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Gigì, gatto galaniano

"Una storia per ogni lettera dell'alfabeto": la lettera G. 

Giovannino schiacciò il tasto dell’accensione e subito il computer emise il suo ronzio rassicurante. Il bambino cliccò più volte col mouse, finché davanti a lui si aprì l’ultima pagina del suo diario elettronico. In cerca dell’ispirazione, si sedette in un angolo del suo lettino, incrociò le lunghe gambe magre e si mise il pollice in bocca. Non poteva farne a meno in un pomeriggio come quello. Una pioggerellina uggiosissima scendeva infatti dal cielo chiuso, impantanava il giardino e si mescolava a una foschia vischiosa che sembrava incollare il paesaggio in un blocco unico, di un colore grigiastro, con qualche pennellata livida di viola. La mitica Girasole stava certamente provando un trucco nuovo davanti allo specchio di uno dei sette bagni del grande palazzo in cui abitavano, mentre suo figlio Giangiacomomaria si dava da fare in qualche sala-giochi della città con l’intento di preparare gli esami di maturità. La piccola Gisella era alla scuola materna, e quanto a suo padre... be’, il signor Giorgetti Giorgio, proprietario unico della più grande fabbrica di calzature della città, era, come negli altri trecentosessantaquattro giorni dell’anno, in viaggio di affari. Giovannino lo immaginò in Senegal, paese d’origine della dolcissima Galele. - Galele - pensò Giovannino con nostalgia - perché non sei qui con me?-
Galele era la sua vera mamma: una principessa senegalese che il signor Giorgetti aveva conosciuto in uno dei suoi viaggi. Era morta in un incidente stradale cinque anni prima, quando Giovannino ne aveva solo tre. Benché allora fosse molto piccolo, ricordava bene l’angoscia e lo smarrimento negli occhi del babbo e il senso di vuoto e di abbandono che aveva scoperto dentro il suo cuore. Poi il papà si era innamorato di una famosa top-model milanese, la bellissima Gioanna Ghiringhelli chiamata Girasole, e l’aveva sposata adottando anche suo figlio, Giangiacomomaria appunto, che Giovannino e Gisella chiamavano Giancavolomaria. Il bambino aveva provato ad avvicinarsi al fratellastro e alla matrigna in cerca di affetto, ma, dietro ai modi educati e altezzosi dei due, aveva sentito una grande indifferenza, così si era rintanato nella sua camera, dalla quale usciva solo per mangiare e andare a scuola. Gisella era nata un anno dopo il matrimonio di papà Giorgetti e Girasole, e quella era stata davvero una grande fortuna per Giovannino, che si era subito affezionato, ricambiatissimo, alla piccola. Vederli insieme era uno spettacolo: Giovannino aveva la pelle color cioccolato, occhi vivacissimi e neri come acini d’uva e capelli ricci color del carbone; Gisella, al contrario, aveva guance chiare, capelli biondi lisci e occhi come due pezzi di cielo grigio. Eppure si assomigliavano, perché ambedue avevano ereditato i lineamenti del viso e la struttura fisica del padre.

Giovannino cercò di cacciare l’immagine della mamma dagli occhi

e si costrinse a fissare lo schermo del computer. In quel momento vide qualcosa che attirò la sua attenzione: sullo schermo era comparso un segno strano, una specie di G maiuscola.

Era un segno che Giovannino, pur essendo un esperto conoscitore di computer, non aveva mai visto. Scese quindi dal letto e si avvicinò per vedere meglio. La grande G si mosse e in alto a destra comparve un triangolino.

Poco dopo ecco un altro triangolino, vicino al primo:  



E poco dopo ancora, due linee oblique…




Seguite da una linea curva, in basso a destra



... da una lineetta



  e infine da un pallino...anzi, un occhio!




 

- Un gatto! E’ un gatto- disse Giovannino ridendo

e pensò allo scherzo di qualche compagno che si era probabilmente introdotto nel suo computer attraverso Internet. Prese il mouse e si accinse a rispondere, quando vide comparire una scritta:

SONO GIGÌ, GATTO GALANIANO, 
SE VUOI FARMI USCIRE DAL COMPUTER 
DIGITA TRE VOLTE LA PAROLA “GALELE. 

Vedendo il nome della mamma,

Giovannino sentì rimescolarsi lo stomaco e premette tremando i tasti. Quando ebbe finito, si scatenò una gran confusione di luci, lampi e tuoni, finché il gatto disegnato sullo schermo strizzò l’occhio a Giovannino, si stiracchiò le zampe e saltò agilmente in braccio al bambino. Se non fosse stato un ragazzino dai nervi saldi, Giovannino sarebbe caduto dalla sedia svenuto; invece rimase lì, a bocca aperta, più morto che vivo, senza neanche il coraggio di urlare. Il gatto lo guardò di sotto in su e brontolò: -Spero di non aver esagerato con gli effetti speciali -. Poi si mise a leccare gentilmente e accuratamente il viso del bambino finché i suoi occhi dimostrarono una certa vivacità.

- Chi...sei?- chiese Giovannino,

non appena ebbe ritrovato un filo di voce. - Te l’ho già scritto sullo schermo del computer: sono Gigì, un gatto galaniano- Questa volta, sentendo il gatto parlare, il bambino finì davvero lungo disteso per terra. - Non sarà mica morto?- si chiese preoccupato lo strano felino e cominciò a leccare la pianta dei piedi di Giovannino, il quale, sentendosi fare il solletico, non poté fare a meno di ridere. -Se un umano ride non è morto- disse tra sé il gatto e poi aggiunse ad alta voce: - Amico mio, se la mia presenza deve farti un effetto così esplosivo, sarà meglio che me ne vada. - No, no - si affrettò a rispondere Giovannino - ho solo bisogno di bere un bicchiere d’ acqua -
Nel frattempo era tornata Gisella da scuola e come sempre si era precipitata urlando nella camera del fratellino. -CiaoGiovanni’saichelamaestrahadettoche...Oh, che bel gattino! - disse, abbassando istintivamente la voce - Lo sai che sei proprio bello?...Però bisognerà nasconderlo - si rivolse preoccupata a Giovannino: - se lo vede Giancavolomaria lo prende a pedate!- e prese in braccio Gigì e lo riempì di carezze e baci.
Gigì sorrise alla maniera dei gatti, si acciambellò e... fece sparire i suoi occhi! Poi fu la volta della pancia, del muso, della coda, dei baffi, delle orecchie...alla fine, in braccio a Gisella rimase solo una strana G e poi non si vide più neanche quella. La bambina, che aveva seguito la trasformazione del gatto con grande apprensione, si rasserenò. - Bravo gattino, se sei capace di diventare “insibibile”, tutto andrà bene- disse e continuò ad accarezzare ciò che aveva tra le braccia, benché non si vedesse più niente. Poco dopo la tata la chiamò per la merenda e la piccola, prima di uscire, mise delicatamente l’animale “insibibile” tra le mani di Giovannino. Suo fratello si trovò così ad accarezzare un gatto che non vedeva; sotto le sue mani sentiva che ogni cosa era al suo posto: c’erano le zampe, la testa, la pancia, la schiena, gli occhi, le orecchie, i baffi, il naso... - Hai finito di farmi la visita medica? - disse sbuffando Gigì. - Scusami hai ra... ragione - balbettò Giovannino - ma è che tu ...se...sei così s...strano...-
- Sarà meglio che ti spieghi allora - disse Gigì - Siediti e ascolta. Io vengo dal pianeta Galanian, popolato solo da gatti. Noi gatti galaniani siamo in tutto simili ai gatti terrestri, eccetto in tre cose: primo, come vedi, siamo in grado di parlare; secondo, sappiamo renderci invisibili; terzo, non sono i padroni a scegliere noi, ma siamo noi a scegliere i nostri padroni. Compreso Giovannino? - Suo malgrado il bambino si trovò a pensare ad alta voce: - Già prima la mia vita assomigliava a quella di Cenerentola, ora mi trovo anche il gatto con gli stivali. - Tu stai citando un mio illustre predecessore - disse Gigì. -Perché? - chiese esterefatto Giovannino - anche il gatto con gli stivali veniva dal tuo pianeta? - Certamente - rispose con forza Gigì - hai mai visto un gatto terrestre fare quello che ha fatto lui per il suo padrone? - Sì, va bene, ma io pensavo che queste cose succedessero solo nelle fiabe. - Le fiabe s’intrecciano sempre con la vita, amico mio. Altrimenti a che cosa servono? Comunque, non perdiamo altro tempo in chiacchiere inutili: bisogna pensare alla tua istruzione.- - Alla mia istruzione? - s’indignò Giovannino - io m’istruisco già! Vado a scuola, frequento la terza elementare! - Certo certo- ribattè piccato Gigì - che cos’hai avuto negli ultimi giudizi? - Suff in italiano, suff in matematica, buono in motoria e musica... non suff in storia... geografia e... - Ottimo, bisogna mirare all’ottimo ragazzo mio!- tagliò corto Gigì -Vale di più un sufficiente avuto mirando all’ottimo, che un ottimo ottenuto impegnandosi per un sufficiente. E tu ne hai di strada da fare! Vai a cena e poi ne riparleremo.-

Giovannino si sentì diventar rosso per l’indignazione,

tuttavia scese in tinello per la cena. Era così sconvolto che non riuscì a mangiare. Gisella invece divorò tutto e poi di nascosto prese una bottiglia di latte e la portò a Gigì nella camera del fratello. Il gatto mostrò di gradire molto l’omaggio della bambina. Dopo aver mandato a letto la piccola, Gigì accennò col capo in direzione della scrivania. Giovannino capì e sbuffò: ci mancava anche il gatto precettore adesso. -Storia!- esordì il felino e messosi un enorme paio di occhiali, aprì il capitolo dei Camuni. - Sembri Anacleto del cartone “La spada nella roccia”- sghignazzò il bambino cercando di rimandare il momento dello studio. Gigì finse di non aver sentito e un attimo dopo il bambino era immerso nel magico mondo della preistoria. Il gatto parlava dei Camuni come se li avesse veramente conosciuti e a volte le sue parole creavano le immagini, tanto che Giovannino poteva assistere allo scorrere della vita nel villaggio preistorico. Così fu per geografia. Gigì parlava del mare ed eccolo lì il grande oceano: dilatava le pareti della cameretta e Giovannino si trovava seduto su uno scoglio ad ascoltare la voce dei gabbiani che giocavano a rimpiattino nel cielo. Gigì parlava di montagne e Giovannino finiva sulla cima del monte Bianco a ragionare di altitudine con un’aquila di passaggio. Per quel che riguarda scienze, poi, le scoperte furono infinite. Gigì, dopo aver ridotto Giovannino alle dimensioni di una pulce, lo portò addirittura in un alveare. L’ape regina l’accompagnò a vedere il lavoro delle operaie e a visitare i reparti maternità, dove veniva curata la crescita delle piccole larve. Lo stesso successe in un formicaio, in cui le scoperte furono ancora più entusiasmanti.
Quando Gigì gli ordinò di andare a letto, Giovannino non ne voleva più sapere. -Studiamo ancora un po’- disse, ma il gatto fu inflessibile. Durante la notte il bambino sognò Galele che lo guardava sorridendo dolcemente; cercò di raggiungerla, ma la bella principessa si dileguò nel buio.

Il giorno dopo

Giovannino si svegliò e cercò Gigì: non c’era. Pensando che si fosse reso invisibile, tastò invano il pavimento e i mobili con le mani. Allora pensò di aver sognato e un grande gelo gli strinse il cuore. Come ogni mattina andò a scuola, si sedette nel suo banco, incrociò le braccia e aspettò con poca convinzione che la lezione incominciasse. Improvvisamente sentì qualcosa di morbido che si strofinava contro le sue gambe; si chinò e non vide niente, allungò una mano e... - Eccoti qui canaglia di un gatto! Che spavento mi hai fatto prendere!- Il gatto rimase con lui tutta la mattina. Quando Giovannino non capiva qualcosa, Gigì saltava sulla sua spalla e gliela spiegava. Quando si sentiva solo, Gigì gli prendeva la mano tra le zampette e gliela scaldava. Tornando a casa, il bambino chiese a Gigì:- Mi farai diventare ricco come fece il gatto con gli stivali col marchese di Carabas? - Che sciocchezza- rispose Gigì - innanzitutto, tu sei già ricco, perché sei il figlio dell’industriale Giorgetti. In secondo luogo, non è la ricchezza che fa la felicità e in questo mi permetto di dissentire dal mio illustre collega.-

Nel pomeriggio 

Gigì andò al giardino zoologico, dove aveva parecchi amici coi quali si accordò perché dessero lezioni a Giovannino. L’orso bianco gli avrebbe insegnato le trasformazioni dell’acqua, la scimmie avrebbero ripassato con lui le tabelline e gli altri animali avrebbero parlato dei loro paesi d’origine ampliando così le sue conoscenze. Nel giro di un mese e mezzo, Giovannino aveva trovato dentro di sé una gran voglia d’imparare e di studiare, tant’è che la sua scheda di valutazione del secondo quadrimestre riportava solo bellissimi voti. - Bene- disse Gigì quando la vide - ora basta lezioni di ripetizione. Non ne hai più bisogno. Ora farai da solo perché hai scoperto che imparare rende la vita più facile, ma soprattutto più interessante.-
Giovannino si allarmò: -Non te ne andrai vero? -No, sciocchino- disse il gatto - la mia missione con te non è finita. Il difficile comincia adesso. Da stasera, lezioni di vita-
La sera stessa, infatti, dopo che il buio ebbe inghiottito la città,
Gigì disse a Giovannino:- Mettiti un maglione pesante.- Il ragazzo ubbidì e poco dopo scivolava con il gatto fuori dal cancello di casa. Gigì condusse Giovannino in giro per le strade e il bambino scoprì una città diversa ed emozionante. I lampioni giocavano con la luna a disegnare triangoli luminosi sui muri, i gatti s’inchinavano con deferenza a Gigì e perfino i cani randagi lo salutavano rispettosamente con un cenno del capo. I due amici finirono in una casa abbandonata e fatiscente, dove aveva trovato rifugio un folto gruppo di extra-comunitari. La maggioranza di loro era di origine senegalese, come la mamma di Giovannino. Il bambino fece subito amicizia con alcuni ragazzini che avevano qualche anno più di lui. Siccome per loro era importante imparare l’italiano, Giovannino si offrì d’insegnarlo e si trovò improvvisamente a vivere l’esaltante avventura del maestro. La sua vita prese così un indirizzo ben preciso: di giorno scuola, compiti, palestra o piscina, giochi con Gisella, computer, qualche festa con i compagni; di sera lingua italiana agli amici senegalesi. Gigì era sempre al suo fianco e con lui tutto sembrava più facile.

Giovannino terminò così le elementari, le medie e le superiori.

Suo fratello Giangiacomomaria lavorava ormai nell’azienda del padre; Girasole, essendo un po' invecchiata, non partecipava più alle sfilate di moda e stava a casa con Gisella.

Un brutto giorno d’estate, però...

la vita di Giovannino ricominciò ad assomigliare ad una fiaba triste. Il papà, infatti, che per la verità aveva sempre fumato un po’ troppo, si ammalò gravemente e morì. Giovannino pianse a lungo: ora si sentiva veramente solo; gli restava Gisella, ma anche lei si era fatta grande e non aveva più bisogno di lui. Aveva le sue amiche, la sua scuola, le sue feste. Per di più, quindici giorni dopo la morte del padre, tutta la famiglia venne chiamata dal notaio per la lettura del testamento. “Lascio l’azienda al mio caro figlio Giangiacomomaria, che da anni ormai lavora con me” lesse il notaio 
A lui lascio anche il mio jet personale e l’auto blindata per gli spostamenti. Lascio alla mia adorata moglie il palazzo in cui abitiamo e lo yacht. Lascio alla mia amatissima figlia Gisella la baita che abbiamo in montagna e la casa al mare.Voglio che tutti i miei soldi siano divisi fra loro tre. Quanto a mio figlio Giovannino, non gli lascio niente: lui ha il suo gatto galaniano, che è più in gamba di tutti noi messi insieme. Ti benedico figlio mio e conto su di te. Sii degno di tua madre e di tuo padre.

Giovannino trasecolò: come poteva il padre aver saputo di Gigì? Alzando gli occhi incontrò lo sguardo preoccupato e addolorato di Gisella e la rassicurò con un sorriso. Uscito dal notaio, non andò nemmeno a casa. Dentro di sè sentiva una grande forza. Disse a Gigì: - Io me ne vado. Ho preso la mia decisione. Sono senegalese e vivrò con i senegalesi. Tu puoi fare ciò che vuoi. Se torni a casa, ti raccomando Gisella. Il gatto sorrise contento, preparò i suoi effetti personali in una minuscola valigia (un gatto serio non viaggia mai senza effetti personali) e camminò tutto fiero e soddisfatto insieme al suo Giovannino. - Gisella se la caverà meglio di noi, - disse - ha grinta da vendere quella ragazza. - Sì, e poi ha una madre e un fratello, a differenza di me che non ho nessuno - pensò con un po’ di amarezza Giovannino. Gigì indovinò facilmente ciò che passava nel cuore del suo amico, sospirò come per dire “Non capisce”, ma non disse una parola. I due salirono sul treno, alla stazione Nord, e andarono a Milano.

Nella grande metropoli, Giovannino si unì ai senegalesi

che dormivano in rifugi improvvisati e conobbe la dura vita degli extra-comunitari. Africani, russi, bosniaci, kosovari... tutti vivevano dove capitava, spesso in edifici cadenti o in costruzione; lavoravano e guadagnavano pochissimo, si nascondevano perché non avevano il permesso di soggiorno e non volevano essere rimpatriati: a casa avevano figli piccoli, mogli, madri e sorelle da mantenere. La vita di Giovannino non assomigliava più a una fiaba né bella né brutta: era dura realtà e basta. Al mattino lavava i vetri delle macchine ai semafori, nel pomeriggio cercava di vendere qualche cianfrusaglia nelle stazioni del metrò e alla sera partecipava alle lezioni serali universitarie. Soffrì il freddo e la fame, eppure riuscì a laurearsi a pieni voti in economia e commercio. Allora provò a cercare un lavoro più dignitoso e fece il muratore in un cantiere. Era pagato poco, ma riusciva a mettere via un po’ di soldi per il suo futuro. E poi c’era sempre qualche amico in difficoltà e Giovannino si prestava volentieri a scrivere lettere, a insegnare l’italiano, a curare un ammalato, a compilare certificati e così via. Il suo corpo si era fatto alto e forte, lo sguardo aperto e luminoso, il tratto gentile. Gigì era sempre con lui, ma ormai aveva ben poco da fare: tutt’al più gli scaldava i piedi di notte e gli faceva compagnia di giorno. Il resto del tempo lo passava a far la corte alle gattine.

Un giorno Giovannino lesse sul giornale una notizia che non si aspettava:

la grande azienda Giorgetti di Varese rischiava il fallimento. Rientrando, Gigì trovò l’amico pronto a partire. - Ma come - disse ironicamente il gatto - Non hai detto di essere senegalese? - Metà senegalese e metà Giorgetti, cioè italiano - disse Giovannino e partì senza aspettare un minuto di più. Anche questa volta il gatto sorrise soddisfatto, prese l’immancabile valigetta e si affiancò impettito all’amato padrone. Prima però gli chiese due minuti per salutare una micina niente male che aveva conosciuto il giorno precedente.

Arrivato a Varese,

Giovannino si presentò al fratello e gli chiese di essere assunto. Giangiacomomaria non lo riconobbe, lo guardò stancamente e disse:- Non assumiamo extra-comunitari . Giovannino insistette:- A me basta imparare, non m’importa se non mi paga. - Va bene - disse Giangiacomomaria per toglierselo dai piedi - puoi fare le pulizie, ma non aspettarti di essere pagato. - Accetto le pulizie - esultò Giovannino e da quel giorno cominciò a lavorare nell’azienda del papà.

Tenne gli occhi e le orecchie aperti e non tardò a capire 

perché le cose andavano male. L’incuria di Giangiacomomaria, che sembrava sempre depresso, ma soprattutto la disonestà di alcuni suoi collaboratori avevano ridotto l’azienda in fin di vita. Poiché, dovendo pulire, poteva entrare in tutti gli uffici, Giovannino poté fare le fotocopie di molti documenti e in breve fu pronto a smascherare i colpevoli.

Preparò quindi l’incontro con Gisella,

che ormai era una bella ragazza di vent’anni e frequentava l’università. L’aspettò una sera alla stazione, di ritorno dalla scuola, e la chiamò. Gisella sembrò impazzire per la gioia, abbracciò il fratello e non voleva lasciarlo più. Improvvisamente però divenne triste e disse: - Perché te ne sei andato? Ci hai fatto tanto soffrire! - Mi rendo conto che tu abbia sofferto e ti chiedo perdono - rispose Giovannino - ma certamente per Girasole e Giangiacomomaria è stato meglio così. Non vedermi più dev’essere stato per loro un bel sollievo! - Oh no! - gridò Gisella - Questo non è vero! Tu non sai quanto hanno sofferto e ti hanno cercato: sono stati persino alla trasmissione “Chi l’ha visto”! Giovannino non aveva il televisore e quindi non ne sapeva niente. Per fortuna Gisella aveva registrato la trasmissione e così Giovannino poté vedere un Giangiacomomaria e una Girasole affranti e mortificati, che davanti a milioni di italiani chiedevano perdono al loro fratello e figlio per non avere mai saputo dirgli che gli volevano bene. - Non siamo mai riusciti a dirtelo - dicevano - forse perché tu avevi sempre negli occhi l’immagine di Galele e sembrava che ci volessi rifiutare. Quella notte Giovannino non dormì per la vergogna: aveva creduto di non essere amato e aveva fatto soffrire ingiustamente due persone care.
Il giorno dopo non tardò a presentarsi a loro e fu accolto a braccia aperte. Mise Giangiacomomaria al corrente delle sue scoperte in azienda e insieme riuscirono in pochi mesi a sistemare la situazione. A questo punto il fratello avrebbe voluto donare la fabbrica a Giovannino, ma lui non volle accettare. - Papà l’ha lasciata a te e a te deve restare - disse. - Accetta almeno di essere assunto come direttore generale! - lo pregò il fratello. - Accetto a una condizione - rispose Giovannino - che tu mi permetta di assumere cinque lavoratori extra-comunitari per ogni venti operai presenti in fabbrica. - Perfetto! Affare fatto! - gridò felice Giangiacomoeccetera.

Il resto è storia comune: 

qualche tempo dopo Giovannino conobbe un’amica di Gisella, se ne innamorò, la sposò ed ebbe un bambino. Il giorno in cui il piccolo nacque, Giovannino, con il bambino in braccio, sorprese Gigì al telefono. Il gatto stava dicendo:- Eh no, messere, io mi permetto ancora di dissentire: i soldi non fanno la felicità e la vicenda del mio assistito ne è la prova! - Sta ancora litigando con il gatto con gli stivali - pensò Giovannino ridendo tra sé e diede una grattatina affettuosa al suo gattone. - A proposito padrone - disse quest’ultimo - è giunta l’ora di salutarci. Ormai non hai più bisogno di me ed è tempo che anch’io parta per nuove esperienze. Saltò sul davanzale e già l’orecchio destro diventava trasparente.

 - Aspetta!  - disse Giovannino - mi resta ancora una cosa da chiederti:

perché non mi dicesti che Girasole e Giangiacomomaria mi volevano bene? - Perché sei un testardo e non mi avresti creduto. L’importante è che tu ora lo sappia, non ti pare? - Aspetta ancora... promettimi almeno che tornerai se il mio bambino avrà bisogno di te! - Te lo prometto - disse Gigì mentre anche l’altro orecchio spariva - ma tuo figlio, con un papà come te non avrà assolutamente bisogno di me -.


Ormai del gatto restava solo una grande G che tremava leggermente e rimpiccioliva a vista d'occhio sul davanzale della finestra.
Addio Gigì  
disse Giovannino, mentre anche la G spariva. Poi alzò gli occhi al cielo e vide una stellina che era appena spuntata. - Grazie Galele, mamma dei miei sogni - disse ancora. Sentì sulle mani un liquido caldo e un po’ appiccicoso e pensò che si trattasse delle sue lacrime, invece era la pipì del suo bambino. Bisognava cambiarlo... e subito! 

ECCO LA LETTERA G DI GIGI' GATTO GALANIANO.

Ora tocca a te!

Dopo aver lasciato Giovannino, Gigì torna sul suo pianeta e poco dopo decide di ripartire per andare sulla Terra ad aiutare qualche altro bambino. Si reca all'ufficio di collocamento e chiede l'elenco dei bimbi che hanno bisogno di un gatto galaniano, ma si accorge subito che la scelta è molto difficile. Vuoi aiutarlo tu? Ecco l'elenco:
*una bambina africana, che si sta occupando dei suoi tre fratellini, perché il loro papà è stato mandato a combattere sul confine del loro Paese e la mamma deve sostituirlo nel lavoro dei campi;
*un bambino esquimese, che si è perso tra i ghiacci e deve trovare il modo di resistere fino a quando il papà lo ritroverà;
*un bambino italiano, il quale, anche se studia, va molto male a scuola e se continua così verrà respinto;
*due fratellini indiani, la cui mamma è a letto ammalata, il papà è morto da tanto tempo e loro sono così poveri che hanno sempre fame.

Quando avrai scelto al posto di Gigì, immagina di essere lui e fermati a sognare ciò che farai. Se vuoi, puoi scrivere un nuovo racconto!

Mariarosa Tettamanti


Immagine di copertina tratta da "ABC Lettering" di Dangerdust