
Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera O
Appena imboccata l’autostrada, l’andatura dell’auto si fece più regolare. Allora Osvaldo, esausto, si addormentò riverso sullo schienale del sedile e perfino la mamma, nonostante le preoccupazioni degli ultimi giorni, prese a sonnecchiare, svegliandosi di tanto in tanto con un sussulto. Quanto al babbo, non smise di guardare corrucciato la strada, mentre guidava senza perdere la concentrazione. Olga osservava assorta il suo profilo forte e la linea dolce del mento. Al pensiero che per molto tempo non l’avrebbe visto più, si sentì stringere lo stomaco in una morsa di gelo e le salì alla bocca un sapore acre. Distolse lo sguardo. L’auto continuava a correre senza sosta, ingoiando chilometri e chilometri di asfalto grigio. Nel cielo le finestrelle azzurre tra le nuvole si ridussero sempre più: alla fine rimase soltanto una ferita chiara in un mare denso e scuro, finché anche l’ultima luce sembrò fluire all’interno dell’ultimo pertugio e il chiarore già debole si perse definitivamente. Olga sospirò, attirando così l’attenzione del papà. “Andrà tutto bene Ol” disse “sei mesi passano in fretta, vedrai”.
Olga ripensò a ciò che aveva scritto la sera prima nel suo diario:
Domani partiamo. La ditta in cui papà lavora è in crisi, così lo manda all’estero per aprire nuovi mercati. Intanto il suo stipendio è diminuito e noi non possiamo più permetterci l’appartamento in cui abitiamo. Andremo ad abitare in un piccolissimo paese, ma io non ci voglio andare. Neanche Osvaldo vuole andar via: com’è nel suo stile ha fatto un capriccio mega, ma non è servito a niente. Ho detto che non ci voglio andare. Qui ho i miei amici, soprattutto Omar e Olivia: come farò senza di loro?E poi non mi piace andar via senza salutare nessuno: mi sembra di scappare, come se avessimo fatto qualcosa di male a qualcuno. Non è giusto. La vita non è giusta. Io volevo solo restare a casa mia con i miei genitori: chiedo troppo Signora Vita?
Olga aveva undici anni e fino ad allora la sua esistenza aveva camminato su binari assolutamente normali: casa, scuola, danza, nuoto, catechismo… catechismo, nuoto, danza, scuola, casa. Adesso c’era questa novità e questa paura che si era insinuata dentro di lei: che cosa sarebbe successo ancora? La mamma non le era mai sembrata forte abbastanza da saper affrontare le giornate senza papà, Osvaldo era piccolo e capriccioso… e lei, nonostante i suoi 11 anni, si sentiva a volte ancora minuscola come una bambina della scuola materna.
Intanto erano arrivati. Con un po’ di fatica scaricarono i bagagli, mentre il sole spariva e il freddo cominciava a farsi sentire. Come aveva previsto, Olga trovò tutto deludente. La cucina era piccola, la camera andava divisa con quella peste di Osvaldo, il salotto era vecchio e scomodo e il giardino semplicemente non c’era. La mamma sembrava ancora più stanca e il papà la guardava mortificato, come se avesse dovuto scusarsi per chissà quali mancanze. Andarono a letto in silenzio, attenti a non svegliare il bambino che si era riaddormentato non appena avevano messo piede in casa.
Olga faticò a prendere sonno
e poi dormì male tutta la notte. Il mattino dopo, prestissimo, il papà venne in camera a svegliarla e salutarla. “Conto su di te, piccola, prenditi cura della mamma” disse piano e poi le diede un grande pacco avvolto in una bella carta rossa. Olga lo aprì e trovò un bellissimo orsacchiotto dal pelo marrone. Aveva gli occhi di vetro neri, con una sfumatura verde come quelli del babbo. Olga se lo strinse al petto e soffocò i singhiozzi nel cuscino.
Il giorno dopo cominciò la sua nuova vita.
Per fortuna era tempo di vacanze, così per lo meno non c’era la preoccupazione della scuola. La mamma trovò presto un lavoro part time e, tra quello e la spesa, era spesso fuori casa. Olga era costretta a badare a Osvaldo e non si può dire che ne fosse contenta. Il bambino era spesso capriccioso e insofferente, voleva tornare al suo asilo e ai suoi compagni. In certi momenti Olga non sapeva proprio cosa fare. Per fortuna c’era l’orsacchiotto, che l’aspettava fedelmente sul suo letto e la guardava con gli occhi buoni del papà. Anche questo giocattolo però era frequentemente oggetto di furiose contese con suo fratello …
Finché un giorno Osvaldo riuscì a prenderlo:
approfittando di un momento di distrazione della bambina, prese un paio di grosse forbici e gli aprì la pancia con un taglio d’alta chirurgia; poi strappò l’imbottitura pezzo per pezzo e si sedette, aspettando la bufera in arrivo. Quando Olga si accorse del disastro, anzichè sgridare suo fratello pianse per ore seduta sul pavimento della cucina, mentre Osvaldo se ne stava buono buono in un angolo: capiva di aver combinato un grosso guaio. Così li trovò la mamma al suo ritorno.
Invece di perdersi in parole inutili, ebbe un’idea geniale: prese l’orsacchiotto ferito e gli applicò sul taglio una cerniera lampo. Ora il pupazzo era diventato un forziere, anzi un porta-segreti. Olga ripose al suo interno tutti gli oggetti più cari, a cominciare dal piccolo diario col quale ogni tanto si confidava. Ci mise dentro anche tutte le lettere che riceveva dal papà. In breve tempo la pancia dell'orso divenne grossa e rotonda come una grande O e prima di sera Olga aveva già perdonato e riabbracciato il fratellino.
Le restava però da capire il motivo per cui suo fratello si comportava in questo modo. Olga intuiva che il bambino si sentiva a disagio e aveva bisogno di sfogo, ma non sapeva come aiutarlo. Pensava che tutto quello che stava succedendo era troppo per le sue forze: la lontananza di papà, la stanchezza della mamma, le birichinate di Osvaldo... E poi quel senso di mistero e di paura che le sembrava di sentire intorno, senza parlare del fatto che continuava ad essere molto sola, prigioniera nella piccola casa soffocante.
Come Dio volle, l’estate passò
e venne il momento di andare a scuola. Olga era contemporaneamente preoccupata e sollevata: preoccupata al pensiero di affrontare nuovi insegnanti e nuovi compagni, sollevata al pensiero di uscire finalmente da casa. Anche Osvaldo sarebbe andato all’asilo e questo forse l’avrebbe aiutato.
La scuola si chiamava “Ore liete”
e si trovava in una piccola, graziosissima piazza. Olga ci mise un po’ a capire che si trattava di una piazza magica, ma quando finalmente lo comprese la sua vita cambiò: bastava mettersi al centro, proprio dentro una specie di cerchio inciso nel pavimento a mosaico, sotto le statue di due orsi bianchi che sputavano acqua fresca dalla bocca, e chiudere gli occhi desiderando intensamente un amico. Il primo a comparire fu Otto, grande, grosso e buono; il secondo Oreste: magro, piccolo, con gli occhiali pericolosamente in bilico sul naso troppo sottile, svelto come un gatto e furbo come una volpe. La terza fu Ornella, col viso lentigginoso e un codino perennemente disfatto; la quarta Ombretta, un po’ cicciottina e tanto simpatica, con le tasche sempre colme di caramelline alla menta. Frequentavano tutti la scuola di Olga e comparvero ad uno ad uno dietro l’angolo di un negozietto di giocattoli e scherzi di carnevale, tenuto da un curioso vecchietto con un buffo cappellino colorato. Olga incominciò a sentirsi meglio subito dopo averli conosciuti. Non mancò di portare Osvaldo nel cerchio magico e anche lui ebbe presto tanti piccoli amici. I suoi capricci finirono quasi completamente.
Tutti i giorni i ragazzi si trovavano nella piazza
e parlavano per ore. Insieme svolgevano i compiti e poi giocavano all’infinito: nascondino, unocontrotutti, lippa, mondo, bandiera, castellone, quattro basi, biglie… Si difendevano vicendevolmente contro i prepotenti della scuola ed erano così uniti che in breve tempo nessuno osò più sfidarli.
Venne il Natale e nella piazza degli orsi si accese un grande albero luminoso.
La neve aveva coperto il pavimento con un sottile strato di zucchero a velo e aveva messo ai tetti cappelli di velluto bianco. Anche le statue degli orsi avevano indossato mantelli di neve fresca e farinosa e ora anziché acqua sputavano ghiaccioli. I papà che lavoravano all’estero tornarono ad uno ad uno; mancava solo il babbo di Olga e la bambina sapeva che non sarebbe tornato. La sera della vigilia i cinque amici costruirono un bel pupazzo di neve proprio dentro il cerchio magico e poi la bambina andò a letto con la mamma e il fratellino.
Si era appena addormentata quando credette di vedere il pupazzo
di neve della piazza che si animava e si trasformava in un vero bambino, anzi in una bambina… e la bambina assomigliava proprio a lei, Olga… assomigliava troppo per la verità…era lei! Olga non si chiese come poteva essere a letto e contemporaneamente in piazza, anche perché la sua attenzione venne attirata dalla statua dell’orso più grande, che si stava stiracchiando come se si fosse appena svegliato. Allora Olga della piazza si alzò sulla punta dei piedi e disse qualcosa all’orecchio del grande orso che si chinò su di lei per sentire meglio; poi si rivolse a Olga del letto e disse: “. È ora che tu faccia qualcosa”. Olga del letto avrebbe voluto chiedere “Che cosa?”, ma non ne ebbe il tempo, perché il sogno improvvisamente finì e tutto - bambina, orso e piazza - svanì nel nulla. Olga si svegliò turbata e non sapeva quale significato dare al sogno. Fu uno strano Natale quello del giorno dopo, con la nostalgia del papà e il pensiero della bambina della piazza che le diceva di fare qualcosa. Qualcosa per chi, per che cosa?
Dal papà non arrivò neppure una telefonata
e Olga poté solo stringersi al petto il suo orsacchiotto-forziere. Nel pomeriggio in casa entrò Babbo Natale con i regali per Osvaldo. Olga fu turbata dalla sua visita: il vecchio con la barba bianca aveva un’aria familiare, le ricordava qualcuno, le ricordava lo sguardo… la bambina non ebbe neanche il coraggio di formulare il pensiero per intero, ricacciò la commozione in gola e si chiuse nella sua camera. Per fortuna poco più tardi arrivarono gli amici, così lei poté finalmente raccontare il suo sogno. Otto non sapeva cosa dire, le bambine le diedero coccole e caramelline, ma fu Oreste ad avere l’idea migliore: “Perché non andavano in piazza” disse “e non cercavano di capire qualcosa entrando nel cerchio magico?”
Organizzarono la spedizione
e l’indomani, sotto le statue degli orsi, chiusero gli occhi tutti insieme, desiderando un nuovo amico capace di aiutare Olga. Invece di un bambino arrivò la mamma di Ornella. Disse che erano tutti invitati alla festa di Capodanno insieme ai loro famigliari. I bambini erano disorientati: che cosa c’entrava la festa di capodanno con il sogno di Olga? Passarono i giorni seguenti in continue congetture, una più strampalata dell’altra, finché venne il giorno di S. Silvestro. Olga mise il vestito bello, costrinse Osvaldo, più recalcitrante che mai, a indossare gli abiti festivi, e si recò alla festa di capodanno. La mamma di Ornella aveva addobbato una grande sala e preparato un’infinità di piatti squisiti e manicaretti vari. Osvaldo si riempì come un porcellino, ma Olga mangiò assai poco. In una borsa la bambina aveva portato il suo orsacchiotto e ogni tanto gli dava di nascosto una strizzatina amichevole, come se invece di un pupazzo si fosse trattato di una persona in grado di capirla e consolarla. Durante una di queste palpatine auto-consolatorie, il dito di Olga finì nella bocca dell’orsacchiotto e la piccola sentì che stava toccando qualcosa di duro, qualcosa che era stato ben stipato in fondo alla gola del pupazzo. Con cautela estrasse l’oggetto sconosciuto e si trovò tra le mani una scatolina avvolta in un foglietto. Guardò meglio: sul foglio erano tracciate alcune parole con la scrittura inconfondibile del papà. Olga lesse con la commozione che le serrava la gola: “Olga carissima, quando trovi questa scatolina, ti prego di darla alla mamma di Ornella: lei saprà cosa fare. Non dire a nessuno che l’hai trovata: se qualcuno dovesse chiederti qualcosa, di’ che non sai niente e poi convinci la mamma a trasferirsi immediatamente dalla nonna in Calabria. Bacioni, papà”. Senza chiedersi nemmeno come facesse il babbo a conoscere la mamma di Ornella, Olga si precipitò ad eseguire la commissione e qui ebbe la seconda sorpresa della giornata: non solo la signora Orietta non mostrò nessuna meraviglia, ma afferrò la scatolina velocemente, sibilò un comprensibilissimo “Finalmente” e corse fuori dalla sala. Olga fu presa dall’inquietudine: perché papà si comportava in questo modo? Che cosa c’era di così importante e segreto nella scatolina? E perché la mamma, a quanto sembrava, non sapeva niente di tutta questa faccenda? Angosciata la ragazzina invidiò quel maialino di Osvaldo che pensava solo a mangiare e giocare, ignaro di ciò che stava succedendo.
Finalmente arrivò la mezzanotte,
tutti brindarono al nuovo anno e ritornarono alle loro case. Inutile dire che quella fu per Olga una notte molto agitata: si girava e si rigirava nel suo lettino, incapace di prendere sonno. L’indomani cercò inutilmente la signora Orietta: Ornella disse che la mamma era andata a trovare la nonna e non aggiunse altro. Passò lentamente una settimana e la preoccupazione di Olga aumentò. Avrebbe voluto parlarne con la mamma, ma temeva di spaventarla. Per ingannare l’ansia, non riuscendo a leggere, guardava la televisione…
E una sera, davanti al telegiornale,
per poco non svenne: dal video la guardava sorridendo il viso del papà. Qualcuno lo stava intervistando, ma Olga non riuscì a capire il senso di ciò che stavano dicendo. Era così confusa che non tentava nemmeno di porsi delle domande sensate. Mentre se ne stava lì senza sapere che cosa fare, arrivò la mamma di Ornella. L’abbracciò, le disse qualcosa -“Tu hai un papà coraggioso piccola”- le mise in mano una lettera e scappò via dicendo di avere molta fretta. Olga aprì la lettera e lesse.
Olga carissima,
è arrivato il momento di dirti la verità. Fra poco mi rivedrai e parleremo a lungo di tutto, ma non voglio farti aspettare un minuto di più, perché hai già sofferto abbastanza. La storia che ha cambiato la nostra vita, incominciò circa sette mesi fa, quando mi capitò di assistere a un delitto terribile. Poiché avevo la telecamera, riuscii a filmare tutta la scena, ma gli assassini mi videro e da allora incominciai a fuggire. Mi preoccupai prima di tutto di mettere al riparo la mia famiglia e poi mi nascosi all’estero per tutto questo tempo. Avevo però un problema: non potevo portare con me la prova del delitto, perché c’era la possibilità che “loro” mi trovassero e la distruggessero. Così la infilai nell’orsacchiotto che ti regalai: sapevo di potermi fidare di te. Darla alla mamma avrebbe significato metterla in grave pericolo nel caso vi avessero trovati, mentre nessuno avrebbe potuto sospettare di una bambina e di un orsacchiotto. Avvisai la signora Orietta, che conosco da quando eravamo bambini e per di più lavora nella polizia. Lei raccolse la mia denuncia, mi aiutò a trovare la casa per voi, continuò a darmi notizie della mia famiglia, vigilò sulla vostra sicurezza e aspettò che ti decidessi a darle la scatolina con il filmato. Per questo spinse Ornella e i suoi compagni a fare amicizia con te. Tuttavia la data del processo si avvicinava e tu non le davi niente; non voleva essere lei a chiedertela, perché aveva paura di spaventarti nel caso tu non l’ avessi trovata. Finalmente ebbe l’idea della festa di capodanno e il resto lo sai anche tu. Ora il processo è stato celebrato, i colpevoli condannati e per noi non ci sono più pericoli. Potremo ritornare nella nostra città e riprendere la vita di prima.
Non vedo l’ora di poterti stringere forte forte e dirti che sono orgoglioso di te. Conosco ciò che hai fatto per il tuo fratellino e per la mamma in questi mesi e ti sono molto riconoscente.
Ciao, ti abbraccio
Papà
Olga lesse almeno dieci volte la lettera
e poi si addormentò con Osvaldo, aspettando serenamente il ritorno della mamma. Si svegliò a mezzanotte, mentre qualcuno la faceva volare fino al soffitto e qualcun altro rideva come la fontanella della piazza delle magie. “A proposito - riuscì a chiedersi Olga - la piazza era veramente magica? Se era stata la mamma di Ornella a procurarle gli amici e se lei da sola aveva avuto l’idea della festa di capodanno cosa c’entrava la piazza?” Appena ebbe finito di volare e di essere mangiata di baci e strizzata come un panno bagnato dai suoi genitori, che sembravano ridiventati bambini, Olga pose il quesito al papà. “Oh certamente la piazza è magica” disse lui “perché ogni tanto la visita una grande maga” “Chi?” chiese Olga alzando gli occhi stupiti “Una maga che si chiama Olga, ha undici anni e un papà straordinario” “E la mamma dove la metti? Anche lei è una grande maga, te lo sei dimenticato?” disse sua moglie. “Oh certo certo!” esclamò il marito e si rimisero tutti e due a ridere come matti. “È evidente che non posso fidarmi di loro.” si disse Olga “Mi sa che non hanno capito niente. Chiederò a qualcun altro”. Prese l’orsacchiotto e andò in cucina a preparare un po’ di tè per tutta la famiglia.
Ma quante O ci sono volute per formare questo orsacchiotto? Le sai trovare tutte? Devi guardare bene, perché alcune sono in parte nascoste.
Mariarosa Tettamanti
immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust