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Lo strano indumento dell'indiano I



Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera I

Quando suonò la campanella, un pezzo di cielo azzurro si era steso sopra i monti e una lama di luce lacerava le nuvole sconvolte dopo il temporale. Irina finse di precipitarsi fuori dalla scuola come tutti i suoi compagni, ma, appena girato l’angolo della piazza, il suo passo si fece svogliato. Non aveva voglia di arrivare a casa. 

Entrò di proposito in una pozzanghera,

s’inzaccherò scrupolosamente gli stivaletti e si sentì meglio, tanto da permettersi di ripensare alla mattinata appena conclusa. Come sempre, non aveva combinato niente. D’altra parte lei era la più scema della scuola, su questo nessuno aveva dei dubbi. Non era brava né in italiano né in matematica, non capiva niente di geografia e di storia, non sapeva neanche cosa fossero gli studi sociali. Andare a scuola le piaceva perché, una volta seduta nel suo banco, nessuno la molestava più e lei poteva pacificamente guardare il mondo attraverso le finestre. Nell’aula era sola senza esserlo veramente, visto che intorno c’era un sacco di gente, e questo le bastava. I problemi arrivavano dopo, nel pomeriggio, e più ancora alla sera, con il ritorno della mamma a casa. La signora Ida era ancora bella, nonostante la stanchezza che le segnava il volto. Aveva gli occhi chiari e vivaci, ma, quando apriva i quaderni di Irina, si spegneva completamente e sospirava rassegnata prima di riporli con lo sguardo vuoto. Poi allungava una carezza alla sua bambina: “Su, vai a letto ora” diceva a bassa voce. Irina non sopportava la tristezza della sua mamma: avrebbe piuttosto voluto che la sgridasse e le dicesse d’impegnarsi di più. 

Camminando e pensando, Irina era intanto arrivata al suo “buco magico”,

la tana che aveva scoperto durante l’estate precedente. Entrò sgusciando come un coniglietto: le piaceva stare lì dentro, poteva vedere un pezzo di mondo senza essere vista e questo era un vantaggio incalcolabile. Osservò a lungo i fili di seta tessuti tra i rami di un pino coccolato dal vento: brillavano d’ombra e d’argento, ora che il temporale era finito e il cielo era ritornato sereno. Rimase accovacciata nel suo nascondiglio fino a quando sentì i morsi della fame; allora uscì, si rimise lo zaino infangato sulle spalle e si diresse con decisione verso casa. 

Quando arrivò nel vecchio cortile

in cui abitava con la mamma, i monti avevano di nuovo sputato un pennacchio fumoso di nuvole. Mentre guardava distrattamente le case disabitate che si chiudevano in semicerchio, Irina scorse inaspettatamente qualcosa di molto diverso dal solito. Guardò con maggior attenzione, non credendo ai suoi occhi: in un angolo nascosto, proprio davanti all’abete grande, c’era una vera tenda indiana, con i bastoni sporgenti in alto e i disegni del sole sul cono di stoffa. 

Irina non sapeva se scappare 

o chiudersi a chiave in casa sua. Optò per la seconda decisione e si diresse rapidamente verso la meta, rasentando i muri delle altre abitazioni, il più possibile lontano dalla tenda. Conosceva a memoria la forma del vecchio cortile, così camminò di lato, contando mentalmente le porte che doveva superare prima di arrivare alla sua. “Una, due, tre…” Irina non era preparata a quello che successe in quel momento: rasenta rasenta, si trovò il vuoto alle spalle e capì che la quarta porta, serrata da sempre, era ora spalancata. Si girò di scatto e scorse … scorse un grosso indiano pellerossa, che dico, un enorme indiano pellerossa, che la guardava sorridendo. Era avvolto in uno strano indumento tutto colorato e Irina pensò che sotto quell’abito drappeggiato l’omone stesse nascondendo l’ascia di guerra. Allora chiuse gli occhi terrorizzata, aspettando di essere rapita dal mostro: “Ecco, ora mi prende, mi porta nella sua tenda e mi uccide” pensò. In un momento rivide tutte le notizie del telegiornale e tutti i film dell’orrore che aveva visto alla sera prima di addormentarsi, quando la mamma tardava a rientrare; aveva sempre pensato che un giorno o l’altro anche a lei sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Aspettò qualche secondo, col cuore che batteva fortissimo, ma non successe niente. Allora aprì cautamente gli occhi: l’indiano gigantesco era ancora lì, tra la finestra e il vecchio camino, però… aveva serrato le palpebre! La bambina capì che la stava imitando, come se stesse giocando con lei, ma la ragione per la quale si comportava in questo modo le era oscura. Irina adesso era un po’ meno spaventata, tuttavia non perse tempo e corse verso casa sua. 

Arrivata sulla soglia,

mentre tentava freneticamente di prendere le chiavi dalla tasca, vide un biglietto appeso alla porta con una puntina: spesso la mamma comunicava con lei in questo modo. Irina lesse con il cuore in gola: 
Ciao Irina. 
Oggi non ti ho lasciato niente nel frigorifero, perché voglio che tu vada dal nostro nuovo vicino di casa. Lui ti farà da mangiare e ti aiuterà a svolgere i compiti. Non ho potuto avvisarti ieri sera, perché dormivi così bene che non ho voluto svegliarti. 
Baci, mamma 
Irina non era tanto brava a leggere, perciò compitò più volte le parole scritte sul biglietto e alla fine non ebbe più dubbi: la sua mamma la lasciava in mano a quell’uomo cattivo! Si raggomitolò ai piedi della porta, schiacciata dalla rivelazione. 

Oltre tutto quel giorno

avrebbe dovuto inventare una filastrocca sull’alfabeto: figuriamoci se quell’indiano sarebbe riuscito ad aiutarla! Certamente sarebbe andata a scuola senza aver svolto il compito, la maestra l’avrebbe sgridata e le avrebbe dato un bruttissimo voto. Tutta colpa della mamma. Irina pianse su se stessa, sulla sua sfortuna e sulla cattiveria della sua mamma. 

Stava ancora piangendo,

quando sentì un profumino invitante. “Pastasciutta!” pensò e annusò attentamente l’aria, dimenticando per un attimo le sue disgrazie. Il suo naso captò agevolmente l’odore del pomodoro, del basilico, della cipolla e perfino del tonno e delle olive. Irina si accorse di avere una grandissima fame e fu tentata di cercare la fonte del profumo, quando venne raggiunta da un pensiero terribile: certamente la pastasciutta era stata cucinata dall’indiano, il quale aveva messo nel piatto qualche droga, così lei mangiandola si sarebbe addormentata e lui l’avrebbe imprigionata. Con orrore Irina si vide chiusa in una gabbia appesa al soffitto della cucina, come Hans, il bambino della fiaba. No, lei non si sarebbe lasciata imbrogliare, sarebbe rimasta lì, accovacciata sulla porta di casa, finché non fosse ritornata la mamma. Dopo un po’ altri profumi invasero il cortile: patatine fritte, carne, budino al cioccolato. Irina credette d’impazzire, tuttavia non si mosse dal suo angolino, anzi serrò le palpebre per resistere meglio. Improvvisamente le sembrò che il profumo si avvicinasse. Riaprì gli occhi: qualcuno aveva posato davanti a lei l’intero pranzo! Irina guardò con desiderio la pastasciutta, le patatine, il budino… cercò di resistere ancora un po’, ma poi si buttò sul cibo e mangiò tutto con voracità fino all’ultima briciola. Subito dopo si precipitò in casa, chiuse la porta a chiave, andò in camera sua e si raggomitolò nel suo letto, aspettando che le venisse sonno o mal di pancia. Cominciava già a sentire qualche dolorino, quando si alzò una musica dolcissima. Qualcuno stava suonando una chitarra. Si sentì anche una voce che cantava. Irina si sedette sul lettino e allungò le orecchie: 
A è l’acqua che corre festosa, 
B è una bimba molto graziosa. 
C è una casa che sta sulla vetta 
D è un drago che corre in gran fretta.
“Questa è proprio la filastrocca che mi serve” disse tra sé Irina; senza pensarci due volte aprì lo zaino, estrasse quaderno e penna e cominciò a scrivere velocemente. 
E è un elefante grosso e pesante, 
F è un fiore molto elegante. 
G è un gatto che gira intorno, 
H è un hotel aperto ogni giorno. 
La voce continuava senza stancarsi e Irina scriveva e scriveva. 
I è un’isola tra le più belle, 
L è la luna insieme alle stelle. 
M è il mare che brilla lontano, 
N è un neo che sta sulla mano. 

O è un’oca dal collo torto, 
P è una palla che salta nell’orto. 
Q è un quadro che mostra il mare, 
R è una rana che vuole saltare. 

S è il sole che brilla radioso, 
T è un topo tanto goloso. 
U è un uovo col suo pulcino, 
V è un vaso col fiorellino. 

Z è lo zucchero che metto in bocca 
ed ecco finita la filastrocca. 

Dopo aver riposto la penna,

Irina rilesse soddisfatta il suo lavoro e constatò altrettanto soddisfatta che non le era successo niente: non aveva né sonno né mal di pancia. Non sapendo che cosa fare, andò alla finestra del soggiorno e guardò nel cortile. L’ombra di alcune piante agitate dal vento danzava sul muro della casa di fronte. La luce del sole se ne stava andando e Irina ricominciò a sentirsi inquieta. Guardò tristemente le foglie giallastre del melo che si protendevano sul cortile. Nel giardinetto stento che la mamma coltivava sotto le finestre un’ortensia stava appoggiata su un letto di foglie, sola come una regina triste. La bambina si spostò alla finestra del bagno, per guardare con un po’ di batticuore la casa dove era andato ad abitare l’indiano. Fu sorpresa di vedere alcuni gerani rossi che tremavano su un davanzale. Dietro a loro una finestra si aprì piano, come se avesse dovuto mostrare chissà quali tesori. Mostrò invece l’interno buio di una camera, come l’antro di una bocca sdentata. Sull’altro davanzale c’erano alcuni fiori del vetro, che si misero improvvisamente a ballare. Il cielo intanto si era di nuovo coperto di nuvole e sembrava sporco; a Irina venne voglia di prendere un panno e pulirlo, un pezzetto per volta. Invece, vinta dalla stanchezza, si svestì, si mise il pigiama, si buttò sul letto e si addormentò di colpo, per svegliarsi il mattino dopo alla solita ora. Si accorse subito di una cosa strana: era coperta da una stoffa che non aveva mai visto! La guardò attentamente e poi la riconobbe: era lo strano indumento indossato dall’indiano. In realtà era un tessuto dalla forma rettangolare ed era anche molto caldo, proprio come una vera coperta. Irina si spaventò. Era tutto chiaro: l’indiano era entrato nella sua cameretta, aveva tentato di strangolarla, ma poi non ci era riuscito ed era scappato lasciando lì il suo vestito. Forse in quel momento era arrivata la mamma che l’aveva difesa. Esitante andò alla finestra. La cresta dei monti era libera, ma il sole splendeva poco e non riusciva a spingere via le nuvole. Un uccellino planò sul tetto della casa di fronte, sbattendo confusamente le ali. Irina si precipitò in cucina, sperando di trovarci la mamma. Trovò invece un biglietto sul tavolo. 
Cara Irina, non ti ho svegliata ieri sera, perché mi sei sembrata molto stanca. Puoi fidarti del nostro nuovo vicino di casa: mi ha promesso che si occuperà di te e io sono finalmente tranquilla, perché ti lascio nelle sue mani. 
Ciao, un bacione, mamma. 
Irina non sapeva che cosa fare. La mamma non le aveva mai detto bugie, ma questa volta certamente si sbagliava: un indiano così grosso non poteva essere buono. Dopo un po’ decise di vestirsi rapidamente e di correre a scuola, passando davanti alla casa dell’indiano più in fretta possibile. Fece proprio così e in un attimo si trovò sulla strada. Le nuvole s’incurvavano sopra le montagne e il sole conservava solo un poco la sua luce. I colori degli alberi erano smorzati, come cancellati da una gomma tenuta da una mano inesperta e leggera. In alto, sul versante sinistro dei monti, si stendeva un cono d’ombra scuro da far paura. Ad un certo punto il sole incominciò a giocare a nascondino con le nuvole, così tutto brillò, si spense e si riaccese: erano belli questi giochi di sole. Irina si fermò ad osservare il volo di due moscerini che disegnavano linee curve e spezzate contro il verde degli alberi; ogni tanto s’incontravano e poi subito si dividevano, sembravano fermati da barriere invisibili. Finalmente si riscosse e riprese a camminare di buona lena, per non arrivare tardi a scuola. 

Arrivò infatti appena in tempo.

Dopo aver letto la filastrocca dell’alfabeto, la maestra guardò Irina con un certo interesse, come se la vedesse per la prima volta. La bambina si sentì arrossire per la vergogna, ma non disse niente: d’altra parte, se avesse detto di essere stata aiutata da un indiano, nessuno le avrebbe creduto. 

Sperava di aver chiuso

con le filastrocche e con i compiti difficili, ma si sbagliava; quella stessa mattina le venne infatti assegnato un nuovo compito: la filastrocca dei numeri. Irina era ben decisa a non fidarsi dell’indiano, ma come fare per il compito? 

Quando uscì dalla scuola,

la foschia aveva cancellato quasi completamente il profilo delle montagne, ma le nuvole lasciavano ancora passare la luce del sole. Più tardi, mentre sgambettava lungo la strada, diventarono cattive, s’addensarono, s’imbronciarono, minacciarono il sole. Quando qualche raggio riusciva a penetrare attraverso la nuvolaglia, gli alberi si accendevano per brevi attimi di una luce mai vista, forte e gioiosa, poi si asciugavano e si spegnevano. Alla fine rimase solo un puntino luminoso a ricordare la luce di prima: si muoveva al respiro del vento. L’ombra stringeva la luce in un abbraccio mortale. 

Irina trovò la porta della sua casa spalancata;

sul tavolo c’era un superbo piatto di riso, accompagnato da pesce, insalata e frutta. L’indiano non si vedeva, così Irina si sentì rassicurata; mangiò velocemente e poi si chiuse in casa; sperava di sentire il suono della chitarra e una voce che cantasse la filastrocca dei numeri, ma non fu così. Irina aspettò dietro i vetri delle finestre, mentre il cumulo della foschia si diradava e si spostava. Improvvisamente incominciarono a cadere dal cielo quasi bianco lunghe lacrime di pioggia. Nel cortile tutto era fermo, bloccato. 

Irina cominciò a sentirsi disperata;

aprì il quaderno e scrisse svogliatamente: "1 è…Che cosa potrebbe essere un uno? Ah…ecco: un’asta per la bandiera. 2 è…" qui ci voleva la rima, ma alla bambina proprio non veniva. Il 2 assomiglia certamente a un’ochetta, ma come trovare la rima con bandiera? Irina appoggiò la testa sul tavolo e si addormentò. Sognò che l’indiano cantava una strana filastrocca senza capo né coda; lei cercava di scriverla sul quaderno, ma la penna diventava un’asta di bandiera e poi compariva un’ochetta che diceva “Irina è scema”. Allora Irina cercava di picchiare l’oca con l’asta ma non ci riusciva, perché l’asta era intanto diventata una lumaca lunghissima. 

Quando si svegliò, Irina trovò il cielo tutto disegnato

da strisce di nuvole sfilacciate: sembravano addomesticate dalla luce del sole che finalmente era tornato a risplendere. Persino il melo pareva brillare di luce propria e l’azzurro dell’aria era fresco e liberante. Tuttavia c’era ancora dell’ombra sui monti, come un’orda di topi neri affamati. Irina si sentì più sollevata e fiduciosa. Mentre riprendeva in mano la penna, udì un fruscio lieve e vide scivolare sotto la porta un foglio di carta da quaderno; lo lesse un po’ incuriosita e un po’ impaurita: "Che cosa ne diresti di sera?" Irina capì, prese un foglio nuovo, scrisse "Direi che va bene" e lo passò sotto la porta. Un attimo dopo un altro foglio fece capolino nello stesso posto: "Che cosa ne diresti di lasciarmi entrare così scriviamo insieme la filastrocca dei numeri?" Questa volta Irina scrisse soltanto "Va bene" e aprì la porta. Per entrare l’indiano dovette abbassare la testa e le spalle; poi si sedette al tavolo della cucina il più lontano possibile da Irina, scrisse qualcosa su un biglietto e lo passò alla bambina che lo lesse: 
1 è un’asta per la bandiera 
2 è un’ochetta che vien di sera 
A che cosa ti fa pensare il 3? 
Irina scrisse: "A un serpente" e ripassò il foglio.  "E il 4?" riscrisse l’indiano. "A una sedia" rispose Irina e per la prima volta osservò di sottecchi l’indiano. Lo trovò molto, molto vecchio. Aveva i capelli quasi completamente bianchi e almeno un migliaio di rughe sul volto. Una partiva dalla radice del naso e arrivava, diritta come un taglio, fino al centro della fronte, dove s’incontrava con quattro o cinque orizzontali; altre correvano dalle narici al mento e s’intrecciavano fino a formare una specie di rete che incideva profondamente tutta la punta del viso. “Avrà almeno cinquant’anni” pensò Irina “fra poco tempo morirà; al massimo quando avrà cent’anni”. Per la verità trovò che l’uomo aveva anche un’espressione molto buona e comprensiva e questo, suo malgrado, la rassicurò. "A che cosa ti fa pensare il 5?" Il biglietto era ritornato tra le mani di Irina. "A un macinino da caffè." "Un macinino da caffè?" "Sì, uno di quelli vecchi." I fogli passarono ancora molte volte da una mano all’altra, finché l’uomo e la bambina ebbero terminato il loro lavoro; allora Irina copiò accuratamente la filastrocca sul quaderno: 
1 è un’asta per la bandiera             

2 è un’ochetta che vien di sera. 

3 è un serpente tra l’erba in agguato
4 è una sedia di legno laccato.
5 è un macinino per il caffè 
6 è un cucchiaino per il tè. 

7 è la falce del contadino 
8 è la maschera di Arlecchino. 
9 è un pallone che sta per scoppiare
0 è l’ovetto che devi mangiare. 
1 è l’asta con la bandiera 
e ricomincia la tiritera.
"Non è un capolavoro, ma per una bambina di otto anni può andar bene" borbottò l’indiano. Irina non era d’accordo: per lei la filastrocca era bellissima. 

Il giorno dopo i monti erano scomparsi,

completamente sommersi dalle nuvole. Il mondo si era incupito ed era tornato il vento. Un raggio di sole cercò di raggiungere Irina strisciando sulle scale della scuola, ma era troppo debole e non ci riuscì. Solo l’abete del cortile conservava un poco di luce. Irina sospirò ed entrò. Per fortuna la maestra trovò la filastrocca molto bella. 

Uscendo,

la bambina vide che il cielo era diventato un’unica grande nuvola, bucata qua e là da un accenno di luce pallida. La stessa luce si arrampicava con fatica sui monti. Faceva freddo, ma Irina non lo sentiva e correva a perdifiato: voleva arrivare presto dall’indiano. Quando fu nel cortile, si sentì riempire per un attimo il cuore di timore, come nei giorni precedenti, ma si riscosse ed entrò spedita nella cucina del vecchio. Senza parlare, tolse dalla cartella il quaderno e mostrò il bel voto scritto in rosso dalla maestra. L’indiano sorrise e la invitò a sedersi a tavola; sui piatti c’erano due grosse porzioni di lasagne al forno. Irina le spazzolò coscienziosamente e poi aprì i quaderni; il compito d’italiano era facile: si trattava di scrivere dieci parole con “qu” e dieci con “cu”. La bambina scrisse diligentemente: squola, quadro, quaderno, qucina, quattro, quinto, quoco, quore, qugino, quintale. “Alt” disse l’indiano, che aveva sbirciato sul quaderno “Ti racconterò prima una storia, che risale ai tempi in cui le letterine erano appena state inventate”. Irina pensò che lei non era poi così piccola da credere alle storielle sulle letterine, ma siccome era una bambina educata non disse nulla. Fuori la nuvolaglia era diventata spessa e pesante: non c’erano più i monti, non si vedeva più neanche il cielo. L’indiano trasse da una tasca una lavagnetta e, aiutandosi con scritte e disegni, incominciò a raccontare. 

Il suono QU e il suono CU erano uguali e litigavano continuamente, perché ambedue volevano formare le parole. Una volta il litigio divenne così violento che i due finirono in tribunale. Il giudice, una vecchia A molto saggia, li aiutò a trovare un accordo: il suono QU si sarebbe fatto seguire solo dalle vocali; il suono CU dalle altre lettere dell’alfabeto. 
QU + A E I O = QUA, QUE, QUI, QUO
CU + B C D F G L M N P R S T V Z = CUB, CUC, CUD, CUF, CUG, CUL, CUM, CUN, CUP, CUR, CUS, CUT, CUV, CUZ
I due suoni andarono così ad abitare in due territori diversi. Alcune parole però non si trovarono bene nel campo QU e per questo una notte scapparono rifugiandosi nel territorio CU. Erano le parole ribelli: 
CUORE CUOCO e CUOCERE CUOIO e SCUOIARE SCUOTERE SCUOLA.

Irina era una buona ascoltatrice; quando l’indiano ebbe finito di raccontare, prese il quaderno, cancellò ciò che prima aveva scritto e riscrisse tutto diligentemente: scuola, cuoco, cuore, cugino, cucina… Aveva capito. Intanto era scesa la sera e Irina andò a dormire. Si sentiva stranamente contenta e sicura. 
Il giorno dopo, quando la maestra vide il quaderno, guardò Irina in modo strano e le chiese: “Chi ti sta aiutando a svolgere i compiti in questi giorni?” Presa alla sprovvista la bambina balbettò penosamente: “Un… un… ind…” “Un ind?” la incoraggiò la maestra. Irina fece marcia indietro: “No! Lui è…è mio nonno!” disse alla fine quasi urlando. “Tuo nonno? È arrivato tuo nonno?” “S…ì” rispose Irina, sentendo che il suo naso diventava molto lungo. Resistette alla tentazione di toccarselo e corse a testa bassa nel suo banco. La mattina passò lentamente, mentre Irina guardava un cielo cinereo dove volavano gruppi di uccelli neri. Sul tetto della casa di fronte posava una nuvola dipinta di luce e poi laghi di azzurro pulito si aprirono inaspettatamente nel grigio. A mezzogiorno in punto, come al solito, la maestra assegnò il nuovo compito: “Scrivete dieci parole contenenti sci o sce ”. “Speriamo che l’indiano mi racconti un’altra storiella” pensò la bambina. 
Sul sentiero che la conduceva a casa camminò di buon passo. Il sole era tornato e la osservava al di sopra degli alberi, ma lei non lo poteva guardare, perché era troppo luminoso e caldo. 
Arrivò dall’indiano toccandosi il naso. “Ho detto che sei mio nonno” disse a bassissima voce, prima ancora di salutarlo, ma lui forse non la sentì, perché non disse niente. Dopo aver mangiato un bel piatto di riso al pomodoro e ben due sogliole fritte, l’indiano disse calmo calmo: “A volte capita di confondere i desideri con la realtà”. Irina era molto stupita: davvero era così? Veramente lei desiderava che l’indiano fosse suo nonno? Lasciò la domanda nell’aria per prendere il quaderno. Cincischiò per un po’ con la penna, poi chiese piano, tenendo la testa abbassata: “I nonni sanno tante storielle sulle parole?” “Sì, ne sanno tante” sorrise l’indiano. Si strinse nella sua calda coperta colorata, guardò il quaderno e incominciò a raccontare. 

Quando le letterine ebbero composto tutti i suoni, si accorsero che ne mancava uno – dolce, scivoloso e avvolgente- per scrivere parole come sciare, scivolo, sciarpe e scialli.Come rimediare a questa dimenticanza?Si presentò la letterina s e provò: "Ssivolo, ssiarpa, ssivolare…" "No no!" gridarono le letterine "sei un suono troppo duro e sibilante!" Si presentò la letterina c e provò: "Cccccccc!" "No!" gridarono ancora le letterine "sei un suono dolce, ma non scivoli!" 
Allora la s e la c si misero insieme così: "Sc…!" A loro si unirono presto altre letterine: "Sci, sce, scia, scio, sciu!" Ora il suono andava proprio bene: scivolava come gli scii sulla neve ed era avvolgente come una sciarpa o uno scialle di lana ... anzi avvolgente come il mio mantello!

Concluse l’Indiano ridendo. “No, questa è la mia coperta!” gridò Irina e gliela strappò scoppiando anche lei a ridere. 

Irina svolse per bene il suo compito e poi, facendosi coraggio, confessò:

“Io sbaglio tutte le parole difficili quando scrivo”. “A questo possiamo rimediare” la rassicurò l’indiano. “Tu stessa puoi inventare delle storielle e delle filastrocche per imparare a scrivere correttamente le parole”. Irina non era per niente convinta, tuttavia chiese alla mamma di comperarle un quadernetto. Quando l’ebbe tra le mani, scrisse sulla copertina “Parole difficili” e sulla prima pagina “Imparare le doppie”; infine fissò sconsolata il foglio bianco. Cinque minuti dopo rifece la punta a tutte le matite colorate, lavò accuratamente la gomma, disegnò uno svolazzo sul quaderno e andò alla finestra a guardar fuori: una nuvola stava andando ad abbracciarne un’altra; si muoveva lentamente, allungando le braccia pelose e coprendo l’ultimo pezzo di cielo. Irina un po’ fissava il foglio e un po’ teneva d’occhio la nuvola, finché la vide baciare l’altra, protendendo smisuratamente le labbra. Allora tornò risolutamente al quaderno e ricominciò a sentirsi depressa. “Potresti scrivere delle rime buffe” disse dall’alto la voce dell’indiano “ad esempio: Un vecchio allo…” “… specchio!” terminò Irina. “Quattro asinelli con quattro…” “…secchielli!” “Sette gatti sotto i… otto nonne su otto…” “…tetti…letti!” esclamava Irina ridendo. 

Quando fu stanca di scrivere, uscì nel vecchio cortile. 

Scendeva la sera e i passeri che abitavano nel grande pino tornavano a casa scuotendo piano le fronde; prima di andare a dormire saltellavano leggeri sui rami, senza muoverli. Anche Irina aveva sonno, così si arrampicò sul letto, s’infilò sotto le coperte e mise come sempre il cuscino sopra la testa. Quella sera però non riusciva ad addormentarsi, le sembrava di avere freddo, così scese dal suo amico e gli chiese la famosa coperta; con quella sulle spalle si addormentò subito. 

Aspettò qualche giorno 

prima di riprendere in mano il quadernetto delle parole difficili. Quando lo fece, scrisse sulla seconda pagina “Ca o cia?”. “Questa storia te la racconto io, tu la potrai scrivere” le comunicò l’indiano e incominciò subito a raccontare, come faceva di solito: 

Le letterine c e g sono molto amiche della i e della e, ma non possono proprio sopportare le altre vocali. Per questo quando si trovano vicine alla o, alla a o alla u diventano dure, mentre se sono accanto alla i e alla e sono molto dolci. 
Ci ce gi ge 
ca co cu ga go gu 
Per fortuna la i è una letterina molto buona e quando può corre a mettersi in mezzo alle amiche che così diventano dolci:
cia cio ciu 
gia gio giu 
A volte però l’ h cerca di separare le letterine amiche, che per la rabbia diventano subito dure:

Chi che ghi ghe 
Al termine della storia Irina sorrise: ora non avrebbe più confuso ga con gia o chi con ci! Certamente l’indiano era un genio, anzi forse era proprio il genio della lampada di Aladino. Quel giorno il sole brillava a intermittenza e dal cielo scendeva qualche lungo filo di pioggia; Irina era contenta e si godeva lo spettacolo. 

Verso sera riprese il famoso quaderno

e provò a scrivere da sola la storia dei suoni glie, glia, glio, gliu; ci riuscì e si sentì molto contenta di se stessa, anche se la storiella per la verità assomigliava molto a quella dei suoni sci e sce. Imbaldanzita dal successo scrisse anche la storia del suono gn e persino la “Filastrocca del per”, che le piacque in modo particolare, perché esprimeva bene la sua gioia: 

Ho le forbici per ritagliare 
e la colla per incollare: 
farò un giardino colorato 
e una bambina con un gelato. 

Ho un temperino per temperare 
e i pastelli per colorare: 
farò una casa con tanti colori 
e una bambina con un mazzo di fiori. 

Ho una matita per disegnare 
e una gomma per cancellare: 
farò un sole giallo e rosso 
e una bimba che ride a più non posso. 

Anche la “Filastrocca del però” le sembrò venisse bene: 

Avevo un bel berretto, 
però si è un po’ ristretto. 
Avevo un bel cappotto, 
però si è tutto rotto. 
Avevo un bel cappello, 
però …non è più bello! 

E che dire della filastrocca dell’accento? 

Pero non è però 
pesco non è pescò 
faro non è farò 
e Como non è Comò! 

Quanto alla “Filastrocca del c’è” fu il suo capolavoro: 

Nel paese che non c’è 
vieni a bere con me il caffè.
Con il topo c’è il gatto 
con il saggio c’è il matto, 
con il lupo c’è l’agnello 
con il brutto c’è del bello, 
con il bello c’è del brutto 
col bagnato c’è l’asciutto. 
Con il bianco c’è il nero 
con il falso c’è del vero. 

Il quadernino di Irina si riempiva rapidamente,

ma la bambina aveva ancora qualcosa da chiedere all’indiano: “Ora so inventare storielle e filastrocche” disse “ma non sono ancora capace di comporre i testi liberi”. “Perché non osservi il tuo pino e non provi a scrivere ciò che vedi?” propose senza girarsi l’indiano, mentre finiva di cucinare una frittata sontuosa, gialla come il sole e profumata come un intero ristorante spagnolo. Irina provò; osservò e scrisse, osservò ancora e scrisse di nuovo: Il cielo sopra il mio pino è folto di nuvole bianche e nere. Un uccello si mostra e scompare. C’è un brillio di goccioline d’argento sulle fronde…e svolazzi di passeri da un ramo all’altro. Rilesse ciò che aveva scritto: le piaceva. 

Quello stesso giorno trovò il coraggio di porre all’indiano una domanda

che le girava da tempo nel cuore. “Come ti chiami?” chiese. “Puoi chiamarmi Indiano I.” “Indiano I?” disse Irina “Vuoi dire Indiano di nome e I di cognome?” 
Voglio dire Indiano di nome e I di cognome, proprio così
 ribatté l’indiano.  Pur sembrandole strano, Irina respirò sollevata: ora il suo indiano aveva un nome e un cognome, come tutte le persone per bene. 

Qualche giorno dopo il quaderno di Irina finì

e la bambina chiese alla mamma di comprargliene un altro. Fu proprio allora che l’indiano scomparve: tornando da scuola Irina non lo trovò più, semplicemente. La vecchia porta della casa accanto era di nuovo chiusa, come se nessuno ci avesse mai abitato. Irina non fu particolarmente delusa, anzi capì in quel momento che se l’aspettava. Sedette su di uno scalino, attendendo il ritorno della mamma, quando un’idea fastidiosa le passò per la testa: forse l’Indiano I era esistito solo nella sua fantasia? Si liberò velocemente del pensiero molesto: la cosa non le sembrava importante. In fondo, lei ora aveva un quadernetto. Lo aprì e scrisse: - Quaderno di Irina e dell’Indiano I. 

Secondo finale 

La storia che ho scritto mi è stata raccontata dalla protagonista, cioè da Irina stessa, e finiva proprio così come avete letto. Un giorno però i bambini di una quinta elementare mi chiamarono nella loro classe e mi chiesero di rispondere finalmente alla domanda che si era posta Irina: l’Indiano I era esistito solo nella sua fantasia o era un personaggio reale? Io dissi che non lo sapevo, ma loro insistevano: “Se hai scritto tu la storia devi saperlo per forza!”. 

Allora chiamai Irina,

le raccontai l’accaduto e lei mi diede un appuntamento in un bar del centro perché in effetti aveva qualcosa da dirmi. Quando fummo sedute davanti a una bella cioccolata calda e a due invitanti pasticcini, Irina incominciò a raccontare. Disse che erano ormai passati tanti anni, che lei ora era al liceo, che a scuola era molto brava e che all’Indiano I non aveva più pensato. Poi si schiarì la voce e aggiunse: “Una sera però, guarda che cosa ho trovato davanti alla porta di casa mia …”. Aprì lo zaino e ne estrasse un rotolo di stoffa meravigliosamente colorato. Lo svolgemmo: era un lungo rettangolo di lana, che metteva gioia solo a guardarlo. Era lo strano indumento dell'Indiano I, che Irina usava come coperta. La ragazzina sorrideva, ma aveva gli occhi lucidi di lacrime. Mi abbracciò e poi corse via, tenendo stretto lo zainetto con la coperta colorata. Da allora non l’ho più vista.

 
Ti piacerebbe colorare la sciarpa/coperta dell'Indiano I? MA NON TI SEMBRA PROPRIO UNA I? Mi raccomando, usa tutti i colori!


DOMANDE PER LA RIFLESSIONE: LEGGI LE POSSIBILE RISPOSTE, RIFLETTI, CONFRONTALE CON LE TUE RISPOSTE E SCEGLI. 

1- Secondo te, a Irina piaceva andare a scuola? Perché?
 
a) A Irina non piaceva andare a scuola, perché era sempre sola.
b) A Irina piaceva andare a scuola, ma sicuramente le sarebbe piaciuto di più se avesse avuto degli amici e se si fosse sentita brava come loro.

2- Perché Irina non aveva voglia di andare a casa?

a) Irina non aveva voglia di andare a casa, perché non trovava la sua mamma e anche perché, quando la mamma arrivava, lei l’avrebbe delusa, dato che non era brava a scuola.
b) Irina in realtà aveva molta voglia di andare a casa.
c) Irina non aveva voglia di andare a casa, perché sapeva che la sua mamma non le voleva bene.

3- Perché Irina non sopportava la tristezza della sua mamma?

a) Irina non sopportava la tristezza della sua mamma, perché si sentiva in colpa.
b) Non sopportava la tristezza della sua mamma, perché la mamma era troppo noiosa.
c) Irina era contenta di vedere la tristezza della mamma.

4- Come si sentiva Irina quando entrava nel suo “buco magico”?

a) Irina nel suo buco magico era contenta, perché nessuno la vedeva e quindi si sentiva sicura; inoltre poteva vedere un pezzo di mondo.
b) Irina nel suo buco magico si sentiva triste e piangeva.
c) Irina non entrava in nessun buco magico.

5- Perché l’indiano chiuse gli occhi imitando Irina?

a) L’indiano chiuse gli occhi perché voleva prendersi gioco di Irina.
b) L’indiano chiuse gli occhi, perché era un po’ sciocco.
c) L’indiano chiuse gli occhi perché era un personaggio strano.

6- Perché secondo te all’inizio l’indiano utilizzò i bigliettini per comunicare con Irina?

a) L’indiano utilizzò i bigliettini, perché non sapeva né leggere né scrivere.
b) L’indiano utilizzò i bigliettini, perché voleva comunicare con Irina e aiutarla, ma senza spaventarla.
c) L’indiano non utilizzò i bigliettini.

7- Secondo te, Irina fece bene ad aprire la porta all’indiano?

a) Secondo me Irina non fece bene ad aprire la porta all’indiano, perché non si apre la porta agli sconosciuti.
b) Secondo me Irina fece bene ad aprire la porta all’indiano, perché l’indiano era buono.
c) Secondo me Irina fece bene ad aprire la porta all’indiano, perché glielo aveva detto la mamma, perciò non era uno sconosciuto.
d) Secondo me Irina non avrebbe mai dovuto aprire la porta all’indiano perché era a casa da sola.

8- Perché l’indiano si sedette il più lontano possibile da Irina?

a) L’indiano si sedette lontano perché Irina puzzava.
b) L’indiano si sedette lontano da Irina, per rassicurarla e non spaventarla.
c) L’indiano si sedette lontano da Irina, prché aveva paura di lei.

10 - Perché ad un certo punto Irina incominciò a sentirsi contenta e sicura?

a) Irina cominciò a sentirsi contenta e sicura, perché cominciava ad andare bene a scuola e anche perché c’era l’indiano I che l’aiutava.
b) Irina cominciò a sentirsi contenta e sicura, perché finalmente aveva trovato suo nonno.
c) Irina cominciò a sentirsi contenta e sicura, perché cominciava a diventare la più bella della classe.
d) Irina cominciò a sentirsi contenta e sicura, perché la maestra ora le voleva bene.

11 - Secondo te, perché Irina disse alla maestra che l’indiano era suo nonno?

a) Secondo me Irina disse alla maestra che l’indiano era suo nonno, perché se avesse detto che era un indiano, la maestra non le avrebbe creduto; inoltre desiderava molto avere un nonno.
c) Secondo me Irina disse che l’indiano era suo nonno, perché era una bugiarda.
d) Secondo me Irina disse che l’indiano era suo nonno perché credeva davvero che fosse suo nonno.

12 - Perché per Irina è importante avere un quadernetto?


a) Per Irina è importante avere un quadernetto, perché un quaderno può servire per fare gli esercizi e imparare a scrivere le parole.
b) Per Irina è importante avere un quadernetto, perché ormai ha imparato a scrivere e sul quaderno può esprimere tutti i suoi pensieri e le sue esperienze belle e brutte.
c) Per Irina è importante avere un quadernetto, perché è un quaderno bello e colorato.
d) Per Irina è importante avere un quadernetto, perché può usare i fogli per scrivere delle lettere all’Indiano I.

Mariarosa Tettamanti

immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust