Passa ai contenuti principali

L'uovo dell'uccellino U


Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera U

Nel bosco Gaio era arrivata la primavera. L’aveva annunciata il sole, mandando i suoi raggi fino alle radici degli alberi, e il suo tepore aveva convinto i rami a dar vita alle gemme. L’avevano annunciata gli uccelli, con i loro trilli gioiosi che bussavano alle porte delle tane chiuse, per svegliare gli animali ancora addormentati. Le marmotte, gli scoiattoli, i ghiri, i ricci e le lucertole erano usciti dai loro rifugi e si erano abbracciati a lungo, felici per essersi lasciati alle spalle i giorni tristi e freddi dell’inverno. Era spuntata l’erba nuova, che smaltava il sottobosco, e tra il verde erano già apparsi ciuffi di primule gialle. Gli uccelli si erano dati da fare per costruire i nidi, dove le mamme covavano le uova che avevano deposto.

Due passeri avevano quattro uova nel loro nido.

Tre erano uova robuste, di cui andare orgogliosi, ma il quarto era piccolo e fragile e dava da pensare ai genitori, che temevano per la sua incolumità. La mamma covava, il papà procurava il cibo per nutrirla e le giornate trascorrevano serene. Un giorno purtroppo il padre non tornò al nido; non si seppe mai che cosa gli fosse successo: probabilmente era finito nel becco di qualche predatore o nella trappola di un cacciatore. Poco dopo la madre dovette uscire per cercare qualcosa da mangiare. Rimasti soli, i piccoli che si stavano formando all’interno delle uova e sapevano di essere deboli e indifesi incominciarono a tremare per la paura ... e avevano ragione!

Uno di loro se lo prese il vento

che lo portò chissà dove, sibilando sinistro. Il secondo cadde dal nido, sotto la spinta di una raffica particolarmente violenta, che agitava furiosamente i rami degli alberi. Il terzo fu divorato da un corvo di passaggio. Quando la mamma finalmente tornò, trovò solo un figlio, il quarto, il più debole. Dapprima si disperò, ma poi decise di dedicarsi completamente al piccolino che le era rimasto. L’aiutarono gli scoiattoli, che le portarono pezzetti di frutta, chicchi di grano, bacche e ambrosia, così lei non dovette più muoversi dal nido. Nonostante ormai ci fosse sempre la mamma con lui, il passerotto, che aveva assistito alla morte dei fratellini, aveva sempre paura e tremava tanto che anche la superficie dell’uovo in cui era contenuto diventò grinzosa e tremolante. Mamma passera cercava di rassicurarlo, ma non ci riusciva: il piccolo era troppo spaventato.

Passarono i quindici giorni della cova

e il guscio dell’uovo si ruppe, ma l’uccellino non voleva saperne di uscire completamente. Aveva sempre troppa paura. Rimaneva all’interno della metà inferiore del guscio e di notte non riusciva a dormire: teneva gli occhi spalancati nel buio, ascoltando i rumori del bosco e il richiamo dei gufi. Di giorno poi ovviamente aveva sonno. Prendeva faticosamente il cibo nel piccolo becco e lo ingoiava, ma continuava a rifiutarsi di muoversi. E questo non era il suo unico problema: quando la mamma cercò di insegnargli a parlare, si accorse che il figlioletto non riusciva a pronunciare “cip cip” come facevano tutti i passerotti del bosco. “Cip cip” diceva la mamma “forza, piccolo mio, fa’ anche tu cip cip!”, ma per quanto l’uccellino si sforzasse dal suo becco usciva soltanto “U u!”. “Non devi dire u u” si disperava la mamma: “devi dire cip cip, cip cip! Tu sei un passero e la tua lingua è il passerano!”. “U u” rispondeva il passerotto. Gli altri passeri incominciarono a prenderlo in giro e a pensare che fosse un po’ stupido e lo chiamarono U.

Un giorno fortunatamente

sul ramo dell’albero che sosteneva il nido di U si posò un piccolo gufo. “U u” disse il passerotto. “U u u … ” rispose il gufo e poi i due si misero a parlare e si capivano benissimo! Allora la mamma comprese che il suo figlioletto, stando sveglio di notte, aveva imparato il gufese, cioè la lingua dei gufi, e per questo ancora non riusciva a imparare il linguaggio dei passeri. L’amicizia con il gufetto rese più sicuro e coraggioso il piccolo U, che finalmente lasciò il guscio e si mise a saltellare e volare come tutti i passerotti.

Con un po’ di pazienza imparò non solo a parlare

il passerano, ma anche a cantare come gli usignoli e a gracchiare come i corvi. Insomma diventò un uccellino poliglotta ed ebbe una bella, bellissima vita.
LA FORMA DELL'UOVO RICORDA LA LETTERA ...

Mariarosa Tettamanti

immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust