Passa ai contenuti principali

Il portafoto



Una storia per ogni lettera dell'alfabeto: la lettera P

Ai tempi delle Forme antiche, la città di Pallalandia viveva sicura e chiusa in se stessa, tutta raccolta intorno alla piazza centrale rotonda coma una O gigantesca. Sulla sua circonferenza si aprivano altre piazze più piccole, sempre rotonde, intorno alle quali stavano le case, anch’esse a forma di cerchio. Tutta la città era infine chiusa entro mura altissime, naturalmente rotonde. Del resto anche gli abitanti erano tondi, come gli alberi e gli animali, e poiché i Pallalandiesi conoscevano soltanto le rotondità chiamavano il cerchio “La Forma”, semplicemente. Fuori c’era il Grandemondo, terribile e pericoloso; nessuno si avventurava all’esterno e tutti vivevano apparentemente felici. Ogni tanto sentivano il bisogno di congratularsi con se stessi per la città tranquilla e senza problemi che erano riusciti a costruire. Pensavano che non ci fosse felicità al di fuori della sicurezza. Le vere nemiche dei Pallalandiesi erano la Novità e la Diversità. Pallino Pinco era l’unico a non essere convinto. Si sentiva attirato dal Mondodifuori e non aveva paura di affrontarlo. La cosa impossibile era superare il muro, con le sue guardie tonde a sorvegliarlo. Giorno e notte Pallino Pinco pensava a come aggirare l’ostacolo. Sua mamma si era accorta che qualcosa di strano frullava nella testa del figliolo ed era molto, molto preoccupata. Gli diceva continuamente: “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa che cosa perde, ma non sa che cosa trova” e anche: “Chi lascia il certo per l’incerto rinuncia a vivere al coperto” “Chi prende il nuovo e lascia il vecchio perde l’acqua con il secchio”. Pallino Pinco capiva la preoccupazione della mamma, ma non gl’importava nulla di coperte, di acqua e di secchi. E gl’interessava troppo il Mondodifuori.

Pensò e ripensò, finché il momento giusto per fuggire venne quasi per caso.

Fu durante la festa di fine anno, quando tutti ballavano, ridevano e… bevevano. Anche le guardie si erano allontanate dal grande muro esterno per unirsi alle danze: era impensabile che qualcuno uscisse dalla città proprio nel giorno più bello dell’anno. Pallino Pinco si chiese come mai non ci avesse pensato prima e si diresse rotolando a più non posso verso l’alto muro. In tasca aveva un portafoto rotondo con la fotografia della sua famiglia: era il suo portafortuna e non se ne separava mai. Rotolò e rotolò, finché trovò un buco rotondo e scivolò fuori, senza esitazioni, ma chiudendo gli occhi, perché un po’ di paura per la verità gli era venuta. In tasca aveva la bandiera di Pallalandia, naturalmente di forma rotonda e con un cerchio al centro.

Continuò a rotolare con gli occhi chiusi

fino a quando, a un certo punto, cozzò violentemente contro un altro muro, alto e duro come quello di Pallalandia. Pallino Pinco era deluso: possibile che tutto ciò che il mondo aveva da offrirgli era un muro? Poi pensò che se c’era un muro poteva esserci dentro una città e sentì la speranza rinnovargli il cuore. Ricominciò quindi a rotolare, cercando un modo per entrare.
Rotolò e rotolò ancora, finché trovò il buco che cercava: era un pertugio stranissimo, di una forma completamente sconosciuta … “Che razza di forma è questa?” si chiese Pallino Pinco completamente disorientato. Qualunque bambino dell’asilo avrebbe detto, se l’avesse visto, che si trattava di un foro di forma quadrata, ma Pallino Pinco nella sua breve vita aveva visto soltanto forme rotonde e non poteva perciò riconoscerne altre. Di fronte a una cosa tanto strana si sentì paralizzato dal timore. Sedette a pensare, mantenendosi a una certa distanza dal buco, fino a quando la curiosità prevalse sulla paura. Allora s’infilò decisamente nell’apertura e strisciando e contorcendosi si spinse in avanti, finché, schiacciato e ammaccato, si trovò dall’altra parte.

Si rimise in piedi con fatica

e si guardò intorno. Davanti a lui c’erano case quadrate che delimitavano piazze della stessa forma. Ogni altra cosa era quadrata: gli alberi, i sassi e il sole che brillava nel cielo. Pallino Pinco vide perfino un cagnolino quadrato. Sbalordito continuò a camminare e arrivò ben presto nella piazza principale della strana città, sulla quale si affacciavano alcune piazze secondarie.

Fu proprio qui, in questo momento fondamentale della sua esistenza,

che incontrò Puadrino Pizio, il quale andava in giro fischiettando, senza sapere che lo aspettava l’incontro che avrebbe cambiato la sua vita. Non appena si videro, i due furono così sbigottiti che se la diedero a gambe: ognuno di loro pensava che l’altro fosse un mostro o un alieno. Tuttavia, siccome erano due inguaribili curiosi, dopo essersi squadrati ben bene a debita distanza, si riavvicinarono decisi a conoscersi. Non sapendo se aveva a che fare con un animale o una persona, Puadrino offrì del pane a Pallino Pinco, emettendo un “pussipussipussi” che aveva tutta l’aria di voler essere rassicurante. Pallino Pinco capì l’equivoco. Estrasse dallo zaino la sua merenda, la mostrò a… all’alieno e incominciò a mangiarla lentamente, assaporando il cibo con gusto. Disorientato Puadrino rimase per un po’ a guardare, quindi si avvicinò, si sedette a una certa distanza e addentò il suo pane. I due mangiarono in silenzio, poi si scambiarono ciò che stavano mangiando senza guardarsi negli occhi e poco dopo, senza tanti complimenti e dimenticando persino di presentarsi, scoprirono di essere diventati amici. Prima che il sole calasse all’orizzonte avevano deciso di proseguire il viaggio insieme. Puadrino avrebbe voluto portare anche sua sorella, ma Pallino glielo impedì, asserendo che era meglio lasciare le femmine a casa: dopo tutto poteva trattarsi di un viaggio pericoloso e le donne, si sa, a volte sono proprio una lagna.
Aspettarono che la notte con il suo carico di oscurità fosse scesa sul mondo
e partirono. Superarono facilmente i posti di blocco ed uscirono con un po’ di tremarella nel Mondodifuori. Rotolarono e saltellarono canticchiando per farsi coraggio, mentre un’ombra nera si staccava furtiva dal muro che avevano lasciato alle spalle e due occhi scuri si muovevano minacciosi nella penombra: i due ragazzi non lo sapevano, ma quello sguardo vuoto non li avrebbe più lasciati.

Incoraggiato dalla presenza dell’amico,

Pallino Pinco si decise a guardarsi intorno e allora vide davanti a lui una nebbia grigia e senza forma. Si fermò disorientato e impaurito: non aveva nessuna voglia di addentrarsi in quella distesa viscida e quasi incolore. Guardò Puadrino e tutti e due, come se si fossero messi d’accordo, arretrarono di qualche passo. Fu allora che ebbero la percezione di non essere soli e insieme avvertirono uno strano, terribile gelo che attanagliava il cuore e cancellava i pensieri. Qualcuno era lì, dietro a loro, e aspettava il momento giusto per uscire allo scoperto e distruggerli. I due ragazzi sentirono il tanfo insopportabile del suo respiro. Si consultarono senza parlare e insieme si avviarono verso la nebbia che si stendeva davanti a loro: ormai non avevano scelta, il viaggio iniziato doveva continuare.

Rotolando e saltellando

percorsero più di un chilometro, ma non entrarono nella nebbia: la strana foschia sembrava ritrarsi davanti a loro. Ben presto scese il buio; i due ragazzi avrebbero voluto fermarsi e riposare, ma il pensiero della “cosa” tremenda che li seguiva li costrinse a continuare il cammino. I loro movimenti si fecero sempre più incerti ed esitanti finché urtarono contro qualcosa di molto duro: erano arrivati a un altro muro!
“Costeggiamo la recinzione e cerchiamo un buco per entrare; forse dall’altra parte troveremo una città” sussurrò Pallino all’amico, forte della sua esperienza precedente. Puadrino annuì e incominciò a camminare rasente il muro, tastandolo con cura. Quando trovò un pertugio, emise un leggero fischio per avvertire l’amico e poi si spinse dall’altra parte, non senza una certa fatica. Pallino lo seguì immediatamente e non appena fu al di là del muro si sedette per terra stremato. Anche Puadrino si sentiva distrutto dalla stanchezza, perciò si stese accanto all’amico, chiuse gli occhi e rabbrividì a lungo, pensando alla presenza inquietante rimasta là fuori.“Anche tu l’hai sentito?” disse sottovoce. “Sì” rispose Pallino rabbrividendo a sua volta: “Tu sai che cos’è?” “No, non lo so, però è terribile… e crudele.” “Che cosa possiamo fare?” “Non lo so, però ho paura” “Anch’io ho paura…” disse Pallino e chiuse gli occhi, lasciandosi invadere dal sonno. Puadrino rimase sveglio ancora per un po’ di tempo, poi anche lui si abbandonò alla stanchezza e si addormentò, scivolando lentamente nel mondo dei sogni.

Furono svegliati all’alba

da voci irose e allarmate. Si alzarono di scatto e videro davanti a loro alcune guardie armate di fucile. “Svelti! Mettetevi contro il muro!” gridarono le guardie “Chi siete? Da dove venite? Che cosa fate a Priangolandia? Chi vi ha dato il permesso di entrare?” Impauriti i due bambini non furono in grado di rispondere e un attimo dopo si trovarono ammanettati e trascinati per le vie di una strana città dove tutto aveva forme uguali e mai viste. La gente li guardava incuriosita e li additava come se si trattasse di bestie strane. Tutti gli abitanti avevano teste a punta, braccia a punta, gambe a punta e corpi a punta.

Furono portati in prigione

e chiusi in una cella buia e puzzolente. Pallino si sedette per terra e per la prima volta, da quando era incominciata la sua avventura, ebbe voglia di piangere. Puadrino si accoccolò accanto a lui e gli mise un braccio intorno alle spalle: questo gesto così semplice mise in fuga il dispiacere e fece ricomparire la voglia di lottare. “Che cosa succederà ora?” chiese Pallino. “Quando avranno capito che non abbiamo cattive intenzioni, ci lasceranno andare con tante scuse” rispose Puadrino con assoluta fiducia.
“Io non ne sarei tanto sicura se fossi in voi” esclamò una voce sconosciuta, fresca e vivace. Gli amici guardarono attraverso le sbarre della prigione e videro una bambina con la testa a punta e due occhi bellissimi, che scrutava l’interno buio della cella con curiosità e preoccupazione. “Chi sei?” chiesero insieme i due ragazzi. “Mi chiamo Prillina, sono la figlia del carceriere” rispose la piccola e aggiunse: “. È meglio che fuggiate: chi entra in Priangolandia senza permesso, viene giustiziato entro una settimana dall’arrivo”. “Fuggire… è una parola! Come si fa a fuggire da una cella chiusa e sorvegliata?” “So che ci devo pensare io” disse la bimba “vedrò cosa potrò fare nei prossimi giorni. Intanto voi state tranquilli. Vi ho portato qualcosa da mangiare, perché il cibo che danno in prigione non è dei migliori”. Pallino e Puadrino erano terrorizzati, ma anche molto affamati, perciò divorarono tutto ciò che Prillina aveva portato. Dopo si sentirono meglio.

Il giorno seguente

vennero portati davanti al giudice. Invano protestarono la loro innocenza: il magistrato disse che gli dispiaceva molto, ma la legge era la legge e doveva essere rispettata. Considerata la loro giovane età, poteva tutt’al più condannarli all’ergastolo. Fece proprio così e i ragazzi vennero riportati in prigione: la loro unica speranza era ormai la piccola Prillina.
Passarono lentamente alcuni giorni
e finalmente una notte la bambina arrivò. Aveva con sé una grossa chiave, con la quale aprì la cella e liberò i ragazzi. Quindi afferrò una grande borsa a punta e disse decisamente che li avrebbe seguiti nel Mondodifuori. “Sei matta?” gridò Pallino. “Neanche per sogno!” urlò Puadrino. Poi vide le lacrime spuntare negli occhi della piccolina e cercò di addolcire la voce: in fondo era stata lei a liberarli. “Nel Mondodifuori ci sono molti pericoli” disse suadente. “Una bambina non potrebbe mai sopravvivere”. “Io non ho paura” disse Prillina. “Non pensi alla tua mamma? Al tuo papà?” tentò di convincerla Pallino. “Non ho più la mamma e il mio papà è troppo preso dal lavoro: non si accorgerà neanche della mia mancanza.” “Nel Mondodifuori c’è… c’è…” disse Puadrino. “Lo so, c’è il Grande Informe, il Terribile, il Distruttore: lo conosco, so come ci si deve comportare con lui. Voi no, non lo sapete: vedete che avete bisogno di me?” I ragazzi non seppero più cosa dire e si rassegnarono a partire portandosi la bambina.

Appena fuori da Priangolandia,

i bambini sentirono la presenza dell’Informe. Tremarono tutti e tre come se un forte vento li scuotesse dalla testa ai piedi. “Non dovete mai tornare sui vostri passi” bisbigliò Prillina: 
non dovete girarvi mai, per nessuna ragione al mondo. Non dovete mai fermarvi a riposare, non dovete correre e soprattutto non dovrete mai chiudere gli occhi. Il Grande Informe non ci lascerà finché saremo nel Mondodifuori. Aspetterà con pazienza e ci seguirà sempre, sperando di poterci divorare. Non appena faremo uno sbaglio ci assalirà.
I ragazzi annuirono e ricominciarono il cammino. La nebbia che avvolgeva il Mondodifuori si dissolveva davanti ai loro passi e liberava a poco a poco il paesaggio, ma essi non lo vedevano, perché non potevano girarsi. “Che cos’è il Grande Informe?” chiese Pallino a Prillina. “Non lo so. Nessuno lo sa, nessuno l’ha mai visto. Si sa solo che distrugge coloro che si avventurano nel Mondodifuori ed è per questo che tutte le città hanno alte mura e nessuno può scavalcarle”. I ragazzi camminarono e camminarono, mangiarono stando in piedi ciò che Prillina aveva portato e non si fermarono mai.

Scese un’altra volta la notte,

che portò come sempre il grande buio. “Dovremmo essere nei pressi della città delle Forme Lunghe” disse Prillina. “Come lo sai?” chiese Pallino incuriosito. “L’ho sentito dire dai prigionieri che venivano arrestati perché entravano senza permesso in Priangolandia” rispose Prillina e subito dopo emise un gridolino compiaciuto: “Ecco il muro, ci siamo!” esclamò eccitata. Senza più parlare cercarono l’immancabile buco e, quando l’ebbero trovato, scivolarono dentro in cerca di un po’ di riposo.
“Questa volta dovremo svegliarci prima che ci trovino le guardie” disse Pallino e si stese per dormire, come fecero gli altri due. Stava già cominciando a sognare quando aprì gli occhi allarmato: si sentiva osservato. Scrutò attentamente la tenebre e gli parve di vedere la forma di uno strano bambino, lungo lungo. Aveva uno zaino sulle spalle e lo guardava spaventato. “Chi sei?” chiese Pallino, cercando di rendere la voce più coraggiosa possibile. “Mi chiamo Perangolino” disse l’ombra esitante. “Sono venuto fin qui, perché voglio uscire nel Mondodifuori. Non fatemi del male, me ne andrò subito, non vi disturberò”. “Sarà meglio che ti fermi con noi, o farai una brutta fine” disse Pallino. “Ma io voglio andarmene” si lagnò Perangolino “Sono stufo di vivere chiuso in questa città.” “Anche noi ce ne andremo, ma domani mattina. Ora non è possibile” tagliò corto Pallino. “Dormi anche tu e domani partiremo insieme”. Perangolino ubbidì e poco dopo russava insieme agli altri tre.

Il mattino seguente si svegliarono tutti molto presto

e fecero colazione insieme. Mentre Pallino si piegava per raccogliere lo zaino, dalla tasca gli cadde il portafoto. “Che cos’è?” chiese Puadrino e raccolse da terra il portafortuna dell’amico. “Dammelo” disse Pallino “è la foto della mia famiglia”. “Anch’io ho la foto della mia famiglia” disse Prillina e tolse da una tasca una fotografia sgualcita, “Anch’io” si unì a lei Petrangolino “E tu?” chiese a Puadrino. “Anch’io ce l’ho” ammise lui. Allora Prillina ebbe un’idea: “Che cosa ne dite di mettere le nostre fotografie tutte insieme nella cornice di Pallino?” Accettarono tutti e, dopo un ultimo bacio, misero insieme i ritratti. Nella cornice rotonda c’erano ora quattro famiglie di forma diversa: una rotonda, una quadrata, una triangolare e una rettangolare. E per la verità sembravano stare molto bene insieme. “Ora bisogna mettere in sicurezza questo amuleto” esclamò Petrangolino: prese un bastoncino lungo e stretto e lo legò alla cornice. “Così possiamo infilarlo in uno zaino a turno e non rischieremo di perderlo”. 

Dopo questo piccolo rito 

i bambini si sentirono più contenti: erano sicuri di voler proseguire da soli nel nuovo cammino, ma non volevano dimenticare da dove venivano, né gli affetti che avevano lasciato.
Ripartirono in silenzio, dopo aver spiegato velocemente a Petrangolino come avrebbero dovuto difendersi dal Grande Informe. Il poveretto appariva terrorizzato, ma li seguì senza fare obiezioni.

La grande marcia riprese

senza variazioni: i ragazzi camminavano e la nebbia si ritraeva davanti a loro e quanto all’Informe era sempre lì e li seguiva con il suo carico di freddo e cattiveria. Quando calò la notte, i nostri amici cercarono invano un muro e una città: sembrava proprio che questa volta non ce ne fossero. Stanchi e disperati continuarono a camminare, finché la povera Trillina cadde a terra stremata. “Alzati!” gridarono gli amici, mentre il freddo dell’Informe e la solita, terribile puzza di marcio, di zolfo e di bruciato si avvicinava pericolosamente. “Non ce la faccio” mormorò la bambina “Lasciatemi qui e continuate voi il cammino”. “Neanche per sogno!” urlò Pallino P e senza aggiungere altro se la caricò sulle spalle e proseguì rimbalzando, per non rischiare di schiacciarla. Il gelo e la puzza nauseabonda si allontanarono un poco e i ragazzi respirarono sollevati. “Non potremo continuare così per molto” pensò Pallino “fra un po’ tutti saremo così spossati da doverci fermare e allora il mostro che ci segue avrà il sopravvento”. Tuttavia non si fermò e continuò a rimbalzare col suo carico sulle spalle, seguito dagli amici che saltellavano sempre più stanchi. Prillina continuava a stringere tra le mani il loro portafortuna.

Quando scese la notte,

i bambini cominciarono a disperare. Sentivano un terribile dolore alle ossa, il sonno appesantiva le palpebre e rendeva confusi i pensieri. Davanti a loro vedevano solo la nebbia e dietro c’era sempre l’odore dell’Informe che li incalzava. Se avessero potuto guardare dietro di loro avrebbero visto il mondo cambiare aspetto assumendo colori e forme nuove: avrebbero visto alzarsi alberi alti e montagne maestose, sbocciare fiori e aprirsi ali di farfalle, uccelli prendere il volo e formichine correre tra fili dell’erba verde luccicanti di rugiada.

Improvvisamente la nebbia non si ritrasse più

e i quattro amici si accorsero inorriditi di esserne immersi: la foschia sembrava attaccarsi alla pelle, penetrare negli occhi e nelle ossa, invadere bocca e orecchie… Finché sentirono la terra mancare sotto i piedi e alla luce di una luna livida, apparsa proprio in quel momento, videro aprirsi davanti a loro un immenso baratro buio. Pallino gridò “Attenti!” e precipitò di sotto con Prillina. Vide che anche Puadrino e Perangolino precipitavano insieme a lui e chiuse gli occhi per non vedere: era arrivata la fine! Prillina invece tenne gli occhi ben aperti e notò, un attimo prima di schiantarsi al suolo, che i compagni caduti si erano rotti in piccoli pezzi di forma diversa: Puadrino in tanti pezzi quadrati e Perangolino in una miriade di forme lunghe. “Io mi scomporrò in un migliaio di triangolini” pensò e stranamente capì di non avere paura. Allora l’Informe si allontanò ghignando sinistramente nella notte e i ragazzi giacquero privi di vita sul fondo del grande burrone.

Scese il silenzio assoluto,

che durò molto, molto tempo, finché arrivarono le Forme primordiali. Il grande Cerchio, il grande Quadrato, il grande Rettangolo e il grande Triangolo volarono leggeri e trasparenti come fantasmi sopra la pianura e raccolsero con cura tutto ciò che era rimasto dei bambini. Quindi cominciarono con pazienza a montare i vari pezzi tra loro: avvitarono teste rotonde su colli rettangolari, incollarono nasi a forma di triangolo, inserirono su mani quadrate lunghe dita a rettangolo... Alla fine, quando ebbero ricomposto quattro nuovi, bellissimi bambini, presero gli ultimi pezzi rimasti, che stranamente erano tutti uguali (nè quadrati, né rettangoli, né cerchi, né triangoli) e li premettero con forza al centro di ognuno di loro. Da ultimo raccolsero la cornice portafortuna dei ragazzi e la conficcarono nel terreno in mezzo ai papaveri e ai nontiscordardimé.
Infine alitarono piano e si allontanarono volando leggeri come erano venuti.

Quando venne la mattina, una gloriosa mattina di primavera

che faceva nuove tutte le cose, i ragazzi si svegliarono, si guardarono e incominciarono a vivere la loro splendida giornata. Così, da quattro bambini coraggiosi, erano nati primi veri uomini.
Ma … qual era la forma diversa dalle altre, quella che gli spiriti primordiali raccolsero e inserirono all’interno dei nuovi bambini? Trovala tu, sono sicura che l'hai capito!



ORA RIGUARDA IL PORTAFORTUNA: ASSOMIGLIA ALLA LETTERA ...

Mariarosa Tettamanti
immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust