando sentì alle sue spalle la voce di Dotto: “La tua nigella ha ripreso a vivere e dai suoi semi stanno nascendo nuove piante! Non è bello questo Ninnolo? Il nostro lecca lecca invece non c’è più”. Ninnolo fu per un poco disorientato, ma poi il suo cervellino incominciò a lavorare velocemente: se le cose stavano così, seppellendo i semi di queste nuove piantine avrebbe potuto avere altri fiori e così via fino ad ottenere una bellissima aiuola di nigella bianca e azzurra; ma se davvero era così, si disse ancora Ninnolo, allora Biancaneve aveva dato il regalo più bello proprio a lui! Ninnolo ricominciò a vedere il sole, il cielo, i colori dell’arcobaleno e la bellezza della vita. Vedeva le nuvole che lievitavano verso l’alto e qualcuna addirittura prendeva il volo come un aquilone alato. Molto prima che l’aiuola dei papaveri fosse terminata, aveva capito alcune cose importanti:
l’apparenza è spesso diversa dalla realtà;
il valore di una persona non dipende da ciò che gli altri dicono o danno;
ciò che dura è più importante di ciò che non dura 
e quello che conta nella vita è l’Amore e poi la vita stessa.
IL CAPPELLO DI NINNOLO CON IL GAMBO DEL FIORE FORMA LA LETTERA 

...

Ninnolo prima è felice, poi triste e poi ancora felice. Disegna tu le tre diverse espressioni del piccolo nano.

Mariarosa Tettamanti
Immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust